La forte crisi economica e sociale conseguente alla pandemia di COVID-19 sembra aver determinato una netta frattura nella gestione politica dell’Unione Europea (UE) che, in un certo modo, riproporrebbe lo spirito dei tempi costitutivi della Comunità Economia Europea (Trattato di Roma del 25 marzo 1957, entrato in vigore il 1° gennaio 1958), ridenominata Comunità Europea a partire dal 1° novembre 1993 (Trattato di Maastricht del 17 febbraio 1992), diventata Unione Europea il 1° gennaio 2009 (stesso Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007). Fin dal Trattato di Roma e, a maggior ragione, dal Trattato di Maastricht, la Comunità/Unione europea non è mai stata solo un progetto puramente economico, una semplice   zona di libero scambio commerciale, bensì un progetto politico costruito sulla condivisione di un complesso di valori morali, tra i quali, fondamentali e tipici dell’attuale cultura europea sono il principio della giustizia sociale e della pace, al suo interno e nel mondo.

L’istituzione dell’Unione Economica e Monetaria dell’Unione Europea (UEM), approvata dal Trattato di Maastricht e realizzata, a partire dal 1° gennaio 1999, con la creazione di un’area monetaria unica per 11 paesi, allargatasi poi fino agli attuali 19 membri, introdusse una rilevante sterzata nella direzione dell’approccio ordoliberistico (cioè del liberismo delle regole), che significa liberalismo inquadrato, nel campo economico, in un organico sistema di regole fissate dallo Stato atte a garantire la parità delle condizioni di tutti gli operatori; un ordine economico capace di creare una vera situazione di libera competizione. Nella fattispecie, lo Stato regolatore è l’UE e gli operatori sono gli stati aderenti all’area monetaria. Ne conseguì la necessità di un Patto si stabilità e crescita; la prima premessa necessaria – si diceva – affinché la crescita avvenisse in modo sostenibile, cioè destinata a durare.

Il patto in parola fu approvato con il Trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997, entrato in vigore il 1° marzo 1999), in previsione della costituzione dell’UEM, ma la sua tenuta fu fortemente intaccata dalle conseguenze delle crisi europea e mondiale iniziate nel 2009. Le regole di stabilità – ampliate dal varo dei regolamenti della Commissione Europea noti come six-pack (2011) e two-pack (2013) e l’accordo fra gli stati noto come Fiscal Compact (2012) – portarono all’imbocco di una severa politica di austerità nei confronti degli stati che avevano forti squilibri finanziari di segno negativo nei bilanci pubblici, con conseguenti effetti deflazionistici sulla domanda aggregata ovviamente non contrastati, nei loro effetti negativi sulla produzione e l’occupazione, dall’introduzione di politiche volte a incidere positivamente sull’offerta aggregata, fortemente raccomandate dall’UE (leggi politiche di flessibilizzazione dei mercati del lavoro e di riduzione del costo del lavoro et similia, irrilevanti poiché il lato corto era la domanda aggregata e non l’offerta aggregata).

Nulla si disse, invece, nei confronti degli stati aventi rilevanti squilibri finanziari di segno positivo.

Sull’altare della stabilità finanziaria è stata impostata una politica di austerità che ha portato diverse aree dell’UE in situazioni di ristagno economico, elevata disoccupazione e rilevante crescita della disuguaglianza e della povertà. L’austerità ha comportato principalmente una politica di tagli profondi alla spesa pubblica, mirati all’obiettivo di ridurre i deficit di bilancio pubblici. Se questi tagli avessero riguardato solamente spese inutili o dannose nei confronti delle loro ricadute sociali, sarebbe stato un bene – e non ci sarebbe stato bisogno del richiamo del principio di austerità, per tagliarle: una spesa inutile o dannosa non va fatta, comunque essa sia finanziata; non con imposte (evitando di creare deficit di bilancio, quindi), non con indebitamento, non con creazione di moneta; non dev’essere effettuata!

Il fatto è che questi tagli, in diversi paesi, hanno riguardato le spese sociali, portando alla riduzione significativa del volume dei servizi erogati e/o al peggioramento della loro qualità: spese per erogazione di servizi alle famiglie, per le cure dei figli e di altri famigliari in stato di bisogno; spese sanitarie; spese previdenziali, spese per attività di formazione scolastica e professionale, in senso lato, atte a permettere l’entrata, o il mantenimento della presenza, delle persone nel mercato del lavoro ecc.

La forte crisi economica e sociale conseguente alla pandemia di COVID-19 – conseguenza anche del fatto che gli stati europei, di fronte all’alternativa di dare la precedenza alla difesa della vita umana o alla difesa della salute dell’economia, hanno correttamente scelto la prima opzione – ha provocato, in modo sorprendente, una virata con elevato gradiente nella direzione della politica dell’UE sia di breve sia di medio-lungo periodo. Precisamente, sospensione immediata del Patto di stabilità e crescita (il Fiscal Compact era già decaduto a fine 2018 per la mancata conferma da parte del Parlamento Europeo).

