La concretezza di una visione politica concernente un’entità sovranazionale, così importante qual è l’Unione europea, non può prescindere da una politica estera comune. Cosa che significa avere una visione del mondo e di sé stessi nel mondo.

E’ da questo punto che si deve partire quando si pone il problema di una difesa comune. Tema che avrebbe dovuto essere affrontato da tempo. Addirittura prima che, con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Unione sovietica, divenisse a tutti chiaro quanto gli europei fossero chiamati a prendere nelle loro mani il proprio destino o, almeno, parti consistenti di esso.

Gli Stati Uniti da decenni chiedono, con accenti diversi, ma non per questo meno ultimativi, che l’Europa assuma quelle responsabilità che non sempre essa si è voluta assumere. Salvo poi, come accaduto nel caso del recente ritiro dall’Afghanistan, lasciare che si levasse il coro che addebitava al solo Biden la responsabilità di quello che è stato enfaticamente chiamato il ” fallimento” dell’Occidente in quel Paese.

Clamorosa la decisione di mettere in piedi un accordo a tre, Stati Uniti, Regno Unito, Australia in funzione chiaramente anti cinese, definito Aukus, e dal valore economico di 60 miliardi di dollari. Macron reagisce con l’altrettanto clamoroso richiamo dei suoi ambasciatori a Washington e a Camberra. Come rivela il New York Times    ( CLICCA QUI ) , quella che è definita da Parigi come una vera e propria “pugnalata alla schiena” è il frutto di mesi e mesi di trattative condotte all’insaputa di tutti gli altri alleati. A conferma che Biden valuta caso per caso il valore strategico di ciascuno di essi e si regola di conseguenza. L’Europa in quanto tale tace perché quello che possiamo chiamare il suo “ministro degli esteri” ben poco può fare.  Il nostro Luigi Di Maio non ha richiamato nessuno e se l’è cavata con un davvero diplomatico dire: ” per l’Italia non esiste una alleanza alternativa a quella con gli Stati Uniti”.

Una ulteriore conferma che quella della difesa europea è questione davvero complessa. Eppure, è un problema che si pone. Anche se, oggettivamente, nessuno ci minaccia, almeno nel senso tradizionale del termine. Non di meno, la prossimità con la Russia, la quale ha finito per porre dei problemi oggettivi, vedasi su tutto l’invasione della Crimea e i più che difficilissimi rapporti con l’Ucraina, la contiguità con la lunga costa meridionale del Mediterraneo, con una sua ininterrotta linea di criticità che parte dalla Siria, prosegue in Libano, coinvolge Israele e, via continuando, arrivano fino al bordo settentrionale dell’Oceano Atlantico dove è ancora vivo il contenzioso del Sahara occidentale tra Marocco, Mauritania e Fronte Polisario, pongono delle questioni che rientrano in quel largo ambito che richiama più che mai le relazioni estere e, inevitabilmente, quelle della difesa.

In questi giorni, anche sulla scia delle drammatiche immagini provenienti da Kabul, si sono levate numerosi voci per auspicare la creazione di una difesa comune europea. Ultima quella del Ministro degli esteri Luigi Di Maio sulla Repubblica ( CLICCA QUI ).

Ben venga dunque una riflessione di questo genere su cui, però, è necessario avere il coraggio di guardare con grande realismo alla situazione attuale e, soprattutto, rispondere ad una domanda fondamentale. Perché e come?

Finora ciascun paese europeo ha avuto una sua propria politica estera e un sua propria politica della difesa. Operando, se non in conflitto, almeno in concorrenza con altri partner interni all’Unione o, comunque, senza farli pienamente partecipi. Gli esempi più recenti hanno riguardato il conflitto jugoslavo, quello siriano e quello libico. Evidente il fatto che i grandi, Germania, Francia e Regno Unito, quest’ultimo adesso fuori con la Brexit, ma in quei tre casi pienamente coinvolto in una potenziale comune visione europea, hanno ciascuno pensato ai fatti propri senza che, ad esempio, come nel caso libico, si preoccupassero, particolarmente ciò vale per la Francia, delle conseguenze che ne potessero venire, tanto per citare degli alleati interessati, a noi italiani.

Esiste, poi, un’asimmetria nell’interesse principale che i diversi paesi hanno nell’affrontare la questione perché è chiaro che dal Canale della Manica o dalle rive dell’Elba il mappamondo, anche per le parti più prossime, si guarda da altre angolature e fa emergere priorità diverse. Da ciò derivano, non solo e non tanto scelte diplomatiche e di posizionamento articolate, ma persino le diversità degli armamenti, terrestri, marini ed aerei, di cui ciascuno si dota. Per non citare che la Francia è l’unica potenza nucleare a far parte del consesso dei componenti l’Unione europea.

Il fatto di essere tutti coinvolti nel progetto europeo, nella Nato e nell’alleanza con gli Usa non è servito finora a risolvere un granché e, quindi, ci vuole proprio un sentito intendimento per perseguire in altra direzione. Senza, comunque  dimenticare che la difesa comune richiama anche, in qualche modo, il più generale sistema delle intelligence e della sicurezza. Finora non è affatto andato avanti con quella collaborazione che si presume in ogni caso necessaria pure per affrontare il comune pericolo terroristico. Inoltre, come trascurare un’ultima riflessione sulla inevitabile ristrutturazione di quell’importante settore produttivo e commerciale europeo che si chiama Industria delle armi e della difesa.

Per quanto riguarda noi italiani è necessario ricordare alcuni capisaldi che troviamo nella nostra Costituzione e che devono costituire la stella polare nell’addentrarci su una questione tanto necessaria da risolvere, ma anche tanto complessa, piena di trabocchetti e di grossi rischi di fallimento.

Il Presidente della Repubblica li ha ricordati intervenendo con le celebrazioni del settantesimo anniversario della nascita del comando Nato di Napoli ( CLICCA QUI ): ” i valori di libertà, coesione sociale, condivisione della sicurezza collettiva, rispetto e comprensione reciproca tra i popoli e le diverse culture”.

Mattarella ha riportato alla mente di tutti che Nato ed Europa hanno un senso perché contribuiscono ” in modo efficace alla stabilità e alla affermazione dei principi dello Stato di diritto. In questo senso, la definizione di una politica di difesa europea servirà a rafforzare l’Alleanza dell’Atlantico del Nord perché contribuirà alla solidità dell’indispensabile rapporto transatlantico”. Più forte sarà questa Alleanza e più efficacia sarà messa in campo per perseguire “una politica di pace e di affermazione dei diritti dell’uomo”.

Infine, dice il Presidente della Repubblica: “Nella rideterminazione del concetto strategico della NATO non potrà mancare una attenta e bilanciata definizione degli impegni relativi al fianco sud”. Ciò che significa, quindi, riportare al centro di molti ragionamenti dell’Europa la questione del Mediterraneo e dell’Africa, cosa che andrebbe fatta senza ricascare in un’idea dall’impronta neocolonialista.

Giancarlo Infante

 

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