E’ stato facile profeta Stefano Zamagni a dire che non sarebbe durata (CLICCA QUI). Anche se con Donald Trump non si può mai essere certi di niente.

Un Trump con il volto, se possibile,  più arcigno che mai, ed elevando il ragionamento con frasi a dir poco volgari. Prima, ha detto di avere una fila di postulanti pronti a, diciamo così in modo un po’ più educato, “baciargli la pantofola” pur di vedersi abbassare i dazi. In sostanza, ha ribadito il concetto di sentirsi il padrone del mondo. Poi, con un improvviso voltafaccia, che vedremo se durerà, ha fatto l’annuncio clamoroso della marcia indietro. Di colpo, ha fatto balzare le borse americane all’insù dopo molti giorni di fortissimi cali.

Trump aveva aperto crepe profonde tra i suoi stessi sostenitori ed alleati. A partire da Elon Musk e da numerosi parlamentari repubblicani. The New York Times di questa mattina rivela delle pressioni che, oltre al Ministro del Tesoro, Bessent, già dato per dimissionario, sono venute dal Vice Vance perché giungesse a definire una politica commerciale più ragionevole e più strutturata visti i crolli in borsa dei portafogli dei suoi amici magnati e dei colpi portati a tutti i risparmiatori americani.

Alla fine, è stato costretto a venire a più miti consigli. Potrà sempre dire, ammesso, lo ripetiamo, che non cambi presto idea, che ha portato il mondo intero a trattare con lui.

Resta il punto a dir poco critico dello scontro con la Cina che ha risposto a Trump senza tentennamenti. Così come ha fatto il Canada cui pure non si dovrebbe applicare la moratoria di tre mesi annunciata ieri. E nel primo caso la situazione è da considerarsi preoccupante perché scontri commerciali del genere nei secoli scorsi hanno sempre portato ad un conflitto vero e proprio. Quell’idea che, del resto, Trump non ha mai smesso di accarezzare guardando alla Cina. Anche se la mancata soluzione della guerra in Ucraina gli pone un problema di non poco conto: le relazioni tra Mosca e Pechino che non sembrano aver subito incrinature. Anzi, i portavoce di Mosca avevano subito criticato senza mezzi termini l’impennata dei dazi decisi da Washington. E, inoltre, guarda caso, proprio in questi giorni, avviene che gli ucraini catturino un soldato cinese in armi con le truppe russe e fanno circolare le immagini di altri combattenti cinesi schierati a sostegno di Mosca nel Donbas.

Di tutto quello che Trump aveva promesso non si è visto alcunché. La guerra in Ucraina va avanti e Mosca non sembra davvero intenzionata a seguire la tabella di marcia indicata dal Presidente americano con la promessa di far finire il conflitto con una sola telefonata a Putin. Adesso, è costretto a cambiare, almeno momentaneamente, la strategia inventata a colpi di barriere doganali per far vivere agli americani una nuova “stagione dell’oro”.

L’unica cosa che va secondo i suoi piani riguarda il sostegno all’azione militare di Israele contro i palestinesi perché, ma la cosa non meraviglia, Trump non tiene in alcuna considerazione la denuncia mondiale diffusa di cui si è fatto interprete anche il Segretario generale dell’Onu Guterres che ha accusato Israele di aver trasformato Gaza in un vero e proprio campo di sterminio.

Ma tanto a Trump cosa interessa? Come Stalin lo faceva del Papa, il Presidente americano chiederà di “quante divisioni” dispongano le Nazioni Unite.

Per ora, fatto salvo che la tragedia palestinese che sembra far segnare il passo all’Accordo di Abramo, cui tanto egli teneva e tiene, Trump ha dovuto prendere atto che, almeno di natura economica, ci sono al mondo entità come l’Europa, la Cina, i mercati finanziari che le “divisioni” ce l’hanno. E sono pronte ad usarle soprattutto dove lui è più debole: l’elettorato americano fatto a sua immagine e somiglianza. Come lo ha rimesso sugli altari può farlo discendere per l’aumento del prezzo delle uova o i continui devastanti crolli della borsa.

Giancarlo Infante

 

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