Ryan è morto. Scende un’ombra triste sulla Giornata della Vita. C’ eravamo quasi. Ma non ce l’ha fatta. Come Alfredino.

Alfredino Rampi, il bimbo di Vermicino. L’accorrere del Presidente Pertini in quel giugno di oltre 40 anni fa. La folla che attorno premeva, sperava, pregava, incitava, come in quella sperduta località del Marocco, in questi giorni. I Vigili del fuoco commossi che gli parlavano di Mazinga che lo avrebbe liberato da quel buio soffocante che lo stringeva in una morsa. I volontari che le hanno provate tutte. Il più minuto che si è fatto calare nel pozzo artesiano, ha raggiunto Alfredino, ma non ha potuto imbragarlo. Il dolore disperato e dignitoso della mamma che parlava al suo bambino, lo rassicurava, lo cullava con le parole, ascoltava la sua voce via via più flebile e non ha mai smesso di sperare.

L’ altalena di angoscia e di speranza che per più giorni, alla luce del sole o delle fotoelettriche, ha stretto il cuore degli italiani, fino allo sconforto, anzi, al dolore sincero per la morte di quel bambino che è rimasto, adottato nel cuore, nella memoria dell’ Italia intera, come un ricordo indelebile. Ad attestare il valore immenso, il valore incondizionato, senza misura e senza limiti, della vita, di ciascuna vita nella sua insuperabile singolarità.
Non è un racconto di De Amicis.

E’ successo davvero. E oggi è successo ancora, al di là del mare, sull’altra sponda del Mare Nostrum. Che, nella sarabanda dei telegiornali, con Ryan, sopravanza, come notizia d’apertura, i Capi di Stato, la politica, perfino la pandemia, le Olimpiadi, addirittura la borsa e l’ andamento della finanza.

E’ solo una vita, una singola vita, la vita di un bimbo di cinque anni …e non mostra forse di valere il mondo intero…?
Se non fosse così, se non avessimo – perfino senza saperlo – questa verità scritta dentro, come potrebbe succedere questo? E’ solo sentimento, emozione? Non siamo ancora abbastanza evoluti da poterci sottrarre a queste reazioni istintive, irrazionali ? Dobbiamo sperare nel “trasumano” per affrancarci da questa “animalità” residua? Oppure siamo fatti davvero così? Siamo noi stessi, più trasparenti alla nostra stessa coscienza in questi momenti di coinvolgimento collettivo?

Sant’ Agostino sostiene che la gioia – ma anche il dolore, che sempre si accompagnano – è l’ “esperienza della verità vissuta”. Vuol forse dire che è, dunque, la Vita, al fondo, la nostra Verità? E, quindi, quella sorgente che, qualunque sia la fede di ognuno, ci accomuna tutti? E da cui non possiamo prescindere perché è lì che ogni diritto trova la sua origine?

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