Da quando uno dei grandi progetti straordinari dell’Unione Europea ha riguardato il “piano verde” per avviare iniziative concrete contro le emissioni nell’atmosfera e la graduale transizione verso modelli di sviluppo più sostenibili, si sono messe in moto sia proposte serie che idee stravaganti.

Le proposte serie sono quelle che incentivano con passione e realismo modelli di crescita concretamente assumibili per il futuro del pianeta, e quindi di tutti, e tengono in conto la realtà complessa nella quale viviamo. Appartengono a coloro che lavorano con obiettivi concreti, dalla riduzione delle emissioni di gas serra ai modelli di sviluppo ispirati alla “economia circolare”, cioè basata sul riutilizzo delle materie e sulla riduzione degli scarti.

Le idee stravaganti sono invece quelle di coloro che non percepiscono la complessità dell’argomento e di percorsi seri da iniziare, ma ritengono sia già suonata l’ora di cambiare nel tempo breve di un mandato elettorale o di un finanziamento a medio termine a una impresa, cioè nel tempo dai tre ai cinque anni, mentre i progetti europei sono proiettati al 2030 e al 2050. Aveva ragione Bertrand Russell quando considerava che quando cambiano i tempi non mancano mai gli sciocchi, cioè coloro che sono “sempre più sicuri di loro stessi”.

Le conseguenze di questi atteggiamenti sono le più varie: dalle proposte di legge del tipo tutto e subito al taglio degli investimenti nelle attuali fonti energetiche tradizionali che, sino a prova contraria, saranno sostituite gradualmente nel tempo se la ricerca e la tecnica lo consentiranno ma non sono certo sostituibili oggi con una circolare ministeriale o una delibera di consiglio di amministrazione.

E’ noto peraltro che le fonti energetiche come il petrolio, il gas e il carbone coprono attualmente più dei due terzi del fabbisogno mondiale, dalla produzione industriale a quella agro-alimentare, ai trasporti di ogni tipo, dal riscaldamento ai servizi per la salute, la ricerca, le telecomunicazioni, e tanti altri.

Le fonti alternative sono indubbiamente in espansione ma a loro volta pongono problemi di utilizzo su larga scala. Si pensi allo sfruttamento della energia eolica: grandi parchi di torri eoliche sono collocati in mare aperto per evitare i rumori ma immagazzinare l’energia prodotta e trasportarla a terra non è che non ponga problemi tecnici di rilievo. Si pensi a quello dell’energia solare che richiede l’utilizzo di un minerale raro come il litio. Per non dire di quella nucleare con i problemi di sicurezza purtroppo ben noti. Da qualche tempo si insiste sui social media a parlare anche di idrogeno, ritenuto pulito e largamente diffuso non solo nel pianeta ma addirittura nell’universo. Facile da immaginare, un po’ meno da utilizzare considerato che oggi è trasportabile a temperature bassissime e con grande cautela per i rischi di esplosione.

Non è un caso che il rappresentante della principale industria automobilistica giapponese in questi giorni abbia smorzato i toni sulle eccessive aspettative della transizione troppo rapida dall’auto tradizionale o ibrida all’auto elettrica, ancora troppo cara per il dispendio di energia che richiede e a sua volta inquinante per lo smaltimento dei componenti. Lo stesso imprenditore ha poi ammonito che queste aspettative eccessive rischiano di compromettere l’intera industria dell’auto.

L’avvertimento vale anche per il fabbisogno energetico della produzione industriale mondiale, per non dire dell’Italia dove la manifattura è prevalentemente meccanica e dove le imprese che operano per “oil and gas” sono tra le prime al mondo. Certo, l’obiettivo di riduzione delle fonti energetiche fossili per il 2030 è forse troppo ambizioso ma non si può ignorare che rispetto al 1990 le emissioni nella atmosfera si sono ridotte nel 2018 di oltre il venti per cento, come ha evidenziato l’AEA ovvero l’Agenzia Europea per l’Ambiente.

La strada è certamente segnata, e ora si tratta ora di continuare a percorrerla. Avendo però cura di tenere i piedi per terra.

Guido Puccio

 

 

About Author