Il governo è dunque ineluttabilmente avviato alla crisi? Affondato dalle bordate di Renzi? Resta da capire se lo scontro  in atto sia effettivamente combattuto solo dalle milizie ufficialmente schierate in campo oppure se chi va all’attacco non agisca anche per procura di qualche altro attore, che….voilà….aspetta di comparire in scena, al momento opportuno, nei panni del vero protagonista della vicenda.

In fondo, si tratta di una querelle tutta interna alla maggioranza e le “guerre civili”, per  il loro carattere intestino, sono sempre le più difficili da decifrare. Insomma, è solo – si fa per dire – una crisi di governo o piuttosto una commedia degli inganni travestita da crisi ?

Almeno alcuni argomenti hanno indubbiamente una loro oggettiva rilevanza, a cominciare dalla governance e dall’impianto complessivo del “Recovery fund” e dal Mes sanitario e Renzi fa bene a porli con determinazione. Ma sono davvero tali da non potersi risolvere nella normale dialettica di una coalizione? Tali da esigere una crisi in un momento del genere ?

Con la pandemia ancora fuori controllo, centinaia di decessi al giorno, la campagna vaccinale da intraprendere, il ferale incrocio tra l’emergenza sanitaria e quella economica, destinato ad aggravarsi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. In definitiva, più o meno, lo stesso lasso temporale da dedicare alla soluzione di una crisi che, una volta aperta, potrebbe avvitarsi pericolosamente su sé stessa.

Possiamo rischiare di doverci concedere un vuoto di potere che, in questo momento, sarebbe comunque peggio di quel che c’è, comunque lo si giudichi? Per poco che si consideri l’attuale governo, siamo sicuri che il gioco valga la candela? A meno che, nelle pieghe di una situazione complessa un  qualche “Demiurgo” ( o piuttosto un Tigellino?) abbia già sostanzialmente tessuto una tela che sia in grado di sfornare, in pochi giorni, un governo nuovo e smagliante. Se fosse così ce lo dovrebbero dire.

Infatti, poiché, seguendo Clausewitz, “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, sarebbe legittimo chiedersi quale sia la politica in cui questa guerra si inscrive. E’ davvero solo l’insopportabile disdoro per una conduzione politica, a suo avviso, ormai smaccatamente nociva al Paese, ad inquietare interiormente Renzi fino ad indurlo a questa tentata redenzione dell’amato Paese e poi si vedrà, oppure, nel pensiero di chi promuove la crisi è già chiaramente delineata una sua soluzione strategica?

Questo risulterebbe fondamentale per capire la “ratio” degli eventi e consentire a quei cittadini che non amano le oscurità della politica – e, ad esempio, gradirebbero sapere la sera stessa del voto chi guiderà il Paese per i cinque anni a seguire, secondo uno dei mantra spesso recitati dallo stesso Renzi – di farsi una plausibile ragione di ciò che si sta verificando. Difficile sottrarsi all’impressione che alle ragioni della crisi si intrecci il canovaccio di una commedia degli inganni che deve ancora rivelare la sua trama.

In definitiva, il tempo preme, il semestre bianco si avvicina, con la conclusione del settennato presidenziale e, a seguire, il rinnovo del Parlamento e la costruzione, dopo questa travagliata ed anomala legislatura, di un  più decente assetto politico del Paese; insomma una fase nuova. E’ come se – pandemia sì, pandemia no – si stesse cercando il posizionamento migliore prima del “via” di questa grande corsa che ci condurrà sì alla naturale conclusione della legislatura, ma succederà talmente d’un fiato che lo schieramento di partenza risulterà decisivo per le legittime aspirazioni di ognuno degli attori in campo.

Anche qui chiariamoci ed evitiamo di cadere nell’ equivoco di una concezione irenistica ed angelicata della politica. La politica è autentica se rispecchia l’intera gamma di tutto ciò che appartiene alla vita di tutti i giorni e di tutte le persone e, quindi, include anche le aspirazioni, le passioni e le ambizioni degli attori in campo. Non c’è da sorprendersi: certe opportunità incrociano la vita anche dei politici una volta e, a non coglierle al volo, non tornano più. Non c’è, dunque, da scandalizzarsi se anche fattori del genere entrano in gioco. 

Ad ogni modo, immaginiamo che la crisi sia già formalmente aperta: chi ne esce peggio? Non certamente Renzi, almeno a voler giudicare secondo quelli che si presume possano essere i suoi criteri di valutazione. Anzi, appare come il puledro scalpitante che del governo giallo-rosso è stato ed è, in assoluto, il “dominus”. Infatti, oggi lo disfa con la stessa improntitudine con cui, a suo tempo, l’ha creato.

Spetterà poi agli appassionati cultori del bipolarismo e del “maggioritario” con le sue variazioni sul tema – ivi compreso il mitico Porcellum – dopo il fiume di inchiostro sciupato a lamentare le nequizie del sistema proporzionale e della frammentazione della rappresentanza parlamentare che ne seguirebbe, spiegarci come, a maggioritario vigente, un partito del 2% possa, appunto, fare  e disfare governi a suo piacimento.

Peraltro, se la forza parlamentare di Renzi fosse pari al consenso che mostra di avere nel Paese, Conte potrebbe dormire sonni tranquilli anche a Palazzo Madama. E’ palese la contraddizione tra chi pretenderebbe una immediata trasparenza tra pronunciamento elettorale e rappresentanza parlamentare, eppure gode di quella sorta di translitterazione del voto realizzata passando, armi e bagagli,  dal gruppo parlamentare originario ad un altro, anzi, addirittura, da un partito all’altro. Si dovrebbe dire, ma in altra occasione, come escono dall’esperienza del Conte 2 lo stesso premier ed i partiti della sua maggioranza.

Insomma, così come ce la spiegano, c’è qualcosa che non torna e resta, ad ogni modo, una domanda: la crisi è tutta farina del sacco di Renzi oppure c’è una lama più tagliente, un pensiero più sottile che suggerisce il copione?

Domenico Galbiati

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