Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Alfredo Anzani sulla sanità italiana. La prima è stata pubblicata ieri ( CLICCA QUI ). Il contributo di Anzani è articolato con il seguente schema:

  • Premessa
  • Introduzione
  • Itinerari educativi:
    • La responsabilità sociale in ambito sanitario
    • La bioetica
    • La comunicazione
    • Ospedale e territorio
    • I medici di famiglia
    • Esempi di medicina territoriale

 

ITINERARI EDUCATIVI

Oggi le persone che lavorano nelle strutture ospedaliere sono sotto stress[1].

Gli operatori sanitari, insieme a tutti coloro che prestano la loro opera in ospedale, continuano a dare il loro contributo, pur avendo momenti di sconforto, provando a volte insoddisfazione per la loro situazione lavorativa, ma ancora fedeli ai valori profondi connaturati al tipo di lavoro e professione che svolgono, con un senso di appartenenza sviluppatosi di più verso la propria professione e l’etica e i valori a essa correlati, che non verso la propria struttura, dove spesso il principale valore sembra essere il contenimento dei costi. Di fatto, in ambito sanitario, sono poco mutati i sistemi di gestione delle persone, spesso più attenti agli aspetti amministrativi, giuridici, burocratici e sindacali che sui veri temi che più interessano gli operatori sanitari e che più impattano sul loro lavoro e sugli esiti di cura.

Un buon modello di gestione delle Risorse Umane (Wellness Organizzativo®)  è quello basato sulla massima valorizzazione, soddisfazione ed energia delle persone, considerate nella loro diversa unicità.

Questo modello prevede che ogni dipendente:

  • sia considerato una risorsa unica e fondamentale per la competitività aziendale,
  • venga trattato in modo diverso ed equo in base alle sue specificità e meriti,
  • sia supportato e facilitato nell’espressione del proprio potenziale,
  • trovi il suo proprio spazio nel lavoro: nella struttura ospedaliera si trova bene e quindi dà il massimo.

Con questo modello chi amministra:

  • offre nuovi e più ampi significati all’occupazione delle persone al di là della loro operatività quotidiana,
  • mobilita energie nuove e abbondanti per lo sviluppo e la crescita dell’organizzazione stessa,
  • costruisce relazioni orizzontali resistenti alle difficoltà e ai momenti di crisi rafforzando molto la solidità e la resilienza aziendale.

I risultati di esperienze già effettuate dimostrano che gli operatori hanno una buona percezione riguardo:

  • alle condizioni lavorative presenti,
  • al livello di gratificazione,
  • al senso di efficacia,
  • al problem solving,
  • alle capacità fisiche e mentali,
  • alle competenze richieste dal lavoro che coincidono sufficientemente con quelle possedute,
  • all’interazione fra i colleghi.

Per una larga maggioranza degli operatori la natura stessa del lavoro svolto (migliorare le condizioni di salute dei pazienti o alleviare le loro sofferenze) è di per sé motivante e stimolante e consente di lavorare soddisfatti.

Il sistema di gestione delle Risorse Umane dovrebbe, dunque, servire a rendere tutto il Personale soddisfatto, motivato, ingaggiato e produttivo al massimo.

 LA RESPONSABILITÀ SOCIALE IN AMBITO SANITARIO

 “Responsabilità è un termine il cui significato è racchiuso nella sua stessa etimologia: viene infatti dal latino respondere, cioè rispondere di qualcosa, rendere conto delle proprie azioni e farsi carico delle loro conseguenze. […] La responsabilità, per essere tale, presuppone la libertà del soggetto, la capacità di agire e scegliere liberamente; si può rispondere delle proprie azioni solo se sono ispirate da una libera scelta. Ed è l’uomo l’unico essere libero e responsabile. Allo stesso tempo, però, e questo fa parte del suo fascino paradossale, responsabilità implica anche un limite alla nostra libertà. Farsi carico delle proprie azioni significa in primo luogo essere consapevoli delle loro conseguenze per noi”. (Elena Pulcini)[2]

Alla base di ogni azione c’è il giudizio determinante  di chi si prende la responsabilità
di distinguere, di discernere, tra scelte diverse, possibilità praticabili, tra situazioni e contingenze. La responsabilità prima di essere giuridica è intellettuale.

Essere responsabili significa impegnarsi a rispondere delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano.

