Premessa: Mentre l’Egitto si confronta con l’Etiopia ed il Sudan e sconta l’incidente della nave portacontainer incagliatasi nel Canale di Suez, nella serata del 3 Aprile si è assistito per le vie del Cairo ad uno spettacolo dei più sorprendenti ed inusitati. Una straordinaria cerimonia, una simil-Aida, che più che i fasti dell’antico Egitto ricordava nei suoi vari aspetti il più trito kitsch di Las Vegas.
In un profluvio di cattivo gusto, di nostalgie neo-faraoniche e molta presunzione, si sono viste sfilare, tra illuminazioni colorate e riflettori che proiettavano verso il cielo fasci di luce, 18 mummie di faraoni e 4 di regine. Queste erano state montate su veicoli camuffati a mo’ di antiche imbarcazioni solari che di fatto somigliavano più a dei moderni mezzi corazzati.
Queste povere mummie di antichi sovrani mai si sarebbero sognate l’oltraggio di un simile trasloco, nel quale tutto era falso, grottesco e sapeva di set cinematografico. Un inno al cattivo gusto, dal quale i miseri resti di sovrani che furono una volta grandi non potranno più riprendersi. Se questo è il prezzo dell’immortalità, meglio i vermi o la sabbia del deserto.
La cerimonia ed il suo contesto: Dal vecchio, polveroso e caratteristico Museo del Cairo di Piazza Tahrir, queste mummie sono state trasportate lungo un tragitto di sette chilometri fino alla loro dimora definitiva nel nuovo Museo Nazionale della Civiltà Egiziana, a sud della capitale. Un vastissimo complesso asettico di 135 mila metri quadrati, più simile ad un grande centro commerciale, il cui interno a tratti ricorda più terminal aeroportuale, una grande sala d’aspetto od uno spazio fieristico. Parzialmente aperto nel Febbraio 2017, è stato ufficialmente inaugurato a seguito di questa parata.
Queste mummie, che risalgono al nuovo Regno e vanno dal XIII secolo a.C. alla ventesima Dinastia, sono state scoperte più di un secolo fa in nascondigli nei pressi di Luxor e poi conservate nella sede del Museo del Cairo. Tra loro, quelle di Amenhotep I, Tutmosis III, Ahmose, Seti e di alcuni Ramses. Sono sfilate in ordine cronologico a partire da Seqenenra per finire con Ramses IX. Ai lati del percorso, innalzata su pennoni a mo’ di bandiera, la grande piuma di struzzo a ricordare la dea della verità Maat, figlia del dio solare Ra. I pochi spettatori ammessi, tra i quali numerosi giornalisti ed alcune autorità, come la direttrice dell’Unesco, avevano trovato posto in alcune tribune poste su un lato del percorso.
Per l’occasione, il presidente al-Sisi aveva fatto innalzare un obelisco di fronte al museo, mentre tra ali di soldati a cavallo in divisa da parata, giochi di luce, comparse in costume che uscivano dal museo con in testa una parrucca a casco corto ed arrotondato, simile a quelle dell’Antico Regno, riproduzioni di antiche bighe con auriga, banda militare, spettacoli musicali con tanto di orchestra e coro, altri figuranti in costume pseudo-antico, militari in alta uniforme ed uno stuolo di agenti in motocicletta, le povere mummie, assicurate da uno strato di azoto all’interno di finti sarcofagi in stile antico, montati su camionette dipinte d’oro e di nero trasformate in antiche imbarcazioni solari, si dirigevano lentamente verso la loro nuova dimora sotto la sorveglianza delle Forze dell’ordine.
Sfilavano in ordine cronologico e su ogni carro riluceva in caratteri dorati il nome del sovrano. Dopo una sfilata di 40 minuti, come se fossero delle odierne star, le antiche salme sono state accolte e salutate da una salva di colpi di cannone. A riceverle, un Abdel Fattah al-Sisi in abito scuro che le attendeva in piedi sulla scalinata d’ingresso. Non fosse stato per il buio della notte, la scena ricordava il benvenuto del presidente francese Macron sugli scalini dell’Eliseo.
Nell’antico Egitto le grandi processioni servivano a glorificare gli dei ed il defunto Faraone. In questo caso, si tratta soprattutto di propaganda per incensare il presidente al-Sisi quale sbocco finale di un passato glorioso ed evidenziarne il ruolo di garante dell’unità e della stabilità del paese.
