Un articolo a firma Thomas Fricke, comparso il 1 maggio su Der Spiegel e riproposto nell’edizione online ( CLICCA QUI )  serve molto meglio di migliaia di analoghe ricostruzioni di parte italiana a spiegare con ragionevolezza le principali responsabilità della vera e propria crisi di implosione che minaccia oggi l’Europa (niente affatto scongiurato, come era evidente, dal Consiglio del 23 aprile).

Forse è importante premettere alcune citazioni testuali dell’articolo di Fricke prima di svolgere poche, brevi considerazioni:

La lite sull’eventuale partecipazione dei tedeschi agli eurobond è imbarazzante, perché si preferisce fantasticare sul fatto che gli italiani avrebbero dovuto risparmiare prima, pure fantasie che spiegano la mancanza di ogni impegno da parte della Germania nel far partire al vertice Ue della scorsa settimana una storica azione di salvataggio”.

L’Europa rischia di sprofondare nel dramma, non perché gli italiani sono fuori strada, ma a causa di una parte predominante della percezione tedesca”.

Da 30 anni lo Stato italiano spende meno per i suoi cittadini di quello che prende loro, con l’unica eccezione dell’anno della crisi finanziaria mondiale 2009. Questo vuol dire risparmi record, non sperperi”.

Il giornale cita anche gli investimenti pubblici “tagliati di un terzo dal 2010 al 2015”, così come “si sono fortemente ridotte le spese per l’istruzione e la pubblica amministrazione”.

Dolce vita? Stupidaggini. Gli investimenti pubblici dal 2010 in Italia sono calati del 40%. Un vero e proprio collasso”.

Questo mentre in Germania, la spesa pubblica “è cresciuta quasi del 20%”, ossia “lo Stato spende a testa un quarto di più di quello che spende in Italia. Il che in queste settimane si percepisce dolorosamente”.

È giunta finalmente l’ora di mettere fine a questo dramma, e magari proprio con gli eurobond, quali simbolo della comunità del destino della quale comunque facciamo parte sin da quando abbiamo una moneta comune”.

Non mancano nell’articolo interessantissime osservazioni:

  1. sulle vere cause della difficile sostenibilità del debito italiano che risalgono non alle sue dimensioni (l’Autore ricorda il caso giapponese) ma proprio alla inadeguatezza dei meccanismi monetari europei (imposti dalla Germania) che non hanno dotato la BCE delle funzioni di prestatore di ultima istanza;
  2. sul mercato immobiliare italiano che rischia un nuovo, disastroso, crollo proprio a causa delle rigidità tedesche. Con esiti disastrosi per tutti;
  3. sul rapporto debito pubblico/debito privato che il Italia è particolarmente virtuoso;
  4. sulla assurdità di una eventuale patrimoniale italiana, invocata in termini punitivi dalla opinione pubblica tedesca, incompetente e animata da pregiudizi.

Che dire a questo punto? Come minimo che il re è nudo.

Questo articolo non si deve ad un sovranista italiano ma ad un osservatore tedesco colto, distaccato e soprattutto preoccupato da ciò che giustamente deve oggi preoccupare: che non è l’avvento al potere delle orde sovraniste italiane decise a distruggere il salvifico edificio europeo (come insiste ancora a dire certa propaganda “piddina” che si ammanta di pseudoeuropeismo), ma – al contrario – il folle irrigidimento tedesco (e di tutto l’asse nordico) che rischia di far collassare prima l’economia dei paesi oggi resi (anche dall’euro) più fragili – Italia e Spagna – e, a seguire, l’intero edificio europeo, ivi inclusa l’economia tedesca.

Il tutto, in uno scenario drammatico del quale potrebbero entrare a far parte anche disordini sociali e guerre.

In termini politici, possiamo integrare l’analisi di Fricke – che ci sembra completa ed onesta – puntando il dito contro le debolezze di una classe politica di governo tedesca (ma anche olandese) che non riesce a liberarsi dal ricatto dell’estrema destra interna. Molto aggressiva non solo per le sue manifestazioni esteriori, ma soprattutto perché riesce ad esercitare – attraverso non verità – un’egemonia culturale su una vasta opinione pubblica. Questa opinione pubblica, purtroppo, alimenta anche il bacino elettorale dei partiti tedeschi oggi al governo.

Se tutto ciò e vero, ciò che veramente non si capisce è la difficoltà a condividere – in Italia – una visione dell’interesse nazionale trasversale alle fratture partigiane. Neanche in un momento così drammatico vediamo emergere una visione alta della politica e del bene comune. Un rispetto di fondo – meglio, un riconoscimento reciproco – fra le diverse forze in campo attorno alle tesi, ragionevoli, proposte nell’articolo in esame.

Questa nostra difficoltà si legge quotidianamente anche nel costume più diffuso: qualunque cosa faccia quello che si è identificato come il proprio avversario politico è “strumentale”, è “pura propaganda”. Anche quando questo esprimesse delle lapalissiane verità, condivise da qualunque essere ragionevole, ci sarebbe sempre qualcuno pronto a insorgere astiosamente: “lo ha detto per ottenere il consenso”, quindi un motivo in più per odiarlo e additarlo come nemico pubblico.

Questo clima italico – alimentato, occorre dirlo, prevalentemente da una sinistra abituata a ricorrere alla “demonizzazione” come tecnica politica privilegiata – non è niente altro che una forma ripulita di totalitarismo.

Infatti nel nostro paese lo spirito autenticamente liberale è merce rara: non si è mai radicato. E lo spirito totalitario risorge continuamente nelle forme della partigianeria irragionevole.

L’Italia è l’unico paese dell’Occidente che subisce ormai da un secolo il fascino egemonico sottile (e mai venuto meno) dei totalitarismi, in forme ieri più scoperte (fascismo e comunismo stalinista) oggi nelle varianti più felpate ma sempre intolleranti del qualunquismo aggressivo e della demonizzazione dell’avversario.

L’Italia avrebbe oggi una grande partita da giocare in Europa poiché l’Italia – oggi più che mai – è Europa e l’Europa, con un’Italia prostrata e anarchica, imploderebbe. Anche se l’opinione pubblica tedesca non lo ha ancora capito.

Ma non riusciremo a giocare questo ruolo salvifico per l’Europa se nel paese non emergerà una vera sensibilità unitaria, antitotalitaria e nazionale.

Il cattolicesimo liberale più volte seppe giocare nella storia di questo paese un ruolo fondamentale in questa direzione, prendendo le distanze coraggiosamente da ogni forma di intolleranza e di spirito totalitario. Può farlo, forse, ancora una volta in quella che sarà – che è già – una partita strategica. Se invece non riuscirà a giocare questo ruolo, e subirà l’egemonia culturale di altri, si condannerà solo ad una nuova sconfitta.

Enrico Seta

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