Con grande dolore ho appreso la morte per Covid-19 del Conte prof. Giuseppe Dalla Torre Del Tempio di Sanguineto, che raggiunge nella Casa del Padre il fratello Frà Giacomo, Gran Maestro dell’Ordine di Malta, scomparso a febbraio di quest’anno, colpito da un male incurabile, un vecchio e caro amico. Con la loro scomparsa gli inglesi direbbero che si ammaina una altra vecchia gloriosa Bandiera della Fede Cattolica.

L’ironia romana era una regola in famiglia. Ricordo quando chiesi come mai Giuseppe era nel Santo Sepolcro e non nell’ordine giovannita come il fratello, questi rispose: “non possiamo farci ombra in famiglia”. Credo che in questo spostamento di dimora, certamente lo avrà valutato con lo stesso spirito e avrà detto: “se proprio non si può evitare, facciamolo senza rumore e farci ombra di là.

Mai famiglia fu così importante nelle storie delle loro terre come i Dalla Torre di Treviso, in Veneto, e così alla mano i suoi componenti. Nobili, per aver fatto insorgere Treviso contro i francesi nel XVI sec. e restituito il territorio a Venezia da allora con la Serenissima sempre in magistrature determinati, ma mai appariscenti. Alla fine del XIX secolo vengono chiamati a Roma dal papa Trevigiano Pio X, forse l’unico momento di mondanità, è la citazione di Roger Peyrefitte ne “I Cavalieri di Malta”.

Tutti determinanti, mai mondani, corrono e lavorano per la Chiesa a Roma da oltre un secolo, il nonno Giuseppe direttore dell’Osservatore Romano, portatore della Rosa D’oro, il padre Paolo direttore del Museo Vaticano, Giacomo all’Urbaniana oltre che nell’insegnamento del greco e latino, esperto di epigrafia e palinsesti contribuì alla riforma della Biblioteca, una delle testimonianze più importanti della tradizione culturale ecumenica della Chiesa, Giuseppe artefice della trasformazione della LUMSA in una realtà di alta formazione pienamente inserita nella cultura cattolica ed al servizio delle istituzioni della Santa Sede, presso le quali svolgerà, negli anni più complessi del passaggio generazionale, incarichi importanti come la presidenza del Tribunale di prima istanza.

Giacomo concluderà la sua attività raggiungendo i massimi gradi dell’Ordine di Malta. Silenziosi, operosi, competenti. Una famiglia sempre nelle pieghe della storia, senza richieste di lustro o fanali illuminati, come diceva sempre Giacomo a stigmatizzare la sua ideologia “io sono al servizio, se merito o no lo decide chi io servo, servo i poveri e gli afflitti nella Chiesa e nell’Ordine” ed il fratello Giuseppe pur raggiungendo incarichi di prestigio si mantenne sempre nella discrezione e disponibilità di servizio.

In privato la stessa modestia, la stessa competenza, la stessa costanza nel far del bene. Allievi curiali del card. Silvestrini, erano convinti della necessità della formazione, di una formazione qualificata, di grande competenza, nel mondo cattolico: questa immagine, comune alla famiglia, traspare senza dubbi nel loro operato.

La conoscenza di Giuseppe avvenne, dopo l’incontro con Giacomo, nel 1999, per una collaborazione in un master che il fratello aveva organizzato a Venezia, allora Gran Priore dell’Ordine di Malta, che viveva tra Roma e Venezia, insegnando ancora a Roma all’Urbaniana. In quell’occasione ho potuto vedere la loro identità cristiana e la loro passione nella ricerca di una vera formazione per i giovani e gli aggiornamenti per i non giovani. Era un tema che li accomunava, anche se in Giacomo lo stimolo a sollecitare una dimensione vocazionale in generale, nello specifico melitense, era ovviamente più presente.

Entrambi insegnanti di alto livello, quanto, lo hanno dimostrato sia nella loro attività e nella amicizia che davano con grande selezione, ma con grande generosità, a chi onoravano di considerare amici, e con una generosa e disinteressata disponibilità a partecipare ad iniziative culturali che avessero finalità di formazione cattolica.

Alla notizia della morte di un amico valuti due aspetti, quello personale di perdere una persona con cui ti confrontavi, ti confidavi, ma poi subentra la perdita della loro partecipazione alle attività comuni.

Con Giacomo c’era un dialogo personale e un dialogo istituzionale che aveva un tema costante la formazione qualificazione delle nuove generazioni attraverso l’Ordine di Malta, istituzione viva. Dialogo che, indirettamente, aveva un secondo interlocutore ufficiale che era Giuseppe, non credo per una sudditanza, quando per una condivisione degli ideali cattolici, per questo motivo il dialogo che si era istaurato non si è mai esaurito con tutti e due.

Per le alte cariche istituzionali raggiunte da Giacomo il rapporto tra noi si era fatto più difficile e complesso ma non si è mai interrotto per questi motivi.

Entrambi erano attivi nella stesura della Nuova Carta costituzionale dell’Ordine, dimostrando di essere in perfetta sintonia con il Pontefice e di goderne la fiducia di dare alla riforma una impronta particolare per l’attività religiosa.

Tutti e tre vedevamo nell’ambito formativo la parte determinante della riforma, per la missione di apostolato dell’Ordine stesso. Loro nobili di antica famiglia erano necessari per guidare il passaggio di una nuova cavalleria e di una nuova nobiltà cattolica.

In un mio scritto che avevo inviato proprio a Giuseppe in memoria di Giacomo evidenziavo lo stile dei Dalla Torre ed il vuoto istituzionale che nell’Ordine e nella ricerca di formazione di una classe dirigente cattolica lasciava la perdita di persona così limpida.

La scomparsa del prof Giuseppe in questo momento cruciale per entrambe le Istituzioni, l’Ordine e la Santa Sede, le priva ulteriormente di quell’apporto di tradizioni e di attenzione per il futuro che avevano saputo imprimere.

Nel ricordare queste figure care per i ricordi privati che ci hanno legato e fanno parte di quel vissuto da condividere tra i sopravvissuti, recepiamo un messaggio che dobbiamo passare alle nuove generazioni, quelle che avanzeranno e che loro hanno cercato di proteggere con la forza della loro cultura e spirito di servizio: senza tradizione non c’è futuro vero, libero e costruttivo per il singolo, ma solo sottomissione ad una logica di pochi.

Giacomo e Giuseppe Dalla Torre erano forti di un’educazione, di una tradizione che li legava alle istituzioni cattoliche non per privilegi ai quali avevano rinunciato, ma per portare a tutti un senso di solidarietà in cui credevano, che si manifesta in tanti piccoli gesti, la costanza nel lavoro, la gioia di vedere gli altri emergere, uscire dalle difficoltà.

Ricongiungendosi tutti, il nonno, il padre ed i fratelli, guarderanno a chi lasciano quel testimone: formare nuovi cattolici che servano la Chiesa come l’hanno servita loro, continuando una straordinaria tradizione formativa dove il dare è prima del ricevere, rispondendo ai loro detrattori: Honi soit qui mal y pense.

Ivo Foschini

 

 

 

 

 

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