La cosa non deve sorprendere, in quanto si tratta di un vezzo tipico dei regimi autoritari in cerca di legittimità e consenso. Basti pensare a Mussolini nel caso delle celebrazioni per il bimillenario della nascita di Augusto, con l’inaugurazione di una grandiosa mostra al Palazzo delle Esposizioni e la collocazione dell’Ara Pacis nella teca di Morpurgo sul Lungotevere.
In tempi più recenti, consiglierei la visione di quello splendido documento cinematografico realizzato dalla Riefenstahl per celebrare il grande congresso di Norimberga del 1934 e glorificare il Fuhrer. Di non minore significato la gigantesca statua raffigurante il principe Vladimir il Grande voluta dal suo omonimo Putin. Il suo intento: celebrare il nuovo conservatorismo di Stato nello spirito nazionalistico promosso dal Cremlino e collegare il presidente russo con le radici stesse della nazione e con colui che ne è considerato il fondatore.
In queste celebrazioni vi è sempre un importante dimensione politica da non trascurare o sottovalutare. Personaggi come questi colgono sempre l’occasione di farsi propaganda e legittimarsi appropriandosi di un glorioso passato per esprimerne l’ideale continuazione e consolidare il loro potere. Non si tratta dunque solo di un qualche tipo di celebrazione o di progetto, ma l’espressione di un vero e proprio programma politico. Se ieri con i Faraoni l’Egitto è stato grande, oggi lo sarà nuovamente con al-Sisi.
Tra i vari commenti di esperti e studiosi è toccato sentire che con questa cerimonia l’Egitto recuperava il suo passato. Come se qualcuno glielo avesse tolto. Altri, invece, descrivevano l’evento come una brillante trovata per far conoscere al mondo i fasti della civiltà dell’antico Egitto. Travolti dalla profondità del loro pensiero, a questi illuminati è sfuggito che in proposito ha forse fatto più qualche chilometro di pellicola di Hollywood, incluso l’oggi dimenticato Boris Karloff, interprete bendato nel 1932 del film “La Mummia”, piuttosto che questa sfilata di cartone su di un percorso di sette chilometri e del tutto chiusa al pubblico.
Non per essere maligno, ma come pensare di ricollegarsi ad un passato millenario nel quale l’Oriente era governato da imperi orientali e non sottomesso all’Occidente, per poi assistere ad una cerimonia presentata come “Pharaohs’ Golden Parade” e vedere il nome di ogni re scritto in inglese ed in lettere d’oro sulle fiancate dei veicoli, nel più perfetto stile globalizzato?
Lo spettacolo faraonico qui brevemente descritto per soddisfare la curiosità del lettore è stato trasmesso in diretta su più di 200 canali televisivi. Ne consiglierei la visione, in quanto utile a far comprendere che qualcosa di nuovo è stato costruito ed avviato nel programma politico egiziano.
Sul valore propagandistico della parata: Come nella migliore tradizione di ogni regime autoritario, con questa cerimonia l’attuale governo egiziano ha voluto dare all’evento una connotazione simbolica, ricollegando l’attuale presidente al-Sisi ai fasti dei regimi faraonici dell’antico Egitto. Si tratta di un messaggio politico lanciato ad arte da un paese e da un regime che cercano di emergere ed affermarsi sulla scena locale ed internazionale.
Con questo artificioso recupero del passato, l’autocrate del Cairo si è identificato con i grandi sovrani di ieri e mostrato l’erede di quell’impero nella speranza di resuscitarne la grandezza: si è appropriato di un passato glorioso per evidenziarne il suo ruolo di continuatore. La kermesse della quale abbiamo parlato va dunque letta su una pluralità di piani e ha avuto precisi scopi politici, tra i quali l’affermazione della sua legittimità e della sua autorità facendo leva anche sul sentimento nazionale.
Si è trattato di una grande operazione di comunicazione del tipo di quelle che tanto piacciono ad al-Sisi e altrettanto sarebbe piaciuta a Ramses il Grande. Senza parlare dei grandiosi monumenti tramandatici da quest’ultimo, basti pensare alla costruzione di una nuova e modernissima capitale a metà strada tra Il Cairo e Suez ed al raddoppio di una parte del Canale. Ambedue provano orgoglio a trasformare ogni evento in un trionfo, dandogli quando possibile anche un carattere globale.
