Esiste tutta un’area interna al mondo politico cattolico che si può definire quelli in attesa di Godot. Di questi amici abbiamo già avuto modo di parlare ( CLICCA QUI ) perché l’aspettativa che il Pd diventi un partito “plurale” è dura a morire. Temo che, in realtà, quanti si trovano in questa particolare condizione sanno benissimo che il desiderio non si avvererà. E’ difficile evitare di vedere che non ne esistono, oggettivamente, le premesse. Volendo insistere con il riferimento alla corrente letteraria teatrale dell’assurdo, potremmo persino definirlo un partito in cerca d’autore.

Questo Partito democratico è una sommatoria d’interessi parziali che rendono di fatto impossibile il dispiegarsi di un processo di rigenerazione. Per quanto ci riguarda, è persino probabile che la legge elettorale proporzionale, a proposito della quale sembrano essere cadute anche le contrarietà di Salvini, lo porterà a definire sempre più una propria immagine e caratura che ben poco hanno a che fare con la cultura politica del cattolicesimo popolare e democratico.

E’ evidente che la cosa sta rendendo sempre più difficile la coabitazione almeno con una parte di quanti, di provenienza democristiana, sono presenti o schierati con quello che ancora definiamo il partito di centrosinistra. Così, avvertiamo la consistenza del processo di allontanamento in corso da parte di gruppi e di singoli cattolici costretti a registrare il bilancio negativo segnato, anche su questo versante, nell’oltre doppio decennio e mezzo caratterizzato dal dualismo di contrapposizione bipolare alla destra.

La questione è riproposta da continue prese di posizioni che fanno riflettere, comunque,  su quanto sia duro a morire il ricordo di quello che si potrebbe definire il “primo amore” e, soprattutto, guardando alla concretezza di una diaspora che continua ( CLICCA QUI ).

Una diaspora che non ha più il vigore dei tempi andati. E’ cosa stanca. Frutto di quello che si presenta come uno stato di necessitata afasia. Perché dettata dall’esigenza di difendere oramai residuali rendite di posizione e la difficoltà a leggere con occhi nuovi il mutevole spartito che le condizioni antropologiche, sociali, economiche e politiche ci pongono sotto gli occhi.

La giustificazione più ricorrente è quella della battaglia contro il “salvinismo”. Nonostante sia evidente quanto questo fenomeno, rappresentato da un miscuglio di antieuropeismo e dell’idea bislacca di trasformare la Lega in partito nazionale di estrema destra, stia miseramente fallendo.

Oggi, potremmo quasi spingerci a sostenere che, se tutti gli altri non facessero errori clamorosi, Matteo Salvini potrebbe finire per rappresentare una fase superata della vicenda politica italiana ed europea. C’è persino da chiedersi se davvero egli abbia mai costituito un’ipotesi credibile, al di là della politica raccontata sulle prime pagine dei giornali non sempre coincidente con quella vera. I gravi errori commessi dal capo della Lega sono del resto insiti e propri di una strategia cui mancavano, e mancano, le fondamentali capacità di analisi dell’evoluzione del quadro internazionale ed europeo che, oggi, sembra stia mettendo le cose nella giusta prospettiva. L’alternativa sarebbe quella di concepire la possibilità che l’Italia  diventasse una più grande Albania simile a quella di Enver Hoxha.

Gli amici che continuano a giustificare la necessità di un rapporto da mantenere con l’area del centrosinistra attuale, sulla base della inevitabilità di contrastare Matteo Salvini, rischiano d’impostare tutto il loro ragionamento partendo da presupposti superati. Come se poi la competizione con la Lega  fosse obbligatoria perseguirla solo seguendo linee, linguaggi e metodo prospettati dal Pd. In ogni caso, quanto questo modo di concepire l’attuale fase politica rischi di essere obsoleta lo si potrebbero meglio scoprire a seguito dell’arrivo di una nuova legge elettorale destinata a segnare un passaggio di mutazione analogo a quello vissuto dal Paese nel biennio 1994 1996.

E’ per questo volersi preparare a una stagione nuova, che noi parliamo di una piena autonomia. Un’autonomia che è, assieme, il rifuggire dalle vecchie logiche di schieramento, ma anche la ricerca, difficile e faticosa, di un pensiero originale. Si tratta di partecipare alla dialettica politica occupandosi della concretezza delle cose sulla base di quella ispirazione cristiana che, nella scelta popolare e cristiano democratica, rifugge da ogni integralismo e autoreferenzialità.

