La vicenda delle discoteche chiuse dopo la riapertura ripropone una questione che sembrava sopita dopo il dibattito sugli aiuti europei.
La diffusione dei contagi ha un inevitabile impatto sull’economia e questo provoca azioni e reazioni.
In definitiva la situazione è molto semplice: le ragioni della salute si scontrano con le ragioni dell’economia.
Non stiamo come erroneamente si vuol far credere discutendo sul livello di prudenza da taluni giudicato eccessivo, stiamo trattando sul fatto se nel momento in cui l’economia subisce un condizionamento da questioni legate alla salute dobbiamo far prevalere un modello o un altro.
Si badi che non stiamo parlando nemmeno della questione del COVID19, stiamo parlando di una questione concettuale che dovrà in futuro guidare le nostre scelte industriali, sanitarie, in una parola il modello di sviluppo della nostra società.
Se passa l’idea che la salute è un bene condizionabile ad esempio per la questione del COVID19 mi sembra evidente che gli abitanti di Taranto si devono rassegnare a convivere con il tumore.
Il prezzo di una leadership europea in materia di lavorazione dell’acciaio comporta che generazioni di tarantini si prendano il tumore.
Dobbiamo rassegnarci a mangiare alimenti cinesi prodotti con sostanze nocive, a mettere scarpe e vestiti trattati con prodotti chimici dannosi.
In una parola eliminato il primato concettuale della salute non apriamo le porte all’economia virtuosa ma a quella peggiore.
Una parte importante dell’opinione pubblica (che non disdegna l’attuale difesa della propria salute) vorrebbe far passare il principio che sia inevitabile un livello di tossicità dell’economia per cui produrre inquinando (ad esempio le falde acquifere), commercializzare prodotti nocivi sia tutto sommato un rischio calcolato.
Ecco, quando critichiamo le azioni del governo stiamo parlando di questo.
Dovremmo provare a portare il ragionamento su un altro piano.
Come è possibile tutelare di più la salute cambiando il modello economico che abbiamo?
Questo mi sembra il tema sul quale dovremmo tutti essere impegnati non sul constatare come inevitabile una contrapposizione nella quale ci rimettiamo la salute.
Pensiamo ad esempio all’esperienza di smart working che sia pure in una situazione emergenziale abbiamo provato.
Una esperienza che ha rivoluzionato il nostro modello produttivo, si pensi ad esempio al mondo del trasporto locale fino alla banale trasmissione delle ricette mediche via internet che è diventata di massa.
Le imprese hanno improvvisamente capito quanto lo Smart working renda inutili buona parte degli investimenti immobiliari.
Bisogna fare attenzione che questa rivoluzione sta provocando delle fortissime resistenze da parte di settori che sul precedente modello economico avevano costruito le loro aspettative.
Pensiamo alla ristorazione che con lo smart working vedono le loro prospettive radicalmente cambiate.
Allora dobbiamo capire cosa vogliamo: combatterci per spiegarci che la nostra salute, in fin dei conti, non può essere tutelata o impegnarci a cogliere l’opportunità per migliorare le tutele della salute e ridisegnare in maniera virtuosa il nostro modello economico.
Luigi Milanesi