Se è lecito usare il termine di “faraonismo”, questo è indubbiamente adatto a descrivere uno degli aspetti dell’agire di al-Sisi. Per fornirne un esempio basti lanciare uno sguardo al suo grandioso progetto per la costruzione della nuova capitale su di un’area di oltre 700 kmq. Se ne dovrebbe presto parlare come una volta si parlava di Tebe, di Menfi e di Alessandria.
Questo fervore per le costruzioni, non a caso, è condiviso da molti leader autoritari. Basti pensare al grandioso progetto di una nuova capitale dal nome di Germania, firmato dall’architetto Albert Speer in onore del regime nazista o alle ambizioni architettoniche di Mussolini, condite dalla fondazione di nuove città.
Nel caso attuale sono previsti 25 quartieri residenziali, un distretto per gli affari, uno riservato ai ministeri e ai palazzi presidenziali, oltre ad un immenso parco grande quattro volte il Central Park di New York. Vi si potranno vedere inoltre laghi artificiali, otto università internazionali, un polo tecnologico e duemila istituti scolastici. Previste anche 1200 tra moschee e chiese, inclusa la moschea principale vasta quanto quella di Medina e la più grande chiesa copta del continente.
Si parla anche di 600 ospedali e cliniche, un maestoso teatro dell’opera, un grande aeroporto, alberghi, centri commerciali, impianti sportivi, enormi viali e qualcosa come 10 mila chilometri di rete stradale. Il tutto utilizzando le più avanzate tecnologie. Al centro della città, un grattacielo che sarà il più alto di tutta l’Africa.
Dalle Piramidi al Canale di Suez nessuno potrà negare che l’Egitto sia la culla delle opere grandiose. Così facendo, l’attuale regime vuole mostrare la sua capacità di proiettarsi nel futuro ed aprire la via a nuove realtà basandosi sul suo passato faraonico.
A livello accademico quest’operazione può essere letta come un tentativo da parte del regime di riappropriarsi del settore degli studi sull’antico Egitto, per molti anni in mano soprattutto agli inglesi e ai francesi. Evidente, e non di secondaria importanza, anche il tentativo di rilanciare l’industria del turismo, notevolmente ridottasi in questi ultimi anni per la paura degli attentati e più recentemente dall’imperversare del Coronavirus. Anche se da qualche tempo è stato superato dalle rimesse dei lavoratori all’estero, per il Paese infatti questo settore contribuisce in modo notevole al bilancio dello Stato.
Questa cerimonia, come l’apertura del nuovo museo che ospiterà le mummie reali (National Museum of Egyptian Civilization) e quella prossima del Grand Egyptian Museum di Giza (GEM) che vedrà esposti oltre 100 mila antichità, va vista nel contesto di moltiplicare le politiche rilancio del turismo. Altre opportunità sono l’inaugurazione di nuovi scavi da presentare al pubblico come ad esempio la grande città, risalente all’epoca di Amanhtep III nei pressi di Luxor, con tutti i suoi quartieri commerciali ed artigiani. Si tratta del più grande centro amministrativo ed industriale dell’antico Egitto: gli archeologi local ne parlano come di una grande scoperta, studiosi all’estero affermano trattarsi invece di un sito già conosciuto ed esplorato in passato.
Implicazioni in ambito religioso e regionale: Non di secondaria importanza la volontà del presidente egiziano di dare una risposta ai Fratelli Musulmani e, di riflesso, alla Turchia di Erdogan. Vi è ancora oggi infatti un risentimento per l’occupazione turca durata quasi tre secoli ed una rivalità con il comportamento di quest’ultimo, che fa ugualmente leva sul passato imperiale del suo Paese e usa la religione per mantenersi al potere e aggregare l’opinione pubblica delle altre comunità musulmane. Inutile dire come anche a lui piacciano le grandi opere edilizie.
E’ bene ricordare che dal XVI secolo sino alla Prima Guerra Mondiale, l’Egitto era parte dell’Impero Ottomano e sotto il tallone del Sultano. Quest’ultimo, quale sovrano dell’impero, era considerato anche capo dell’Islam sunnita e non aveva perciò alcun interesse per il suo antico passato pagano ed idolatra. Questa parata è da vedersi anche come contrapposizione alla presenza e al potere dell’Islam politico.
