Agli inizi del suo settennato – quindi trent’anni fa – il Presidente Oscar Luigi Scalfaro aveva chiesto se la dichiarazione annuale dei redditi potesse essere semplificata e ridotta in quattro fogli chiari e intellegibili per i cittadini: richiesta non esaudita visto che il modulo da compilare è diventato sempre più corposo e complicato. Credo che l’Italia detenga il record della pervasività burocratica e non da ieri. Prendiamo ad esempio e leggiamo un comma a caso del D.L. 30/12/2021 n.° 228, il cosiddetto “Decreto mille proroghe”: “Art 1 – comma 8 – punto2) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Le assunzioni di personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco previste, per gli anni 2020 e 2021, dall’articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in relazione alle cessazioni dal servizio verificatesi negli anni 2019 e 2020, dall’articolo 1, comma 287, lettere c) e d), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, dall’articolo 1, comma 381, lettere b) e c), della legge 30 dicembre 2018, n. 145, dall’articolo 19, commi 1, lettera a), e 3, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, e dall’articolo 1, comma 984, lettera a), della legge 30 dicembre 2020, n. 178, possono essere effettuate entro 31 dicembre 2022».

Consideriamo, per restare in tempi recentissimi, anche l’art 17 comma 1 del DL 24/12/2021 n. 221: “Sono prorogate le disposizioni di cui all’articolo 26, comma 2-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, fino alla data di adozione del decreto di cui al comma 2 e comunque non oltre il 28 febbraio 2022. Al fine di garantire la sostituzione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario delle istituzioni scolastiche che usufruisce dei benefici di cui al primo periodo è autorizzata la spesa di 39,4 milioni di euro per l’anno 2022”. Un articolo che sta creando dubbi e incertezze in tema di “smart working e tutele dei lavoratori fragili” perché richiama il comma 2-bis e non anche il comma 2, oltre a contraddire la proroga dello stato di emergenza stabilita dallo stesso Governo al 31/3/2022. Sono solo due esempi di legiferazione pervasa da un linguaggio burocratico che va nella direzione opposta alla tanto ventilata semplificazione normativa: così è in ogni contesto della vita sociale, dal fisco alla scuola, dalla salute ai trasporti, nemmeno in epoca di crisi pandemica si riesce ad esprimere in modo accessibile all’utenza ciò che si deve o non si deve fare. Siamo stati sommersi da DPCM, poi da decreti legislativi, da leggi regionali spesso in contrasto con quelle nazionali creando diaspore, ricorsi e conflitti di competenze, ordini e contrordini, in modo sincopato: volendo regolamentare tutto si è finito per creare una torre di babele linguistica e un labirinto impercorribile persino per gli incaricati di controllarne l’applicazione e di sanzionare le irregolarità nei comportamenti individuali e collettivi.

Sembra che la tripartizione del potere enunciata da Montesquieu nell’Esprit des lois stia venendo meno: a fronte di una produzione legislativa ipertrofica e mostruosa – molta parte della quale viene affidata alla decretazione d’urgenza lasciando al Parlamento il compito della mera ratifica – i temi e i contenuti oltre agli aspetti formali degli enunciati transitano dalle Camere alla burocrazia degli uffici legislativi di Palazzo Chigi e dei Ministeri, ciò che determina sovente che deputati e senatori approvino leggi di cui disconoscono il contenuto, come argutamente osservato da Sabino Cassese nel recente articolo (La lingua oscura delle leggi, e i danni chiari a tutta la politica), apparso sul “Corsera” del 7 gennaio. Si aggiunga a ciò che proprio il linguaggio contorto e foriero di contraddizioni e cavilli delle leggi aumenta a dismisura i processi civili e amministrativi e crea difficoltà agli organi di controllo come la Corte dei Conti e il Consiglio di Stato: molto spesso la magistratura è costretta – border line – a sostituirsi agli organi legislativi per dirimere tematiche confliggenti. Né appare credibile che i processi di digitalizzazione degli atti della P.A. producano una semplificazione nell’accesso e nella corretta interpretazione delle norme: ci troviamo di fronte a un costrutto normativo spaventoso e fagocitante, impenetrabile e assoggettato a valutazioni sovente opinabili e discrezionali.

Ciò allontana la partecipazione democratica alla vita dello Stato da parte dei cittadini mentre le istituzioni sono avvinghiate in procedure paralizzanti e inestricabili: non sempre si riescono a dare e ottenere spiegazioni dirimenti e tutto ciò alimenta il disagio e la sfiducia nella gente.

Mai come in questo caso trova più corretta e adeguata applicazione il concetto di “situazione kafkiana”. In questa condizione di “sospensione” viviamo tutti male e ci si chiede – se lo chiede lo stesso Cassese – a cosa si riduca la funzione legislativa del Parlamento. La sua risposta è drastica e disarmante: “a un bel niente”.

La burocrazia degli apparati alimenta la sua funzione autoreferenziale e criptica mentre deputati e senatori non sono in grado – specie nelle ultime legislature – ad alzarsi e proporre all’emiciclo e al Paese un modello aperto al futuro ed inclusivo di società e di Stato.

Francesco Provinciali 

 

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)

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