Savino Pezzotta ha inviato uno scritto agli amici di Politica Insieme ( CLICCA QUI ) che richiama la necessità di  superare molte delle confusioni che circolano sull’idea di ricostituire una nuova presenza politica di cattolici. Aperta ai  non cattolici  convergenti  sulla considerazione di quanto si debba cambiare radicalmente questo Paese.

Lo abbiamo detto: questa Italia deve aprirsi ad una fase profondamente innovativa. Non bastano più le proposte ispirate ad un riformismo di maniera. Insufficiente, purtroppo molto spesso vuoto di passioni umane e di solidarismo, come quello espresso verso la fine dello scorso millennio, perché giocato in relazione a dinamiche economiche e sociali sorpassate e finalizzato a mantenere lo status quo.

Stefano Zamagni, nel corso dell’evento romano organizzato da Politica Insieme presso l’Istituto Sturzo, lo scorso 3 luglio, ha giustamente ricordato che”  l’opzione riformista è inadeguata quando si vive un tempo straordinario come è l’attuale, connotato dai due fenomeni di portata epocale della nuova globalizzazione e della quarta rivoluzione industriale”.

I punti cruciali attorno a cui si gioca la possibilità di partecipare all’avvio di una “ fase nuova” sono, dunque, soprattutto di natura programmatica.

La nostra visione è ancorata al Pensiero sociale della Chiesa in continuo aggiornamento,  in relazione ai mutamenti mondiali e nazionali cui assistiamo. Si tratta di un messaggio dalla portata universale perché al centro restano l’essere umano e il suo carico di speranze e di delusioni. Un essere umano inteso nella sua integralità, il cui profilo esistenziale  e materiale richiama attenzione e cure quanto le questioni etiche, a partire dal rispetto della intera sua vita e della sua dignità.

In questo  si misura e si precisa la nostra identità senza alcuna intenzione di dare vita ad una esperienza politica e istituzionale di stampo clericale o integralista.

Molto ci sarebbe da dire, in ogni caso, su quella che è chiamata la fine dei partiti identitari, spesso confusi con i partiti ideologici.

Stando all’Italia di oggi, infatti, viene immediato chiedersi: forse che Lega e 5 Stelle non sono partiti identitari? Si tratta, certo, di una forma di identità che noi avvertiamo lontana.

Se partiamo dal significato etimologico della parola identità, esatta uguaglianza e coincidenza, vediamo sancita da quelle due forze  l’esclusione di ogni possibilità che la propria fisionomia subisca una contaminazione da parte di altri. Non sono ossessionati  dal continuo richiamo della loro individualità ed autenticità?

Sono entrambe organizzazioni che esaltano il senso di coscienza e di appartenenza, singola e collettiva.

Il loro carattere fortemente identitario non si dispiega politicamente in un modo che a noi piace. Non per questo, però, possiamo dimenticare quegli elementi di identificazione che i loro seguaci, soprattutto oggi quelli della Lega, fino a un anno fa quelli del movimento fondato da Beppe Grillo, hanno saputo trasformare in efficace azione propagandistica e ricerca del consenso.

Ciò precisato e ribadendo che la questione dell’identità significa non tanto la chiusura in un fortilizio inaccessibile, bensì la definizione di un insieme libero ed originale di pensiero e di metodo da portare nell’iniziativa pubblica. E’ evidente che essa è punto di partenza, ma non supera da sola le difficoltà legate all’avvio di un’azione che, da che mondo è mondo, significa mettere insieme  chi la pensa nello stesso modo, chi ha la stessa visione delle cose, chi sente vive comuni radici.

La capacità di iniziativa dovrà inevitabilmente fare il resto. E’ accaduto positivamente ai grillini e alla Lega e, come accaduto per loro,  una presenza programmatico – politica intelligente potrebbe fare la differenza.

Il nostro concetto di identità è legato alla scelta di voler  essere uomini liberi. Intenzionati ad interloquire con altri uomini liberi. O da liberare altri ancora da disuguaglianze economiche, da disagi sociali, da carenze culturali e civiche cui deve rispondere sempre meglio il sistema educativo e formativo.

Vogliamo così inserirci, in adesione ad un pensiero forte da recuperare, con tanti altri ispirati cristianamente o meno che siano, in quel processo di rimozione di tutti gli ostacoli frapposti ad  un moderno modo di partecipare alla vita pubblica.

E’ chiaro che l’iniziativa politica che intendiamo costruire debba essere d’impronta nazionale, europeista, socialmente solidale ed inclusiva, intenzionata a lavorare per la Pace e il dialogo tra  popoli e stati.