E’ almeno degli anni Venti del secolo scorso, con l’affermarsi del sentimento nazionale e soprattutto dopo la scoperta della tomba di Tutankhamon nel Novembre del 1922, che il Paese si è risvegliato al suo antico passato ed ha cominciato ad interessarsene e apprezzarne l’importanza. Oggi con questa manifestazione il presidente al-Sisi se ne vuole simbolicamente riappropriare.
L’Egitto, con i suoi 105 milioni di abitanti, è al centro del mondo arabo e ne è la nazione più popolosa. E’ un paese poco avvezzo alla democrazia, costretto a confrontarsi con un realtà interna difficile caratterizzata da un’economia in affanno, corruzione, malgoverno e da un sistema repressivo.
Rimasto in disparte a seguito degli accordi di Abramo, il leader egiziano in assenza di un potere persuasivo che gli permetta di irradiare l’immagine dell’Egitto nel mondo, può solo mostrare i muscoli, fare parate o mettersi in evidenza con altri progetti. Sta facendo il possibile per darsi visibilità sulla scena internazionale e mostrarsi presente in quella regionale, come si può vedere con la sua politica verso la Libia ed il Sudan, il suo ruolo nella Lega Araba e la presenza nell’Unione Africana. Degno di nota anche il rapporto con l’Arabia Saudita, che ha implicazioni non solo finanziarie ma anche culturali.
Nasser al tempo si dedicò alle faccende dell’intero vicinato. Il presidente al-Sisi è più prudente: ha non pochi problemi interni e cerca dunque di evitare eccessivi coinvolgimenti nelle questioni regionali, pur preoccupandosi delle frontiere che vuole stabili e sicure. Di fronte all’aggressività di un Erdogan, egli cerca uno spazio nel quale mettersi in vista. Un nazionalista e non certo un ideologo del panarabismo, egli vuole mostrare di contare sia sulla scena internazionale che sul teatro locale. Il presidente turco, invece, più che ad una leadership panaraba mira ad una preminenza nel mondo musulmano.
Entrambi i leader sono uomini che amano fare sfoggio di forza e decisione, così come sono interessati ai giacimenti di gas sotto la superficie del Mediterraneo per i quali sono in concorrenza. A caratterizzarli anche un distacco dai temi della democrazia, della libertà e dei diritti dell’uomo. Per loro, ogni occasione è buona per farsi propaganda e costruirsi una vetrina di fronte all’estero e alla regione.
La Turchia appoggia i Fratelli Musulmani, è intervenuta in Libia in aiuto al premier al-Serraj mentre l’Egitto si è schierato in favore del suo nemico, il generale Haftar. Ankara opera inoltre in teatri quali Balcani, Cipro, Siria, Iraq ed il Nagorno-Karabakh. Recentemente si è assistito ad un piccolo tentativo di distensione da parte turca, forse perché Erdogan potrebbe aver avuto sentore di essere andato al di là del ragionevole.
Conclusione: Questo testo non va letto come un’offesa all’Egitto e al suo antico passato. Senza infilarsi nei meandri della sua storia nell’ambito delle civiltà mediterranee e limitandoci essenzialmente al campo dell’arte, credo si possa dire che raramente nella storia dell’Uomo si sia potuto assistere a tanta bellezza, soprattutto nello splendore della sua scrittura.
All’età di 11 anni mi ero recato in Egitto e ricordo ancora l’emozione che provai di fronte alla Sfinge. Era apparsa ai miei occhi di bambino come una delle cose più belle del mondo. Straordinaria impressione fecero su di me anche le antiche architetture e le pitture dai vivaci colori e dalle regole ben definite, spesso di grande eleganza.
L’avvicinarmi alla scultura egizia, una delle più grandi creazioni della storia della civiltà, non ha fatto che aumentare il mio stupore. E’ un arte che guarda all’eternità. I modelli dell’Antico Regno ancora oggi sorprendono per la loro forza espressiva e l’astratta solennità, così come stupisce con l’arrivo del Medio Regno l’affiorare di un’analisi realistica. Sorprendenti sono poi la raffinatezza e la nuova varietà corrispondenti al Nuovo Regno.
Sfido chiunque a non commuoversi di fronte alla qualità della produzione raggiunta nel corso della XVIII dinastia, soprattutto con il regno di Amenhophis IV, meglio noto col nome di Akhenathon. Corrispondente alla fase di Amarna, è uno dei più gloriosi e raffinati momenti della produzione artistica dell’umanità, caratterizzato da un naturalismo sensibile e raffinato, arricchito da tocchi di commovente intimità.
