Le Acli di Bologna hanno fatto da battistrada ed hanno eletto Chiara Pazzaglia come loro presidente. Noi l’abbiamo intervistata per capire come mai questa sua elezione costituisca una novità per una organizzazione che certamente non è maschilista.

Chiara Pazzaglia: “ Assolutamente. Nelle Acli, anzi, la maggioranza, circa il 60% sono donne. A dispetto di ciò, anche a livello apicale  le più importanti responsabilità sono affidate a uomini perché le donne sono molto di più impegnate con le cure familiari. Esiste dunque un vuoto da riempire”.

D) Un’altra occasione, allora, in cui si ripropone la più generale questione della condizione femminile che presenta diversi aspetti: quello della disparità salariale e delle diverse opportunità nella carriera, ma anche la possibilità che la donna possa dispiegare le proprie relazioni interpersonali o impegnarsi nel sociale…

Chiara Pazzaglia: “ E’ per questo che le Acli hanno dato vita a un Coordinamento donne che ha già portato alla stesura di un libro, “Occupabilità femminile”, pubblicato dalla Franco Angeli, diventato uno strumento di ampia conoscenza e di conferma che le donne continuano ad essere meno appetibili sul mercato del lavoro …”.

D) Perché, è possibile individuare delle responsabilità?

Chiara Pazzaglia: “ Il fatto è che i costi delle tutele finiscono per ricadere sul datore di lavoro. Anche l’imprenditore più sensibile, più disponibile nei confronti delle sue lavoratrici non è incentivato a farsi carico di questioni come è, ad esempio, quello della maternità che pone degli oggettivi problemi economici ed organizzativi. Questi oneri sono stati fatti emergere in maniera ancora più sostanziale dalla crisi provocata dalla pandemia…

D) Questo è chiaro, ma per quanto riguarda le questioni delle carriere?

Chiara Pazzaglia: “ Le donne sono più assenti, è innegabile. Si tratta di un fatto di cultura aziendale comunque legato al forte valore destinato alla presenza fisica sul luogo di lavoro. Una cultura molto radicata nel mondo occidentale, non solo in Italia. La donna su questo piano, visti i suoi impegni familiari, non riesce certamente a competere con il collega maschio. Così è più difficile riuscire a raggiungere le posizioni apicali nonostante vi sia una parità nelle capacità di guida e di operatività aziendale. Vi è un radicamento del rapporto lavoro – posto di lavoro che limita. Questo solamente in parte è stato rivisto nei lunghi mesi di difficoltà di spostamento provocate dalla pandemia”.

D) Tutto ciò richiama in ogni caso i ritardi della politica ed è perpetuato all’interno dello stesso mondo della politica …

Chiara Pazzaglia: “ Purtroppo, i meccanismi della politica risentono fortemente della tradizione che dà all’uomo una funzione centrale. Anche in questo caso siamo di fronte ad un fatto culturale, storicamente consolidato. Il paradosso che ciò, sia in campo lavorativo, sia in quello politico è perpetuato a livello apicale dalle stesse donne capaci di raggiungere importanti responsabilità perché accettano la logica del sistema ed assumono gli stessi atteggiamenti dei maschi. Inevitabilmente, ciò comporta che dalla politica non emerge una risposta adeguata. Dal Ministero delle Pari opportunità sono giunte delle indicazioni, anche su taluni aspetti importanti, ma che sono rimaste largamente marginali invece di andare verso la soluzione della questione femminile italiana, che è ancora tutta aperta e insoluta. Lo vedo anche a proposito del disegno di legge De Zan sull’omofobia e la misogenia. Si va avanti con la logica della “riserva” da difendere e tutelare invece di affrontare i problemi reali e concreti delle donne…”

D) Non trova allora la proposta delle “quote rosa” un po’ contraddittoria?…

Chiara Pazzaglia: “ In effetti non mi convincono pienamente perché le vere pari opportunità sono altre e l’accesso delle donne alla vita politica, ma anche all’impegno sociale, dev’essere assicurato grazie alla soluzione delle sue questioni più generali che discendono dal fatto di essere essa contemporaneamente anche madre, moglie, figlia di anziani da accudire, e così via. In ogni caso, c’è da dire che dove le quote rosa sono state introdotte le cose sono andate meglio. Del resto, non si vedono tante altre alternative possibili. Ora, le racconto il paradosso che viviamo in alcune zone e che riguardano le Acli: abbiamo dovuto introdurre le quote “azzurre” per tutelare gli uomini dove sono una forte minoranza”.