1. Gli obiettivi principali, in sanità, sono[3]:

  • la salute del paziente,
  • la qualità del servizio,
  • il pareggio del bilancio.

La combinazione di questi obiettivi costituisce quello principale:

  • la salute del paziente tramite un servizio di buona qualità, a costi ragionevoli.
  1. La buona gestione richiede:
  • sapere cosa si spende,
  • capire come si spende,
  • comprendere perché si spende,
  • conoscere chi spende,
  • conoscere quali risultati clinici si ottengono.
  1. Se ieri il dirigente emanava direttive, oggi il manager opera per obiettivi:
  • valorizzando le esperienze,
  • sviluppando l’innovazione,
  • stimolando la consapevolezza del cambiamento,
  • mediante la gestione e la guida delle risorse umane, ottenendo così il riconoscimento, o meno, del paziente.
  1. L’operatore sanitario, a qualsiasi livello di responsabilità, deve:
  • conoscere e rispettare il codice etico relativo alle professioni sanitarie,
  • avere coscienza e consapevolezza del proprio ruolo,
  • conoscere ciò che sarà portato a fare per il raggiungimento degli obiettivi manageriali,
  • sviluppare continuamente l’innovazione,
  • non accontentarsi di ciò che si ha e si ottiene,
  • cercare di migliorare ciò che si sta facendo.
  1. Di conseguenza la leadership deve avere un nuovo stile:
  • più partecipativo e meno autoritario,
  • capace di accedere ad un processo decisionale sia a livello singolo che di gruppo,
  • aperto alla possibilità reale di esprimere la propria opinione, fornire suggerimenti, criticare costruttivamente, condividere e accettare la decisione ultima presa dal responsabile del gruppo.
  1. Il primo e vero obiettivo è il rispetto della dignità della persona nel dare risposte al bisogno di salute:
  • fare le cose corrette,
  • fare le cose corrette e giuste,
  • fare bene le cose corrette e giuste.
  1. La situazione odierna permette di osservare:
  • l’utilizzo sempre meno possibile della risorsa principale: il tempo, da dedicare al rapporto umano/empatico con il paziente,
  • l’aumento crescente dell’uso della tecnologia,
  • la concentrazione della durata delle cure,
  • operatori sanitari costretti a svolgere una quantità maggiore di attività in tempi brevi,
  • aumento dello stress e di insoddisfazione negli operatori e nei pazienti.
  1. Oggi fare il medico significa[4]:
  • impegnarsi al massimo per curare i pazienti,
  • conoscere e applicare leggi e regolamenti decisi da chi non fa il lavoro del medico,
  • spendere moltissimo tempo per la burocrazia sanitaria, trascurando le cui norme si è perseguibili,
  • essere consapevoli dell’impatto economico delle cure e delle indagini che si prescrivono,
  • essere quotidianamente esposto a denunce e richieste di risarcimento,
  • supplire alla carenza non solo di medici ma anche di infermieri e amministrativi.

Oggi, il dirigente medico ospedaliero:

  • scopre di essere molto solo nel contesto della struttura sanitaria,
  • il suo ruolo è molto più vicino ad un “prestatore d’opera” che ad un dirigente,
  • quando insorgono problemi lavorativi o relazionali difficilmente trova tra i burocrati, che dirigono la struttura, degli interlocutori motivati ad ascoltarli e a prendersi della responsabilità per risolvere i problemi,
  • non viene mai coinvolto nella progettazione strategica e nella pianificazione aziendale.

Oggi, il medico, con il suo bagaglio di nozioni ed esperienza clinica, ma anche di emozioni, si trova da solo di fronte al paziente e ai suoi familiari, che gli rivelano le proprie paure, le proprie ansie e le proprie aspettative.

9. Cosa fare[5] [6]

  • quando si vorrebbe gridare ma gli altri non capirebbero perché?
  • quando si hanno pochi minuti per parlare con il paziente e almeno il triplo da

spendere faccia a faccia con il computer per completare le procedure amministrative e compilare la cartella clinica elettronica?