Il momento è realmente drammatico e, se davvero non si vuole fare vincere una destra confusa e confusionaria, c’è il dovere di uscire dagli schemi astratti di collocazione destinati a breve a rivelarsi non più giustificati.

Il caro amico Giorgio Merlo su Il Domani d’Italia ( CLICCA QUI ), in particolare riferimento al rapporto con il Pd, parla di “contendibilità” della cosiddetta “area politica e culturale di centro”. Egli parte, giustamente, dalla considerazione che è difficile  “ delimitare e circoscrivere con esattezza – soprattutto nell’attuale fase politica – il centro” e dalla constatazione di quanto sia problematico ”nell’attuale contesto politico ridare voce e gambe ad un partito di centro”. Non certamente perseguendo l’illusione di pensare a riproporre l’esperienza della Democrazia cristiana, neppure in “formato bonsai”, come spiritosamente Merlo chiosa.

Però, Giorgio sembra finire per rimandare il tutto ad una capacità del Pd di praticare una politica di centro e, se non sbaglio in questa mia valutazione, si ritrova a fornire un’interpretazione delle cose del tutto opposta rispetto alla nostra.

Non credo proprio che esistano le condizioni perché il Pd sia in grado di “farsi carico” della cultura di governo propria di quel mondo che, per comodità lessicale, chiamiamo del “centro” e, quindi,  attendersi da Nicola Zingaretti e dai suoi sostenitori “non di predicare ma di praticare, cosa ben più difficile e complessa, anche una politica di centro”.

Così Giorgio Merlo scrive: “Si può fare? Sì, si può fare. Basta volerlo, come sempre. È una semplice questione di volontà politica. Tocca a tutti gli esponenti di questa cultura, di questo patrimonio ideale e di questa pratica politica saper declinare concretamente, senza arroganza e supponenza, questa esigenza e questa domanda politica nel Pd. Appunto, basta volerlo”.

Nel Pd?,  è immediato chiedersi. Torniamo allo stato di attesa e ai personaggi pirandelliani? Siamo davvero incapaci a vedere i comportamenti concreti dei Partito democratico,  caratterizzati da autoreferenzialità e sostegno esclusivo della “ditta” di bersaniana memoria, di cui ci ha appeno detto Ivo Foschini ( CLICCA QUI ) e recentemente confermati dagli atteggiamenti tenuti in occasione delle elezioni dell’Umbria e dell’Emilia? Oltre che dal modo in cui il Pd sta andando agli appuntamenti elettorali delle regioni chiamate al voto alla fine dell’estate. La tenuta di quel partito è davvero al limite del collasso, se solo si guarda alle situazioni emergenti in realtà come quella campana e quella pugliese dove il gioco è sostanzialmente condotto non dal Pd, bensì dal ruolo personale svolto dai due governatori uscenti.

Noi, è il caso di dirlo francamente e definitivamente, crediamo in altro. Siamo convinti che sia necessario  diventare adulti e liberarsi di schemi mentali che, del resto, già non valevano più nel recente passato. Quando in maniera plateale è emersa l’inconsistenza dell’equilibrio bipolare, forzatamente imposto dalle leggi maggioritarie succedutesi negli ultimi due decenni. In fondo, la Lega di Salvini e i 5 Stelle cosa rappresentano se non il rifiuto di questo schema di riferimento? E cosa rappresenta il sempre più diffuso astensionismo?

La ricerca del centro non può più essere ridotta all’individuazione di una forza, o di più forze politiche che, improvvisamente, saltando tutte le logiche antecedenti, si pongano in una posizione intermedia, ma sempre restando inserite, provando persino a perpetuarlo, in un uno schema di contrapposizione tra gli estremi.

Non credo  che quanti vogliano davvero rigenerare il quadro politico possano rimanere in una dimensione dove si finisce per parlare e praticare una politica astratta che trascura le dinamiche sociali, unico riferimento solido per l’avvio di un processo di ricomposizione. Questo è semmai il vero terreno sul quale sfidare Salvini, da una parte, e il Pd, dall’altra. Perché è sulle questioni concernenti il domani delle componenti reali della nostra società che si gioca anche il futuro politico del Paese. Questioni che sono anche antropologiche ed esistenziali a proposito delle quali la nostra alternatività resta vivida e ferma  sia rispetto a Salvini, sia al Pd.

Giancarlo Infante

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