Se da un lato ho voluto inchinarmi di fronte al passato dell’antico Egitto e soprattutto della sua arte, dall’altro voglio lanciare un messaggio al lettore per avvisarlo, di fronte a certi fenomeni, di guardare sotto la superficie. La cerimonia della quale ho appena scritto fa parte di un programma ben preciso che mira a celebrare, per appropriarsene, i fasti dell’antico Egitto allo scopo di sottolineare la grandezza e la stabilità dell’attuale regime. Il passato diventa mero strumento di legittimazione e serve a lanciare un messaggio di ordine, stabilità, unità e grandezza.
I regimi autoritari vivono di miti e questi alla lunga finiscono col sopprimere i pensieri originali ed indipendenti, esattamente come la cattiva moneta scaccia quella buona. Tali miti sono anche sintomo del declino di un Paese: quando di fronte al mondo si esibisce la retorica di un passato millenario e la sacralità dell’antico, di solito è un segno dell’inferiorità del presente.
Le scenografie e le coreografie di questa parata, proprio perché prive di grandi contenuti e di una profonda visione storica, finiscono con l’essere solo versi senza poesia e presentare il volto sterile della retorica. Sono soprattutto una somministrazione di veleno da parte di una propaganda intrisa di sovranismo e nazionalismo. Solo i più sciocchi o i più servili possono prendere sul serio questa vetrina allestita per convogliare l’immagine del grande leader.
E’ bene ricordarsi che il regime di al-Sisi trae paradossalmente origine da quel grande movimento di liberazione civile noto come Primavera Araba. La Storia però insegna che l’idea di libertà non può fondarsi sul potere di una sola persona.
Negando libertà e diritti, a lungo andare i regimi dispotici non possono che alimentare rabbia, frustrazione e desiderio di rivolta. I loro sistemi brutali schiacciano le speranze della società civile, saccheggiano le casse dello Stato, tradiscono ed incatenano il popolo. La soppressione del dissenso, le torture, il riempire le celle di oppositori fanno sì che chi è al potere prima o poi dovrà renderne conto. Di conseguenza, questi regimi finiscono inevitabilmente con l’essere meno solidi di quel che appaiono. Le spinte che hanno portato alla Primavera Araba sono ancora presenti e prima o poi riemergeranno.
Date le radici profonde dello scontro tra libertà e dispotismo, questa Primavera non è stata un’aberrazione. La Storia non si arresta e se le riforme hanno un costo, ritardarle o negarle ne avrà uno ben maggiore: i sogni prima o poi si incendiano, indietro non è più possibile tornare e il Medio Oriente non sarà più quello di prima.
La Primavera Araba non è stata che una speranza di veder trionfare la libertà e la dignità dell’individuo. Chi si è ribellato lo ha fatto per vivere in una società senza miseria, costrizioni ed ingiustizie, rivendicando il diritto ad una vita migliore e più felice.
Sono gli stessi dittatori che attraverso il sangue e la repressione hanno creato uno sbocco per l’Islam radicale e il jihadismo. Non accorgendosi che le loro società stavano mutando e negando al dissenso ogni spazio per esprimersi salvo quello delle moschee, hanno creato la formula perfetta per confezionare scontento ed estremismo religioso. Hanno così finito con l’alimentare quel circolo vizioso che a loro più conviene: senza di loro – dicono – il paese precipiterebbe in mano ai terroristi e nel caos.
Non saranno le cerimonie faraoniche a salvare il Paese e restituirgli felicità e benessere. Qualsiasi prospettiva di riforma deve passare per la restituzione del potere ai cittadini e l’assicurarsi che l’esercito rispetti l’autorità civile. Ogni paese è un caso a parte e ha una sua traiettoria: comunque vada a finire, lo spazio arabo non sarà più quello del passato. Resta sempre vivo il conflitto tra chi guarda al passato e chi vuole abbracciare la modernità. La speranza non è morta e fino a che vi è qualcuno capace di sognare, questa Primavera potrà rinascere.
Senza discorsi paternalistici e con l’accompagnamento di investimenti ed aiuti economici che consentano di liberare le energie positive del Paese, questo d’ora in avanti il compito delle democrazie occidentali.
Edoardo Almagià