  • quando si dedica molto tempo alle e-mail che attendono risposta?
  1. Gli strumenti per aiutare a coltivare una dimensione di serenità nello svolgimento della funzione curante sono:
  • Pensare che la tecnologia è per l’uomo, non contro l’uomo.
  • L’intelligenza artificiale è un’alleata, non per sostituire il professionista, ma a sostegno della professione.
  • L’anima e i sentimenti non possono seguire un algoritmo.
  • La prossima frontiera dell’innovazione sarà l’attenzione verso l’interazione uomo-macchina perché, invece di diventare separatrice, la tecnologia diventi semplificatrice. Così lo spazio liberato sarà utile per coltivare la relazione umana con il paziente e con i propri simili.
  • Per questo è necessario coltivare gli interrogativi che la relazione con l’altro ci pone, operando in un ambiente che accolga spazi di confronto e in organizzazioni orientate a prendersi cura di chi cura.
  • I luoghi della condivisione possono essere, ad esempio, i locali dello scambio di consegna tra un turno e l’altro, i momenti strutturati di incontro, le aggregazioni extralavorative, le nuove tecnologie social, che fungono da rinforzo nel creare quello spirito di coesione e appartenenza utile ad allontanare la solitudine che spesso si vive nel quotidiano agire.
  • La comunicazione va migliorata di fronte a comportamenti ossessivi nei confronti delle interazioni attraverso i social network e WhatsApp. Sembra che la maggioranza dei medici ammetta di comunicare regolarmente con i pazienti attraverso questa applicazione che ha generato una nuova patologia che attende solo di essere classificata: l’ansia da attesa della risposta.
  • Bisogna iniziare a preparare sin da subito le prossime generazioni di medici[7] alla cooperazione, alla condivisione e al confronto, così che il rapporto non sia più solo medico-paziente, ma tra professionisti al servizio del paziente.
  • La vita del medico, però, sarebbe misera se ci si fermasse alla tecnologia. Occorrerà ravvivare le relazioni vere.

Scrive il prof. Ottavio Alfieri[8], Maestro di Cardiochirurgia: “Cosa bisogna aver imparato, oltre al proprio mestiere di medico specializzato in una specifica disciplina, per dirigere bene un’unità operativa e avere successo? Tante altre cose:

  • come muoversi nell’ambiente in cui si opera,
  • come motivare i collaboratori,
  • come interfacciarsi con gli altri,
  • come interpretare i complessi meccanismi gestionali dell’ospedale,
  • avere visione, uno “sguardo lungo”,
  • credere in quello che si fa,
  • avere umanità,
  • saper sopportare e a volte rinunciare,
  • dare l’esempio,
  • perseguire obiettivi certi e motivanti,
  • non disperdersi in cose di poco conto,
  • guardare solo a quelle importanti,
  • saper rinunciare al proprio ego per un bene maggiore,
  • puntare, infine, sui giovani che sono la continuità, sono il futuro. Se un giovane punta su di te e sceglie di venire da te invece che da altri, significa che si fida e che quindi, forse, meriti la sua fiducia. Questo ti inorgoglisce, ti responsabilizza, ti motiva, ti obbliga in molte direzioni.

 Le componenti del successo professionale sono tre.

  1. Prima di tutto l’impegno totalizzante e la dedizione assoluta al lavoro, accettando sempre rinunce e sacrifici. Ci vuole anche un po’ di talento, ma io credo che questa componente del successo non sia quella predominante.
  2. Ciò che più conta, invece, è saper cogliere le opportunità che ci sono sempre, che ti passano accanto, che tutti più o meno hanno ma che vanno riconosciute con prontezza e prese al volo.
  3. 3. E quando si identifica un’opportunità, questa va assecondata e perseguita con convinzione, determinazione e coraggio senza sentirsi legati a luoghi, ambienti, abitudini, radici, amicizie; senza farsi intimorire da difficoltà che possono sembrare insormontabili.

La “bellezza delle differenze” vuol dire apprezzamento, rispetto, attenzione, accettazione, comprensione e tolleranza per le opinioni degli altri, per le attitudini, le culture, i backgrounds diversi. Significa, anche, apertura mentale e, quindi, potenzialità di crescita. Insomma, “diverso” è bello, interessante e arricchente, sempre. Tanto più che noi non siamo una sorta di monadi chiuse in se stessi, sigillate nei confronti dell’esterno, ma al contrario, viviamo in una società ormai multietnica dove razze e civiltà si mescolano, ciascuna portando le proprie caratteristiche e ricchezze mentre si va, anzi si corre, verso una totale globalizzazione.

Con la decodificazione del genoma umano all’inizio del nuovo millennio anche la scienza ha certificato  quello che la filosofia e la religione hanno sempre sostenuto e, cioè,  che ognuno di noi è un individuo unico e irripetibile, una “persona” e, per ciò stesso, con una propria dignità e grandezza, caratteristiche peculiari che richiedono rispetto e considerazione.

