Maurice Duverger affermava, quarant’anni fa, che le elezioni si vincono “al centro” non con i partiti “di centro”. Intendeva dire che, in un sistema bipolare, le elezioni si vincono adottando politiche centriste, mentre i partiti di centro non servono.

È ancora vero questo assioma? La destra e la sinistra italiana, autodefinendosi schieramenti di centro-destra e centro-sinistra, dimostrano di conoscere bene la lezione di Duverger. Quel trattino che anticipa la destra e la sinistra assolve proprio la funzione di ammorbidire due polarizzazioni. Un’astuzia descrittiva, che specula sulle fasce dell’elettorato mediano privo di una sua casa politica.

Se fosse ancora vero l’assioma Duverger, la nascita del nuovo partito Insieme, dentro una cornice elettorale bipolare, andrebbe incontro a sicuri insuccessi. Ma, perché Renzi e Calenda a sinistra e Toti, Carfagna e altri, a destra, si smarcano dai rispettivi schieramenti polari, alla ricerca del centro? Prefigurano il proporzionale? Anche. Ma non c’è solo questo.

Nella prima repubblica la DC era il centro naturale della geografia politica, perchè la conventio ad excludendum tagliava fuori dall’area di governo contemporaneamente la sinistra comunista che la destra post-fascista. La Democrazia Cristiana si è venuta a trovare così in una  posizione di assoluto vantaggio, naturalmente, al centro del sistema politico nazionale, lucrando sull’assenza di alternative politiche democratiche.

Dagli anni ’90, l’introduzione del bipolarismo ha distrutto il centro politico. Lo ha distrutto come spazio geografico, non però come cultura di governo, fondata su equilibrio e stabilità.

Le ragioni del centro di oggi non sono più quelle degli anni 60. Tuttavia vanno rivalutate, per una serie di ragioni, inimmaginabili al tempo in cui Duverger scriveva.

Innanzitutto, il centro rifiuta la contrapposizione manichea e non veritiera tra conservatori/progressisti perché, in assenza di ogni gerarchia giuridica o etica di valori, manca il parametro su cui valutare la conservazione e il progresso.

E poi. Il centro rifiuta la descrizione semplificatoria della società, formata da due sole entità: l’individuo e la Nazione. Infatti, tra l’individuo e la nazione non c’è il vuoto, ma le formazioni sociali: quelle espressioni di socialità che travalicano la sfera individuale e svuotano la retorica nazionale.

Sul piano economico il centro, tra la decrescita felice e lo sfruttamento esasperato delle risorse umane, crede nello sviluppo sostenibile.

Chi si riconosce nel centro non considera la politica come un’arena comunicativa, ma il luogo dell’elaborazione programmatica. In verità, ce lo ha detto anche Kant: si deve insegnare a pensare, non a ripetere pensieri.

Il centro è quell’area politica che afferma il valore dell’uguaglianza, non solo nella sfera sociale, ma anche nella dimensione territoriale, per questo contrasta gli squilibri Nord-Sud e propone politiche per la valorizzazione delle aree interne.

Soprattutto il centro ha il compito di contribuire a ridare allo Stato liberal-democratico le proprie ragioni identitarie (patriottiche per intenderci), legate ai valori della tolleranza e della fratellanza, non alle ideologie di destra e di sinistra.

L’occidente democratico vive oggi una condizione di decadenza, nella totale assenza di consapevolezza dei rischi che il mondo libero va correndo, a causa delle sue artificiose contrapposizioni.

Il bipolarismo ha trasformato il Parlamento, da luogo espressivo dell’unità nazionale, in un’arena conflittuale. Il tifo prevale sulle decisioni. Le scelte populiste anticipano le cognizioni. Le semplificazioni mortificano le comprensioni. Il confronto sulle idee si è trasformato nell’uso ripetitivo di parole non pensate. Le giuste appartenenze nazionali degenerano in nazionalismi. Gli interessi economici nazionali cancellano le aspirazioni all’equilibrio globale. L’idea di un mondo nuovo, dominato dalla pace perpetua, è scomparsa definitivamente da ogni prospettiva ideale.

Ci dobbiamo arrendere alla logica del pensiero individualistico e calcolante, oppure vale la pena ripensare al ruolo della politica. I populisti, da Boris Johnsons a Donald Trump, danno testimonianze di assoluto pragmatismo, negando alla politica ogni compito universalista.

Duverger, quando minimizzava il ruolo del centro politico, non avrebbe mai immaginato che la democrazia sarebbe caduta nella crisi odierna. Da autentico democratico oggi non arriverebbe alle stesse considerazioni esposte nella République des citoyens.

Insieme, da una posizione di centro, si propone di rivoluzionare gli orizzonti della politica, avendo come punto di riferimento il bene comune.

Viviamo un tempo in cui si devono recuperare quelle “legature” che giustificano l’esistenza di una comunità statale. Il neo partito Insieme, laico per definizione, s’ispira alla dottrina sociale cristiana, dove si ritrovano i principi e le prassi capaci di dare il senso di unità alla comunità nazionale.

Guido Guidi

 

Immagine utilizzata: Pixabay

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