“Etsi Deus daretur”: Papa Benedetto, d’un sol tratto, ha rovesciato – ancor prima di assurgere al Pontificato – nel suo esatto contrario, il postulato della modernità ( Etsi Deus non daretur), da cui gli illuministi prendono le mosse alla ricerca della fondazione di un diritto e di una morale che prescindano pregiudizialmente da Dio.
Affronta la modernità sul suo terreno. Accetta il dialogo sul piano della ragione e delle categorie che ne conseguono. Rivendica la ragionevolezza della fede e, dunque, la piena facoltà della religione a intervenire sul piano del “politico”, dove reca istanze fondamentali per la costruzione di una civiltà in grado di dare piena espressione ai valori ed alle potenzialità della nostra comune umanità. I laici più avvertiti lo riconoscono, per quanto ritengano che il discorso religioso debba essere ascritto alla sfera del mito, da cui andrebbe traslato sul piano della razionalità.
In questa cornice, anche ciò che attiene al discorso politico non si risolve nell’opinabilità del contingente, bensì ha essenzialmente a che vedere con la libertà e con la verità. Si apre, dunque, uno spazio di confronto e di ricerca, tra chi crede e chi non crede, tra ragione e fede, tale da consentire ad ognuno, nel pieno esercizio della propria autentica libertà, di riconoscere quei valori e quei principi che attengono alla dignità inalienabile ed incontrovertibile dell’uomo e giungono a svelarne la verità per assumerla come criterio comune di una convivenza civile condivisa.
Via via che ci avviciniamo all’Assemblea fondativa del partito di ispirazione cristiana, questa impegnativa nozione merita di essere ancora approfondita. Dobbiamo essere consapevoli che un progetto d’iniziativa politica è ricondotto a una visione cristiana dell’uomo e della vita, per quanto l’impegno politico dei cattolici venga sempre accostato con il riferimento obbligato ai concetti di “centro” e di “moderazione”, assunti in termini riduttivi. Siamo immersi in uno spazio dialettico in cui ci sta tutta quella “trasformazione” cui pensa Stefano Zamagni nel nostro Manifesto ( CLICCA QUI ).
Viviamo una secolarizzazione compiuta. Come accade in ogni fase storica giunta all’apogeo del suo sviluppo, ci si affaccia inevitabilmente su un tempo nuovo che mostra le pose unilaterali e i limiti del passato finendo per evolvere verso il “post-secolare” di cui si discute oggi. Anche pensatori fieramente laici, sono costretti ad ammettere come un radicale e definitivo superamento della dimensione religiosa della vita si sia rivelato illusorio. Cosicché, è d’obbligo ammettere che la coscienza religiosa non resta confinata nella interiorità delle singole coscienze, dove perfino loro sarebbero disposti a riconoscerne l’esistenza, bensì debba necessariamente assumere un rilevo pubblico e civile.
Una proposta d’ispirazione cristiana, se capace di essere vera ed autentica, può apparire agli occhi di qualcuno radicale e fors’anche scandalosa e provocatoria. Se indaghiamo la sua radice più profonda, infatti, possiamo cogliere una concezione della libertà diversa. Alternativa al concetto da cui è ristretta oggi dalla cosiddetta “autodeterminazione” propugnata dalla cultura individualista ed autoreferenziale secondo la quale la vita è da ritenersi possesso rigorosamente esclusivo, piuttosto che dono come la intendiamo noi.
Il nostro concetto di libertà è dunque ben segnato, fin nella sua prima origine, da un’attitudine a rapportarsi alle cose del mondo secondo la loro effettiva consistenza sulla base di una dipendenza e di una reciprocità che illuminano e offrono il senso compiuto della realtà ed, in quanto tali dunque, fondano una libertà autentica e realmente consapevole.
Se entriamo nel solco, appena e malamente accennato, della riflessione di Papa Ratzinger, se ci accostiamo al compito cui sono richiamati i credenti sul piano politico e civile, dobbiamo ammettere che l’impresa della costituzione di un partito di ispirazione cristiana è quanto mai ardua ed esige un’importante partecipazione popolare e un’altrettanto rilevante mobilitazione intellettuale. Soprattutto, constatiamo che il suo, prima che un ruolo di potere, è un compito di verità e un concorso ad accrescere il potenziale di libertà vera ed effettiva che anima il nostro contesto civile e politico.
Si tratta, allora, di concepire un partito in un certo senso “diverso” che non esaurisce la sua ragion d’essere e la propria funzione sul piano meramente elettoralistico perché la sua presenza è in sé un valore, quasi a prescindere dalla misura del consenso raggiunto. Fondamentale, infatti, è il consenso e la sua misura quantitativa, ma anche il tenore della motivazione che lo promuove, la convinzione meditata e fondata e, dunque, la “cifra” valoriale che l’accompagna.
La nostra impresa, così, giunge ad un appuntamento decisivo, da lungo tempo preparato nel segno di un lavoro collegiale e diffuso che ha coinvolto tanti amici, lontano da ogni tentazione leaderistica, accompagnato anche da una dialettica interna, è pur sempre il sale della democrazia, sostenuto da un forte impegno inclusivo che ha già mostrato risultati importanti. Eppure, siamo consapevoli di avviare un percorso destinato ad affrontare ancora tornanti per nulla facili e scontati.
Domenico Galbiati