Così, anche in campo medico, si è oggi consapevoli che tutti i malati sono diversi fra loro e, pure se affetti dalla stessa malattia, rispondono in modo differente alle medesime terapie, reagendo alle cure in maniera assolutamente individuale perché il loro genoma è unico, diverso da quello di tutti gli altri.

La grande sfida della medicina contemporanea è quella di personalizzare il trattamento medico e chirurgico delle malattie tenendo conto delle differenze. Questa sfida è appena incominciata e la mancanza di conoscenza è ancora abissale e, in un certo senso, disarmante. È necessaria, perciò, una coraggiosa rivoluzione culturale e gli studiosi devono porsi domande altre rispetto a quelle ovvie e convenzionali che si ponevano in passato, mentre l’oggetto della ricerca deve drasticamente cambiare”.

11. Come ristrutturare l’erogazione dei servizi sanitari?

Tramite un approccio centrato sulla persona, adottando un processo che non sottovaluta gli aspetti economici, ma si ispira a principi che mirano ad accrescere:

  • la formazione,
  • la comunicazione,
  • il coordinamento,
  • l’empowerment personale,

il tutto nel rispetto dell’etica.

L’attuale cultura istituzionale orientata alla cura va trasformata in una cultura più ampia che mira a promuovere la salute degli operatori sanitari, dei pazienti, delle famiglie a creare un sano ambiente di sostegno.

12. Criteri per promuovere la salute:

  • incoraggiare il rispetto per la dignità umana, l’eguaglianza, la solidarietà e l’etica professionale, riconoscendo le differenze dei bisogni, dei valori e delle culture dei diversi gruppi di popolazione;
  • fornire servizi sanitari ai pazienti e alle loro famiglie in modo da agevolare il processo di guarigione e fornire empowerment al paziente;
  • impiegare le risorse in modo efficiente ed efficace dal punto di vista economico tenendo conto delle effettive potenzialità terapeutiche.

Occorre un cambiamento nel modo di effettuare la formazione di tutti gli operatori sanitari.

Si tratta di passare da un approccio biomedico, centrato sul medico, a un approccio bio-psico-sociale, centrato sulla persona.

Non più l’accento sulla malattia ma sulla salute.

La formazione deve porre attenzione:

  • al modo di supportare i pazienti a raggiungere il proprio potenziale di salute,
  • sulla promozione della guarigione,
  • sul recupero del senso di integrità e di connessione dopo l’alterazione prodotta dalla malattia.

La medicina centrata sulla persona trova le sue radici nel metodo socratico: docenti e discenti sono ricercatori che si aiutano reciprocamente nella ricerca della verità.

  1. Patient centered care[9]
  • I pazienti chiedono di essere visitati, esaminati, valutati: la loro sofferenza, la loro malattia esigono attenzioni, cure, interventi. È la vita stessa che con forza e prepotenza urla, si impone, chiede e pretende di essere aiutata, di essere salvata. Il cuore, pur malandato e in affanno, chiede di continuare a battere, a pompare sangue, a vivere.
  • Spesso il malato diventa apprensivo, inquieto, irritabile, depresso, perché la patologia che lo affligge ha, generalmente, un forte impatto psicologico su chi ne è affetto. Il medico deve avere la capacità di ascoltare, la volontà di informare con grande chiarezza e obiettività e la propensione a consigliare, tenendo conto della situazione particolare del singolo paziente, dei suoi desideri e aspettative. Questo è un aspetto della professione gratificante, perché genera fiducia, rispetto e talvolta persino vera amicizia.
  • Il medico ha di fronte persone sofferenti verso le quali sono fondamentali il riguardo e l’accoglienza. Ed è bello constatare, al momento della dimissione, che i pazienti, nella grande maggioranza dei casi, sono pienamente soddisfatti non solo della terapia chirurgica e delle prestazioni mediche, ma anche del modo con cui vengono trattati, dell’umanità, della comprensione, della gentilezza della caposala, degli infermieri, dell’equipe medica, delle segretarie, del personale tutto, in un contributo corale di impegno e di competenza, qualità umane indispensabili.
  • Data la complessità di certe situazioni patologiche, che richiedono competenze diverse, vari specialisti devono essere coinvolti in un lavoro di gruppo e condividere le fasi della diagnosi, della valutazione, del processo decisionale e del trattamento: è la realizzazione della “patient centered care”.
  1. Una nuova umanizzazione dell’assistenza

L’attività assistenziale che l’operatore sanitario svolge deve essere costituita da competenza tecnica e competenza etica.