Questo cambiamento di direzione della politica dell’UE ha trovato espressione nel pacchetto articolato di sovvenzioni e prestiti a favore dei singoli stati per 540 miliardi di euro, per tre reti di sicurezza a favore di lavoratori, imprese, stati membri, nel 2020; per 750 miliardi di euro, Programma Next Generation European Union (NGEU), nel 2021-03; per 1824,4 miliardi, Quadro Finanziario Pluriennale, nel 2021-27, e con l’applicazione già nella ripartizione delle risorse del NGEU di riferimenti parametrali di tipo perequativo: oltre alla quota della popolazione dei singoli stati, l’inverso del PIL pro capite, il tasso di disoccupazione e il calo del PIL reale negli anni 2020-21. Il tutto giustificato, nel primo Discorso sullo Stato dell’UE della neopresidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (settembre 2020), con il  programma chiaramente indicato di voler creare un’economia dal volto umano, un’economia sociale di mercato che sia vocata alla resilienza, in quanto protegge dai grandi rischi della vita (malattie, disoccupazione, rovesci di fortuna, povertà), garantisce stabilità e consente di assorbire meglio gli urti interni o di origine estera, crea opportunità e prosperità. Questo all’interno di un programma di lungo periodo di costruzione di un mondo nuovo che, anche attraverso l’innovazione e la trasformazione digitale, crei un ambiente economico e sociale umano in cui operano strumenti di salvaguardia della salute delle persone e di protezione dei lavoratori e delle imprese, affiancato dalla salvaguardia dell’ambiente naturale che sia in grado di dare un futuro all’umanità e incentrato sul principio di solidarietà interstatuale.

I principi evidenziati nell’ultima parte del paragrafo precedente sono del tutto corrispondenti a quelli che emergono dall’interpretazione teleologica del consolidamento dei tre documenti che  costituiscono la struttura istituzionale dell’UE: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDF), il Trattato dell’Unione Europea (TUE) e il Trattato per il funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), quali risultano a séguito del già citato Trattato di Lisbona, tutti e tre aventi lo stesso valore giuridico e in vigore, nei testi attuali, dal 1° dicembre 2009, in particolare, nell’Art. 3 del TUE.

Una lettura attenta di quest’ultimo porta all’individuazione, quale obiettivo finale dell’Unione, della realizzazione dello «sviluppo sostenibile dell’Europa basato su:

1) una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi;

2) un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, che si realizza combattendo l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuovendo la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli stati membri;

3) un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente».

Ora, le tre “basi” non si presentano sullo stesso livello di finalizzazione poiché il Preambolo della CDF indica chiaramente la “dignità della persona” quale valore di fondo dell’UE. È allora evidente che il livello più avanzato di finalizzazione degli obiettivi comunitari sta nella piena occupazione e nel progresso sociale, così come sopra puntualizzati. In parallelo, c’è l’obiettivo dell’elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente naturale, che completa la dignità della persona nella sua capacità di vivere in simbiosi con la natura. La crescita economica equilibrata, la stabilità dei prezzi, l’economia sociale di mercato fortemente competitiva, il progresso scientifico e tecnologico, la giustizia, la protezione sociale, la parità fra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni (e perché non anche fra le persone della stessa generazione?), la tutela dei diritti del minore, la solidarietà tra gli stati membri e, ancor più, la creazione di un mercato interno e l’istituzione di “un’unione economica e monetaria (la cui moneta è l’euro)” sono, con diversi livelli di prossimità rispetto all’obiettivo finale, obiettivi intermedi o meri strumenti operativi.

Con un’espressione di sintesi, alla luce dei trattati dell’UE, l’enfasi va posta sulla dimensione sociale piuttosto che sulla dimensione dell’elevata competizione di mercato. Infatti il sintagma “economia sociale di mercato fortemente competitiva” viene specificato con l’indicazione “che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”. “Piena occupazione” e “progresso sociale” sono così gli unici obiettivi finali esplicitamente indicati, mentre tutti gli altri sono presenti in quanto caratteristiche di àmbito necessarie affinché si possano realizzare i due obiettivi finali predetti. Infatti, un obiettivo finale non può riguardare che la persona umana, la sua piena realizzazione; non certo delle caratteristiche d’àmbito, quali sono il mercato interno fortemente competitivo, l’istituzione di un’area monetaria unica, la stabilità dei prezzi, il progresso scientifico e tecnologico…

Questa verità viene di fatto chiaramente ribadita dall’Art. 9 del TFUE:

Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana.

Daniele Ciravegna

 

 

 

 

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