Siamo certi che non si tratta di riproporre semplicemente esperienze del passato. Così com’è evidente che nessuno pensa di dare vita a  un unico partito in cui tutti i cattolici si ritrovino indipendentemente dal loro sentire politico e sociale. E’ inutile ritornare a ricordare che l’unità politica dei cattolici non è mai esistita.

Guardando al passato,  abbiamo ben chiari i motivi dell’insuccesso di iniziative pur generose, ma insufficienti: errori fatti nella scelta dei compagni di strada, limiti nel solo  declamare la definizione di una identità come esclusivo talento da portare in dote, opportunismi nel pensiero e nel comportamento pratico, confusione tra tattica e strategia. Soprattutto,  incapacità a capire che i riferimenti storici ed ideali devono tradursi in efficace e  concreta partecipazione al dibattito politico sulla base della corretta interpretazione della realtà nuda e cruda qual è  e non accontentarsi, solamente, di un richiamo ideale che potrebbe più far parte dell’accademia che della politica.

Nessuno di noi vuole ricreare il Partito popolare di don Luigi Sturzo o la successiva Democrazia cristiana. Sono esperienze da lasciare alla storia.  Vi si può guardare recependo, però, la potenza che le vicende ad esse legate dispiegarono nel loro tempo perché mosse da uno slancio di generosità civile e sociale.

Questo porta a maturare la consapevolezza che oggi dev’essere proposto qualcosa di assolutamente nuovo. Altrimenti, la discussione sul partito assume i tratti kafkiani dell’assurdo o pirandelliani delle tante verità.

Siamo mossi  dalla disincantata certezza che nessuna delle attuali forze presenti in Parlamento ci rappresenti.

Per questo, non ci convince affatto chi si dice contrario al “ partito identitario”, piegando questo termine ad una declinazione imprecisa e di comodo, e intanto si acconcia a creare correnti e correntine in altri partiti.

Stiamo con Papa Francesco che lo scorso 4 marzo ha ricordato : “ Essere cattolico nella politica non significa essere una recluta di qualche gruppo, organizzazione o partito, bensì vivere dentro un’amicizia, dentro una comunità”.

Ecco che il concetto di autonomia, a noi è così caro, per qualche verso fondante, per prima cosa significa ripudio dell’omologazione e, quindi, del mero calcolo utilitaristico o di parte nel pensare e nell’agire politico.

In un quadro dominato da formule stereotipate, dalla ristrettezza della conoscenza e dalla mancanza di analisi e di riflessione, essa dischiude la possibilità di mettersi coerentemente in sintonia con quei fenomeni contemporanei, spesso repressi o distorti in modi anche subdoli, che esprimono una reazione all’ingabbiamento in modelli unici di pensiero.

Per noi autonomia e specificità significano per prima cosa essere coerenti con una visione universale che punta a trasformare i conflitti politici e sociali in dialettica costruttiva, sulla base del coinvolgimento piuttosto che dell’esclusione; l’ascolto invece che della chiusura preconcetta; l’apertura alla novità e a ciò che appare diverso, in alternativa al rifugio nella durezza d’animo e nella limitazione del ragionamento.

L’autonomia sturziana rappresentava in primo luogo lealtà  verso uno Stato che fino ad allora i cattolici avevano vissuto come estraneo ed ostile. Oggi, è chiarezza offerta alla società intera, qual essa è, cioè pluralista, ma debole nei confronti di poteri invasivi, manipolatori e massificatori.

Autonomia quale scelta di libertà, dunque. Liberazione e  richiamo per energie altrimenti sopite e per talenti inespressi perché rifluiti in qualche forma di personale ripiegamento o in un impegno civile, ma parziale. Da soli, però, riflusso e impegno limitato non riescono a contrastare il ben più possente individualismo sfrenato che crea lo “ scarto” umano e sociale cui assistiamo e che ignora e nega ogni attenzione e congiunta sollecitudine verso la persona, la società, la natura, come proclama la Laudato Sì.

Ecco perché un’inedita attenzione da parte di chi è ispirato cristianamente verso le”  cose” che abbiamo in comune può servire ad avviare una fase nuova per una società bisognosa della dedizione di chi sceglie la ricomposizione piuttosto che lo scontro radicale e”  scommette” sullo sviluppo perché esso può non significare solamente il saccheggio dell’ambiente, l’esclusione dei più deboli, l’emarginazione e il degrado delle periferie e di quanti sono estraniati dai processi di partecipazione e di inclusione.

Giancarlo Infante

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