D) La famiglia, dunque, che realizza molto la donna diventa oggettivamente anche un suo freno. Su questo tema è adesso un gran parlare. La vostra posizione?

Chiara Pazzaglia: “ La famiglia deve vedersi riconoscere il ruolo centrale che, invece, non è riconosciuto. Questo significa anche il sostegno economico, a proposito del quale noi crediamo nell’assegno unico perché i bonus si sono rivelati del tutto inutili, ad esempio, nel sostenere la natalità che oggi è un problema fondamentale davvero per il futuro del Paese. Del resto, anche gli assegni familiari si possono rivelare fonte di disuguaglianze e di disparità, oltre che trascurare del tutto nuove figure come quelle delle partite Iva e quelle che orbitano nel precariato. Le donne pagano in particolare le criticità della famiglia. Esse, infatti, come ha dimostrato la pandemia finiscono per restare schiacciate nella maggior parte dei casi tra le difficoltà in cui si dibatte la scuola dei figli e le mutazioni che interessano e coinvolgono la famiglia. Spesso c’è la cura dei figli, al tempo stesso quella degli anziani, per non parlare di quando ci sono le presenze di disabilità Il carico può divenire persino insostenibile. Deve dunque essere ripensata la centralità della famiglia nel welfare che, a sua volta, deve essere ripensato. Guardiamo ad esempio ciò che ci propone la presenza degli anziani in un Paese che vede allungare sempre più le aspettative di vita. Oggi la scelta è solo quella, per chi può permetterselo, tra gli anziani in un centro di accoglienza o l’affidamento ad una badante. In entrambi i casi parliamo di costi alti. Questo è il prodotto di una politica e di istituzioni che lanciano da tempo un messaggio culturale che va nella direzione opposto a quello del rafforzamento delle relazioni familiari e della solidarietà intergenerazionale. Questa solidarietà è stata nei fatti spezzata, ma al tempo stesso gli anziani debbono continuare a svolgere una funzione di ammortizzatore sociale a favore delle famiglie. Purtroppo, dobbiamo riconoscere che il legislatore ha fatto di tutto per sovvertire ciò che è, invece, naturalmente presente nelle nostre sensibilità e tradizioni”.

D) So del suo programma teso a seguire un’impronta fortemente innovativa e  in grado di richiamare l’interesse e la partecipazione dei giovani.

Chiara Pazzaglia: “ Il mio programma prevede che si debba sviluppare un’iniziativa che si riveli attrattiva per i giovani. Se si risponde alle loro istanze e necessità si scopre che l’associazionismo non è da considerarsi superato. Anche in questo senso, è fondamentale il riferimento forte alla Dottrina sociale della Chiesa che ci pone la sfida  della coerenza dei contenuti, da un lato, e quella del “linguaggio”, dall’altro. I social, in questo senso esso possono rivelarsi fondamentali perché ci aprono mondi nuovi e trovano per i giovani un terreno fertilissimo d’interlocuzione nei contenuti e nel metodo. Un nuovo modo d’interloquire deve riguardare anche la realtà delle parrocchie da sostenere nei loro processi educativi. Noi abbiamo condotto un esperimento interessante nel corso della pandemia con il progetto “Adotta un nonno”. Giovani e bambini sono entrati in relazione con anziani rimasti soli e, in questo senso, ci siamo occupati sia delle relazioni sia del “linguaggio” che non può che essere diverso perché si fa carico della complessità e della varietà dei nuclei familiari.

Ovviamente, non ci dimentichiamo del lavoro che è proprio profondo nel nostro Dna. Abbiamo a cuore soprattutto la questione della dignità del lavoro. Avvertiamo la necessità di allargare in modo sempre più ampia la visione del lavoro, in tutte le sue ricchezze, complessità e relazioni, che non può limitarsi solo nella soluzione di ciò che è concreto e sì importante, ma certamente non risolutivo”.

Intervista di Giancarlo Infante

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