Umanizzare significa:

 costituire l’atto assistenziale con la partecipazione attiva, personale, umana dell’operatore sanitario al momento che la persona assistita sta vivendo;

  • prestare attenzione alla singola persona senza banalizzare la richiesta che questa pone;
  • personalizzare l’assistenza, rendere più umano, più vivibile, più supportabile, più degno di essere vissuto ciò che la persona assistita sta vivendo;
  • informare correttamente la persona relativamente a tutto ciò che si appresta a fare;
  • porre attenzione al paziente, cercando di conoscere il suo mondo, i suoi stati d’animo, i suoi bisogni, le sue necessità, le sue esigenze, la sua spiritualità, il momento che sta attraversando.
  • La “magia” della medicina[10] sta, infatti, in questo scambio tra le attenzioni e le cure dell’uno che offre ogni sua competenza al servizio dell’altro e l’abbandono fiducioso del paziente che mette quanto ha di più prezioso, la sua stessa vita, nelle mani del medico. E l’uno aiuta l’altro: per il medico è importante la collaborazione del malato, come è per quest’ultimo il sentirsi ascoltato e trovare risposte ai suoi dubbi, alle sue incertezze, alle sue aspettative.

Insieme con la più assoluta trasparenza, l’umanità dovrebbe essere il tratto distintivo della professione medica: ciò la rende unica. Spesso si tende a distinguere la malattia dalla sofferenza nella sua globalità e si corre il rischio di concentrarsi esclusivamente sul disturbo fisico, trascurando la pena intima del paziente. Essere buoni medici è molto difficile, perché, accanto alle indispensabili conoscenze biologiche, è necessario sviluppare le proprie capacità relazionali.

  • Fortissima è oggi la richiesta di umanizzare la medicina anche se la tecnologia sembra spingere in direzione contraria. Ma l’obiettivo deve rimanere, comunque, quello di aiutare nel modo migliore chi soffre.
  • Fra medico e paziente vi è un rapporto speciale, privilegiato. Il medico avverte pienamente di essere il depositario della fiducia e delle aspettative della persona ammalata che si affida a lui e che vede in lui l’àncora della sua salvezza. Da tutto questo, il medico si sente profondamente gratificato. D’altra parte, il paziente sente di non essere solo ad affrontare la malattia ma di avere al suo fianco una persona che vuole aiutarlo, che si fa carico dei suoi problemi, che partecipa alle sue angosce, che condivide le sue sofferenze e lotta con lui con tutte le sue forze, mettendo in campo le sue competenze, le sue energie e le sue capacità per ottenere la tanto sospirata guarigione.
  • La fiducia del paziente non è un fatto dovuto, né automatico. La si conquista con la disponibilità totale, senza limiti di tempo e di orario, con il saper ascoltare, con la condivisione della ansie e delle paure, trattando il malato come persona in tutta la sua umanità e dignità e non come mero caso clinico, mettendosi nei suoi panni e facendo esattamente quello che faresti per te stesso e su te stesso se ti trovassi in quelle condizioni.
  • A volte il rapporto stretto con il proprio assistito, il legame quasi affettivo che spesso si instaura con lui e con i suoi familiari, non è sempre soltanto motivo di gratificazione e di gioia. Talvolta può essere fonte di frustrazione e di dolore quando l’atto medico, l’operazione chirurgica, non ha successo e il paziente muore o non trae dalla terapia i benefici sperati. Allora, il medico, il chirurgo, soffre davvero e, anche se non ha alcuna colpa oggettiva, si considera tuttavia responsabile, avverte tutta l’amarezza di una sconfitta bruciante, sente di aver tradito la fiducia riposta in lui, di aver provocato una profonda delusione, di aver disatteso una grande aspettativa. E sperimenta che non c’è nulla di più frustrante del dover annunciare la morte di una persona a chi gli vuol bene e attende con fiducia e speranza.
  • Nella vita del medico, del chirurgo in particolare, ci possono essere momenti di grande tristezza, di vera pena, di sofferenza autentica perché di fronte alla morte non c’è mai assuefazione.
  • Il chirurgo, nel suo operare, è chiamato anche a valutare il rischio operatorio, compito dal quale oggi non può esimersi, e che è fondato su rigorose basi scientifiche ed espresso con una percentuale. Esiste, però, ciò che si definisce l’”imponderabile”: ad esempio l’errore umano dal quale nessuno, nemmeno il chirurgo più attento e più esperto, è esente; oppure l’ignoto, cioè quello che non si conosce, non per colpevole ignoranza, ma per mancanza di progresso scientifico; oppure un evento inaspettato e del tutto imprevedibile. Il decidere di affrontare l’operazione quando il rischio operatorio è alto richiede molto coraggio sia da parte del paziente che da parte del chirurgo. In tali circostanze il processo decisionale è difficile e complesso: non si può prescindere dal considerare la probabilità del verificarsi degli eventi intra e postoperatori e nemmeno dalla conoscenza della storia naturale della malattia lasciata a se stessa.
  1. Aspettative del paziente

