Ogni decisione ha sempre due componenti: un contenuto manifesto –   derivante da una analisi cognitiva del problema -, e un contenuto implicito, di norma emozionale, non sempre compreso nemmeno da chi prende  la decisione.

Le “telecamere ovunque”, dopo aver  avuto una approvazione parlamentare “bipartisan” e un coro di “like” nei social, hanno suscitato il plauso emotivo di tanti: eppure, sono figlie della stessa logica dei “braccialetti elettronici” di Amazon che tanto scalpore hanno suscitato: il  grande fratello tecnologico di orwelliana profezia.

Apparentemente, la finalità è molto diversa : da una parte il “bene” della tutela di  persone fragili, dall’altra il “bene” della tutela di legittimi interessi come il  “profitto aziendale”, a suo modo “fragile” (anche il profitto è sempre a “rischio caduta”), ma le modalità e l’oggetto  del controllo sono le stesse.

Valore della persona e valore economico non stanno certo sullo stesso piano:  quale, concretamente, oggi,  conta di più?

Non  è curioso osservare come sia aumentata, a livello sociale, l’intolleranza verso le persone fragili – gli “scarti” di papa Francesco – proprio contemporaneamente alla crescita vertiginosa del peso dei fattori finanziari?  Quasi che all’aumentare del valore degli aspetti economico/finanziari, faccia  da contraltare una simmetrica riduzione del valore percepito della persona: disabile, piccolo, anziano e fragile, immigrato, o semplicemente Rom, o magari donna.

Accudire un anziano fragile, magari con patologie come l’Alzheimer, è molto doloroso sul piano umano e affettivo e molto costoso sul piano economico. L’organizzazione di vita e le risorse disponibili in molte famiglie non sono sufficienti per dare una adeguata continuità assistenziale: si ricorre quindi per necessità, e spesso controvoglia, a strutture residenziali in perenne lotta per mantenere un equilibrio profittevole nella loro attività imprenditoriale.

Nelle attività “labour intensive”, il fattore da controllare è quello del costo dei lavoratori, in questi casi impegnati nella assistenza.

Equazione banale: per aumentare i profitti o la sostenibilità (versione light per le aziende pubbliche o no-profit)  è necessario  ridurre il costo orario e/o aumentare il numero di persone accudite nell’unità di tempo per “addetto”.

L’efficienza è misurata solo tramite paradigmi econometrici – il famoso “cruscotto direzionale” -, dove i numeri,  descrivendo il risultato economico da raggiungere, dettano inesorabilmente l’agenda delle priorità organizzative.

Il valore di una buona assistenza alla persona che è fatta di tante piccole attenzioni, quasi sempre non parametrabili,  che necessitano di tempo e di disponibilità emotiva in chi lavora,  è spesso misurata con sbrigativi questionari di “customer satisfaction”, o con indicatori su “rischio cadute” o scale del dolore fisico: indicatori di serie B nel cruscotto direzionale,  dove  l’unica “qualità” che conta davvero  è quella che fa crescere la “catena del valore”.

Eppure, una diversa valorizzazione sociale e relazionale della importanza  primaria della Persona, gerarchicamente superiore a tutto il resto,  agirebbe da volano sulla motivazione di chi è impegnato nella assistenza e faciliterebbe un virtuoso controllo sociale diffuso su chi opera in questi settori : assistere un malato di Alzheimer non genera sofferenza solo nel famigliare, ma anche in chi lo assiste  per “lavoro”.

Tenere alta la loro motivazione emozionale è fondamentale per una buona qualità dell’assistenza.

Ma se il profitto è il solo parametro di riferimento, quando l’organizzazione del lavoro si fa più pressante, perché in momenti di “crisi” le risorse si riducono, la fatica di chi ha il gravoso compito di assistere una persona che ha come solo destino “il  morire”, si accentua giorno dopo giorno, spesso nella assoluta solitudine emotiva e sociale: quale status sociale è attribuito a  chi lavora nella assistenza di anziani fragili o di disabili non altrimenti recuperabili?

Negli operatori  più deboli o più cinici o qualche volta semplicemente criminali, quando si trovano ad agire in solitudine, in un contesto sociale che vede nel profitto il valore più elevato, il rischio di commettere abusi criminogeni – come quelli tragicamente documentati – è alto.

Per difendersi da questo rischio, “telecamere per tutti”?

Così facendo,  l’errore strutturale che è concausa nella genesi dei comportamenti criminosi osservati, non solo non è corretto, ma  viene pure aggravato con una  risposta apparentemente di ragionevole tutela, dietro la quale si camuffa una istanza emotiva molto “aggressiva”   verso coloro che svolgono queste “umili” attività di assistenza,  tutti “possibili mostri”, da tenere controllati “ a vista”, in maniera sistematica e  trasparente: la tecnologia strumento del controllo pervasivo sull’uomo.

L’idea che  le residenze per anziani e disabili, non siano luoghi di profitto o peggio di solitaria disperazione, ma spazi dove prendere contatto con la reale condizione umana – fragilità e caducità –  e quindi ambiti privilegiati che possono rigenerare il pensiero vitale della quotidianità operosa di tutti, non è minimamente contemplata da una opinione pubblica distratta e incattivita.

Se lo fossero, il “driver organizzativo” non sarebbe quello del profitto promosso da una “econometria farlocca”, ma quello della “bravura assistenziale” e del riconoscimento orgoglioso da parte di una comunità locale fiera della “bellezza” delle proprie strutture per le persone fragili!

Anche se costa un po’ di più.

E la sostenibilità?

Papa Francesco ha indetto un forum ad Assisi per il marzo  2020 rivolto ai giovani economisti e agli imprenditori  per un nuovo patto per  “…un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda».

Perché non si promuove a livello europeo una sorta di “civil compact”, dove definire una cornice di regole nuove per le attività di servizio alla persona – dalla cultura alla assistenza – fondata sul sistema del “terzo settore” (solo la comunità civile e non lo Stato può essere il garante vero della qualità dei servizi alla persona)   sostenuto da risorse  economiche europee dedicate e stabili, anche agendo con una leva fiscale comune nei confronti delle transazioni finanziarie agite nei diversi stati?

E da subito, qui in Italia, trasformare le migliaia di ore spese  in quotidiane follie burocratiche che gravano sulle attività dei servizi alla persona e che impiegano tantissime  persone in lavori inutili e socialmente costosi, in attività di “assistenza diretta” o direttamente correlata ai bisogni di chi è oggetto dell’intervento, anziano, bambino o famiglia: la famosa “semplificazione amministrativa”, promessa da anni e di cui si sono perse le tracce… : il problema non è autocertificare ogni cosa, ma abolire gli orpelli burocratici che soffocano il vivere perché  in un paese democratico, lo Stato o è “autenticamente liberale” o diventa “un piccolo inferno civile”.

E smettere di credere ad una narrazione interessata nella quale  telecamere o robot iper-efficienti sono la soluzione “equa e trasparente” per porre fine allo strapotere del Lupo sull’Agnello…

Il Lupo non è l’orco che maltratta anziani o disabili o bimbi piccoli, ma chi fa credere che “il vitello d’oro” sia  il fine del nostro vivere.

Una economia con regole diverse, perché gli Agnelli non devono essere facili prede del Lupo, che rimane tale anche se robotizzato e anche senza il “puzzo” del selvatico.

Massimo Molteni

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