Cinquanta milioni di cartelle esattoriali da notificare ai contribuenti, già sospese per l’emergenza sanitaria, attendono al varco il governo Draghi.

E’ una vera e propria bolla fiscale che rischia di esplodere, come quella dei licenziamenti sospesi, e che in ogni caso non può essere scongiurata. Certamente interverrà un provvedimento mirato, speriamo questa volta chiaro e fatto bene, che dovrà regolare gli effetti di una vera e propria valanga e prevedere qualche forma di consolidamento per dilazionare le scadenze ed attenuare gli effetti su persone e imprese.

Una cosa è certa sin da ora: la bolla fiscale non si esaurirà con una possibile soluzione di questo pur serio problema. Non è infatti più possibile mantenere un sistema tributario che nelle sue linee fondamentali è vecchio di cinquant’anni (1971) ed è stato pensato quando il Paese era in condizioni economiche e sociali diverse dalle attuali. Un sistema modificato da oltre mille provvedimenti; snaturato prima dalla inflazione negli anni ottanta, poi dall’emergenza del governo Amato (1992) e quindi dalla grande crisi finanziaria globale (2009). Per non dire delle conseguenze economiche che in parte devono ancora emergere dalla crisi sanitaria ancora in corso e di quanto seguirà alle profonde modificazioni imposte dalle nuove tecnologie su lavoro, produzione e consumi.

Da qui le ragioni serie di una riforma fiscale annunciata con credibilità dal governo Draghi.

Il rischio è quello di confondere per “riforma” iniziative probabili di riduzione delle aliquote fiscali per persone e imprese, certo necessarie (le aliquote sui redditi di lavoro sono tra le più alte in Europa) ma che non risolveranno l’esigenza di disporre di un sistema fiscale finalmente adeguato alle attuali condizioni del Paese.

Considerando che una vera riforma è per sua natura sistemica e non limitata a “cambiare le tasse” una alla volta, e che ciò richiede competenze adeguate e tempo, ecco che si pone la domanda di come operare. Al Ministero dell’Economia lo sanno bene e quasi certamente si procederà come fecero sia Vanoni che Visentini, i due protagonisti delle vere riforme tributarie dal dopoguerra ad oggi, ovvero con una legge di delega al Governo che fissi i principi, gli scopi, le modalità di attuazione e i tempi, e successivamente con una serie di decreti delegati organicamente coerenti che regolino le imposte sul reddito delle persone e delle imprese, sui consumi, sui capitali, sui trasferimenti oltre naturalmente con decreti delegati in materia di accertamenti, di contenzioso, di organizzazione degli uffici finanziari.

Sui principi, gli scopi e le modalità di attuazione inutile soffermarsi in questa sede: esiste già ampio materiale che gli studiosi della scienza delle finanze hanno messo a punto in questi ultimi anni.

Quanto agli approcci politici Draghi si è già espresso per la progressività delle imposte sui redditi, e così i più attenti esperti che propongono l’adeguamento prudente dei tributi sui consumi (i nostri sono tra i più bassi in Europa), la soglia della fascia iniziale esente, l’esigenza di introdurre progressività anche sui servizi, il contenimento dei costi della amministrazione.

Avrà naturalmente rilevanza anche il confronto politico visto che la legge delega dovrà essere approvata dal Parlamento, e non sarà certo limitata agli slogan privi di contenuto del tipo “flat tax”, che anche nel caso di una seria formulazione-ammesso che esista- pone problemi di perdita del gettito difficilmente sostenibili. Certo sarà necessario tenere conto del fatto che gran parte del gettito è oggi destinata a sostenere la spesa pubblica e che altra quota rilevante è purtroppo al servizio del debito, anche se oggi  attenuata dai tassi di interesse prossimi allo zero ma che domani è destinata ad avere ben altro rilievo.

Una grande riforma del fisco è quindi possibile, purchè riferita ad una visione più larga di quella limitata ad agire solo sulle aliquote e non certo pressata dall’urgenza. Il riferimento all’ampio orizzonte assunto da Draghi nel suo discorso di insediamento davanti al Parlamento è già consolante. L’unica condizione necessaria per avviare la riforma del fisco è il ritorno alla crescita economica del Paese, senza la quale le possibilità di ricomporre la convivenza sociale non può essere perseguita.  

Guido Puccio  

 

 

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