Riprendo l’ultimo articolo di Gianni Noia sulla riserva frazionaria ( CLICCA QUI ), perché ci dà una dimensione interessante in campo monetario. I privati che creano ricchezza. Lui la chiama illusione, ma quelli, per fortuna o purtroppo, sono soldi veri. E sono lo spazio di libertà che le Banche Centrali lasciano ai sistemi economici per crescere e produrre valore. Quindi, è giusto approfondire la questione, anche perché esiste un esempio recente e, secondo me, molto attinente di cosa succeda se questi spazi non sono controllati.
Premessa: tutte le maggiori crisi dell’ultimo secolo sono state, invariabilmente, precedute da una espansione monetaria. È una costante classica. Per molti, direi la quasi totalità, degli esperti in materia questa non è la causa. Esiste un’opinione contraria, però. E fa leva sull’idea che i cosiddetti errori del mercato altro non siano che decisioni corrette su previsioni errate generate da una cattiva politica monetaria. Se il denaro costa meno del mese scorso, aumentano i prestiti, e questo fa girare l’economia, io posso pensare che l’economia sia in espansione. Dopotutto, in caso di crescita reale, i segni sarebbero precisamente quelli. Purtroppo, lo stesso effetto lo si può simulare iniettando liquidità direttamente nel sistema.
Il risultato è il medesimo del benessere fornito dai narcotici: simile a quello reale, porta con sé nefaste conseguenze. La gente si comporta come se fosse davvero ricca. Finché qualcosa non si rompe. Ovvero, finché i segnali della realtà indicano che non è affatto vero che tutto vada bene. Per esempio con un crollo dei rendite immobiliari. A quel punto il mercato prova a correggersi, andando ad attingere alle riserve. Che, però, non esistono perché sono state usate per innescare la reazione. In questo scenario, si genera la corsa alle vendite e la bolla collassa. Se questa descrizione è da molti messa in dubbio se applicata alla crisi americana del 2008, è invece certamente alla base di quella cinese del 2015.
Al termine dell’onda lunga della crisi dei mutui subprime, in Cina c’era bisogno di ripartire. Ma non potendo fare credito direttamente, lo Stato decise di chiudere un occhio sul sistema, già esistente ma molto piccolo di credito informale. Prendete l’esempio dell’articolo precedente e usatelo alla lettera. Davvero c’erano privati che facevano riserva frazionaria. Perché? Per uscire dalla crisi la Cina ha varato un piano di stimolo economico da mezzo trilione di dollari. I fondi per finanziarlo, però, c’erano solo in parte e gli investimenti internazionali non coprivano la restante parte. Quindi si è rivolta sia alle banche ufficiali, che a prestatori non ufficiali.
Ovviamente, questo generava due problemi: forniva liquidità ad un sistema senza controlli e rendeva difficile, se non impossibile, riportare tutto alla normalità in tempi ragionevoli. Non si poteva, infatti, farlo emergere se non a costo di una svalutazione monetaria insostenibile. Nel 2012 sono cominciati gli scricchiolii. Nel 2013 i crack dei fondi più esposti. Ovviamente, a fronte di un sistema opaco e privo di certezze gli errori si sono sommati. Il risultato è stato il collasso dell’estate del 2015. Quando Shangai ha perso un terzo della capitalizzazione. Cos’era successo? La gente, a seguito della ripresa dei mercati dell’anno prima, aveva cominciato a prendere a prestito soldi per investirli in Borsa. Convinti, da una parte, che i tassi sarebbero rimasti bassi e dall’altra che il mercato avrebbe continuato la sua corsa.
Poi qualcuno ha cominciato a sospettare che non sarebbe stato così, soprattutto perché il settore immobiliare, l’oggetto del pacchetto di stimoli già menzionato prima, era entrato definitivamente in crisi. Troppa produzione, poca domanda, crollo dei prezzi, default dei prestiti, rientro sui fidi e scoppio della bolla. La Cina ne è uscita iniettando liquidità del sistema, puntellando un edificio in cui si erano create crepe profonde. Questo è costato molto al paese, e tutto per non aver voluto fare una cosa che, da noi, la BCE fa ogni giorno.
La riserva frazionaria, come detto, è dolorosamente reale. E la Banca Centrale deve tenerne conto. Non se ne può fare a meno perché altrimenti il sistema non sarebbe abbastanza elastico per crescere ed affrontare le emergenze (come si è visto in Cina), ma non può nemmeno essere lasciata a se stessa, altrimenti andrà fuori controllo. Nel metro ci devono essere sempre cento centimetri. Se si viene meno a questo compito, se la sorveglianza manca troviamo i danni di cui sopra. Ecco perché ogni sistema parallelo va vagliato con severità e senza ideologie.
E l’anarchia, in questo sistema complesso ed interconnesso, non ce la possiamo permettere. Per questo il Bitcoin non ha mai realmente preso piede: le Banche Centrali non sono infallibili (basta vedere la Fed ha permesso di fare ad inizio anni 2000 con i mutui ipotecari), ma senza si corre il rischio di un settore ombra sottoposto a continue espansioni ed esplosioni, abbastanza forti da minare la fiducia degli investitori. E persa quella, verrebbe meno il maggiore patrimonio degli ultimi 150 anni: la possibilità di avere mercati sempre più grandi e sempre più liberi.
Luca Rappazzo
Immagine utilizzata:Pixabay