Fine giugno,periferia popolare di Treviso,quartiere Santa Bona. Sono al bar a bere una bibita fresca per cercare di trovare un po di sollievo dal caldo afoso di pianura.
Una signora al bancone parla con una amica dicendo di aver ricevuto i bollettini dell’affitto della propria casa popolare quadruplicato, è convinta che si tratti di un errore e apparentemente è tranquilla,afferma che chiederà spiegazione all’ufficio territoriale di Treviso.
Passano un paio di giorni. Sono al supermercato e, in fila alla cassa, sento gli stessi discorsi: le donne parlano tra loro degli affitti. Non discutono di possibili errori, ma affermano che la Giunta regionale del Veneto abbia modificato la legge regionale che regola gli affitti con effetto immediato.
A questo punto mi ripropongo per l’indomani mattina di provare a chiedere informazioni a qualche contatto in Regione Veneto.
La sera stessa mi suonano il campanello di casa e vengo avvertito di una assemblea spontanea di cittadini incazzati che richiedono la mia partecipazione per rendermi conto di quanto preoccupante sia la situazione.
Termino di cenare e raggiungo il luogo dell’assise popolare: il clima è incandescente, le persone sono incredule. Si sentono tradite dal loro partito di maggioranza e dal loro governatore leghista.
In effetti, questi argomenti 30 anni fa erano gli argomenti di consenso che il partito di Bossi usava per raccogliere il malcontento popolare: politicamente, va in scena un conto circuito politico. Si palesa il mutamento genetico che intrevine quando da governati si diventa governanti. Gli effetti sono devastanti.
Capisco a grandi linee che, in media, gli affitti sono stati triplicati dalla sera alla mattina per il tramite di una legge regionale che modifica, attraverso un algoritmo, i paramentri di calcolo degli affitti.
Di fatto, si tratta di una “patrimoniale”in quanto il meccanismo non tiene più conto del reddito familiare, ma dell’Isee che tiene conto del patrimonio e la capienza dei conti correnti dell’anno prima.
I risparmi di una vita, il Tfr di 40 anni di lavoro, la piccola eredità del padre,il risarcimento assicurativo per un incidente stradale subito: tutto contribuisce a far salire i canoni mensili a livello fuori mercato per alloggi popolari fino a 6-700 euro mensili.
Senza considerare le quote Ex Gescal lasciate dai lavoratori in ogni busta paga, proprio per la gestione e costruzione degli alloggi popolari. In effetti, dovrebbe trattarsi di alloggi per i lavoratori, di persone che un reddito ce l’hanno,che molto spesso hanno contribuito a spese proprie per fare migliorie negli alloggi come ad esempio gli infissi, gli impianti termici, la messa in sicurezza di balconi ecc ecc.
A rincarare la dose un’assessore regionale che dafinisce per dare pubblicamente dei “privilegiati”agli inquilini che protestano.
Costituiamo subito un piccolo comitato di quartiere e cominciamo a raccogliere firme e organizzare le assemblee pubbliche cui partecipano centinaia di persone.
La politica e i sindacati dormienti, sull’eco di queste proteste, cominciano a interessarsi della questione. In ballo ci sono voti e iscrizioni ai sindacati.La voce comunque non è forte e decisa, sembra non si voglia disturbare il Doge.
Tra noi continuano le assemblee e le riunioni in ogni dove e ad ogni quando, si decide di alzare il tiro consegnando le centinaia di firme raccolte al sindaco della città, il quale si fà carico del problema.
L’opposizione di sinistra tenta una pallida reazione. Comunque, giunge in grosso ritardo e in modo poco incisivo.
Ormai appare chiaro che alla giunta regionale la legge è scappata di mano e il presidente, da persona intelligente quale è, capisce di dover correre ai ripari.
Primi di ottobre. La regione comunica di aver modificato la norma; vengono accolte in gran parte le richieste iniziali dei cittadini. Il piccolo comitato di periferia può sentirsi soddisfatto, le formichine hanno messo paura al leone…..
Enrico Renosto