 Il livello di soddisfazione (o di insoddisfazione) di un cittadino o di un paziente riguardo una prestazione sanitaria[11] dipende molto:

  • da cosa si aspetta da quella specifica prestazione,
  • dai sanitari che la eseguono e, più in generale,
  • dal sistema sanitario.

Altri fattori che influiscono sulle aspettative sono:

  • il desiderio, non sempre realistico ma comprensibile, di ottenere un risultato favorevole;
  • la grande diffusione, ad opera dei media, di informazioni riguardo all’accresciuta possibilità di curare della medicina;
  • la crescente presa di coscienza del diritto alla salute da parte della popolazione.

A volte il desiderio legittimo di guarire può comprensibilmente generare un’aspettativa irrealizzabile e quindi non soddisfatta, la cui causa può essere, sull’immancabile onda emotiva, facilmente interpretata come un errore.

In particolare, il paziente desidera:

  • essere curato bene,
  • non sentire dolore,
  • essere accettato, rispettato, amato,
  • trovare nell’operatore sanitario vicinanza e solidarietà.

I suoi timori sono:

  • paura dell’errore e del dolore,
  • timore dell’aggressività degli operatori sanitari,
  • timore di essere criticato o, addirittura, punito,
  • sentirsi abbandonato.
  1. L’empatia è la dote indispensabile per l’operatore sanitario per acquisire una piena responsabilità sociale.
  •  Implica la capacità di leggere le emozioni altrui.
  • Comporta la percezione e la reazione alle preoccupazioni o ai sentimenti inespressi dell’altro.

Gli operatori sanitari che sono più abili nel riconoscere le emozioni dei pazienti riescono a curarli con maggiore successo rispetto a chi è meno sensibile. Devono saper percepire le loro ansie e il loro disagio.

Al cuore dell’empatia c’è la predisposizione all’ascolto. Coloro che non sanno ascoltare danno l’impressione di essere indifferenti o non interessati. L’ascolto è una vera arte.

Il medico ha sempre a che fare con pazienti che si trovano in una situazione di sofferenza fisica, psicologica e spirituale.

Egli sa che “il malato soffre più dei suoi pensieri che della stessa malattia” (Friedrich Nietzsche).

Per questo il malato necessita di un medico che sappia infondere in lui la speranza che si trasforma in fiduciosa attesa, appagata dall’esercizio di una medicina che implica i concetti di:

  • cura competente,
  • cura interessata,
  • cura attenta,
  • cura premurosa,
  • cura amichevole,
  • cura servizievole,
  • cura custode.

Un insieme di atteggiamenti che fanno del medico l’uomo più completo, in grado di riconoscere il valore assoluto dell’esistenza umana e di essa il massimo rispetto[12].

  1. Ripensare e riorganizzare il “giro visita” dei malati ricoverati.

 Prassi consolidata da tempi remoti, è ancora oggi una componente fondamentale delle attività sanitarie, in grado di consentire agli operatori sanitari l’assunzione di decisioni assistenziali per il  paziente e di pianificare le attività che permettono il normale andamento dei reparti di degenza. Spesso il giro-visita è condotto in maniera sbrigativa e limitato alla presa in visione della cartella clinica, dei risultati degli esami effettuati, davanti al display del computer.

Se si riflette, la parola “visitare” evoca un viso accanto ad altro viso, una presenza che è cura e sollecitudine per la persona nella sua interezza, sapendo che il malato “vuole essere guardato con benevolenza, non solo esaminato; vuole essere ascoltato, non solo sottoposto a diagnosi sofisticate; vuole percepire con sicurezza di essere nella mente e nel cuore del medico che lo cura”. [13] 

Garantire un giro visita[14] in grado di produrre qualità e valore è essenziale. È ampiamente riconosciuta l’importanza che riveste la multidisciplinarietà del team nella conduzione dello stesso, poiché consente ai professionisti di cooperare in maniera interdisciplinare. Ciò permette di migliorare gli esiti dell’assistenza, di investire sulle potenzialità del team, di ridurre gli errori, di promuovere l’uso efficace ed efficiente delle risorse disponibili (Halm et al, 2003; Special Commission of Inquiry, 2008).

Affinché tutto questo risulti possibile è necessario che venga riconosciuto il ruolo di ogni componente del team e che il professionista stesso sia consapevole di come interagire all’interno del gruppo durante il giro visita (O’Hare, 2008; Larson, 1999). Inoltre, gli infermieri dovrebbero svolgere un ruolo attivo all’interno dell’équipe multidisciplinare, al fine di aumentare il loro impegno e coinvolgimento verso i pazienti e migliorare la comunicazione interprofessionale, riducendo così il rischio di eventi avversi, migliorando gli outcome clinici dei pazienti e la soddisfazione professionale (Boyle e Kochinda, 2004; Vazirani et al, 2005, Zwarenstein e Bryant, 2000).

Tuttavia, è ampiamente dimostrato che essi non vengono sempre coinvolti attivamente nelle discussioni del team (Busby e Gilchrist, 1992; Hill, 2003) o non partecipano affatto (Pucher et al, 2014).

Un giro visita condotto con l’infermiere può produrre effetti positivi sul team, sia attraverso la condivisione di informazioni assistenziali con gli altri professionisti, sia attraverso il supporto del paziente nell’espressione dei suoi bisogni (Royal College of Physicians and Royal College of Nursing, 2012); al contrario, un giro visita senza la presenza dell’infermiere potrebbe determinare effetti negativi, come la frammentazione delle attività (Lees, 2013), una ridotta efficienza nel giro visita e ripercussioni sulla sicurezza del paziente (Royal College of Physicians and Royal College of Nursing, 2012).

È auspicabile individuare strategie di miglioramento del giro-visita strutturato in base alle esigenze peculiari di ciascun reparto.

  1. Il ruolo dell’infermiere

Se per molti anni il medico era l’unico detentore del potere di cura e del processo di assistenza, circondato da infermieri che svolgevano compiti di sola sorveglianza e accoglienza, oggi l’infermiere moderno si ritrova a svolgere un ruolo fondamentale, multifunzionale, all’interno di un sistema che richiede interazione con altri professionisti.  L’infermiere è un professionista della salute, ha un profilo professionale ed un Codice Deontologico, improntati all’autonomia e responsabilità. La legge n. 251 del 2000 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” ha previsto che la disciplina infermieristica divenisse laurea triennale e ha permesso a infermieri in possesso del titolo di studio rilasciato con i precedenti ordinamenti di richiedere l’equiparazione del titolo e di poter accedere alla Laurea Specialistica in Infermieristica.

L’identikit dell’infermiere[15]:

  • esserci;
  • essere vicino al paziente in maniera competente e professionale;
  • individuare i suoi bisogni, visibili e non manifesti;
  • programmare una pianificazione assistenziale e una risposta scientifica, appropriata e competente a questi bisogni;
  • strutturare reti relazionali;
  • collaborare in équipe multiprofessionali.

Se l’assistenza è la capacità di rispondere su basi scientifiche ai bisogni delle persone che hanno problemi di salute, l’infermiere si distingue per l’approccio razionale che mette in atto per raggiungere un preciso risultato attraverso metodi e procedure definiti sulla base di evidenze scientifiche.

Egli[16] sa riconoscere la soluzione più valida sulla base degli studi clinici, sull’esperienza professionale e sulle linee guida internazionali, sui risultati della ricerca infermieristica, svolta nell’ambito ospedaliero e universitario, che si occupa di individuare strategie e soluzioni sempre più efficaci per:

  • favorire la guarigione,
  • migliorare la qualità della vita delle persone malate,
  • combattere il dolore,
  • prevenire la diffusione delle malattie,
  • aiutare tutti a mantenere il proprio benessere fisico, psichico e sociale.

All’interno di un reparto ospedaliero l’infermiere segue il paziente occupandosi di tutte le sue esigenze: terapie, sostegno della funzione respiratoria, controllo dei parametri vitali, l’alimentazione e l’igiene. Essenziali sono anche le attività di tipo relazionale, come il sostegno psicologico e i rapporti con i familiari.  Uno degli aspetti fondamentali del lavoro in ospedale è lo spirito di squadra: un infermiere lavora sempre in un gruppo, di cui fanno parte altri infermieri, i medici e altre figure sanitarie, e  che costituisce il cosiddetto “mosaico terapeutico” che vede al centro il malato. Ognuno ha le sue competenze e tutti insieme cooperano affinché il paziente abbia la migliore assistenza e cura possibili. Il lavoro richiede prontezza, equilibrio, determinazione, pazienza e capacità di collaborazione reciproca.

L’auspicio ultimo è che ogni operatore sanitario raggiunga il fine di:

“avere cura, cura misericordiosa, operativa, fattiva, cura scientificamente organizzata per poter durare e svilupparsi, della persona umana. Nessuna separatezza, nessun dualismo anima-corpo. Noi siamo curiosi, scientificamente curiosi dell’uomo in tutte le forme del suo agire; noi vogliamo avere cura del suo corpo e della sua mente, così come delle opere che questo straordinario insieme di corpo e mente produce, dell’anima che esso esprime creando, operando, dialogando, sperando, credendo. Ogni nostro sapere è rivolto all’altro, è rivolto alla cosa stessa. E a chi si oppone il principio misericordia se non all’inospitale amore di sé, per il proprio sé? Questo principio vale per tutti noi: vale per i filosofi come per i medici come per gli psicologi. Anzi, per ciascuno di noi medico-psicologo-filosofo”. (Massimo Cacciari)[17]( Segue )

Alfredo Anzani

 

[1] M. Rotondi, La gestione delle risorse umane in sanità. Strategie di intervento per le Aziende sanitarie, Franco Angeli 2019.

[2] E. Pulcini, www.doppiozero.com/materiali/sala-insegnanti/responsabilita

[3] F. Ginanni, A. Vettori, Intelligenza emotiva ed empatia in sanità. Miserve, Editoria&Formazione, 2009.

[4] M. Christina Cox,  membro del Centro Studi e Servizi ANAAO-ASSOMED Lazio: 95.110.224.81/anaao/public/aaa_7111841_QS%20anaao%20lazio.pdf

[5] A. Tozzi, Siamo animali sociali. pensiero.it/in-primo-piano/commenti/siamo-animali-sociali

[6] P. Arcadi, Una medicina per la solitudine. pensiero.it/in-primo-piano/commenti/una-medicina-per-la-solitudine

[7] S. Guicciardi, M. Claus, Alla ricerca delle connessioni perdute. pensiero.it/in-primo-piano/commenti/alla-ricerca-delle-connessioni-perdute

[8] L. Ronchetti, La bellezza delle differenze. Storie di un cardiochirurgo.  Ed. Artigrafiche Mariani&Monti, Ponteranica (Bg) 2014.

[9] L. Ronchetti, op. cit.

[10] L. Ronchetti, op. cit.

[11] Q. Tozzi, Aspettative/insoddisfazione del paziente. careonline.it/wp-content/uploads/2016/09/Aspettative_parola_chiave.pdf

[12] E. Bodini,  www.ilmiogiornale.org/limpareggiabile-valore-del-medico-che-sa-prendersi-cura-del-paziente/

[13] Benedetto XVI, Ai partecipanti al 110° congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia, 20 ottobre 2008.

[14] Il giro visita: una prassi che garantisce la qualità? Una revisione integrativa della letteratura,

rivista “L’infermiere” n°6 – 2019  www.infermiereonline.org/2020/01/12/il-giro-visita/

[15] B. Mangiacavalli, www.agensir.it/italia/2020/01/20/infermieri-mangiacavalli-fnopi-sempre-piu-centrali-in-programmazione-e-in-nuovi-modelli-organizzativi-e-assistenziali/

[16] IPASVI Mantova, Professione per la vita: l’infermiere. www.provincia.mantova.it/UploadDocs/4054_Professione_di_vita.pdf

[17] M. Cacciari, Prefazione. La sfida della misericordia  di Walter card. Kasper, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose. 2015, pp. 14-15.

 

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