Ringrazio davvero per il commento ricevuto privatamente dal prof. AntonGiulio de Robertis, che interviene valentemente su Politica Insieme per le questioni internazionali, sul mio recente intervento a proposito dell’incontro tra Giorgia Meloni e Viktor Orban ( CLICCA QUI ). Mi sembra opportuno rispondere pubblicamente per precisare la posizione nei confronti della destra, cui la leader di Fratelli d’Italia appartiene. 

Immediati mi sono stati stimolati alcuni quesiti di fondo: i giudizi politici sui partiti, e sui loro leader, su cosa devono essere basati? E nel caso specifico di Giorgia Meloni e degli esponenti, ma anche dei militanti, del suo partito? Giacché, evidenti sono provenienza ed ispirazioni, cui si aggiungono espliciti  comportamenti e la continuata acquiescenza  a posture in grado di definire la personalità pubblica complessiva di quella organizzazione politica. Poco cambia quando alcuni di loro rispondono alla domanda “fascista?” sostenendo di essere “patrioti”. Un modo di eludere e di non fare i conti con un problema serio, ma che comunque porta ad una sola risposta “in italiano”: estrema destra.

Pubblichiamo così, prima, i passaggi salienti del messaggio ricevuto dal prof. de Robertis e, poi, la mia risposta.

Gentile direttore,
pur avendo seguito fin dall’inizio i post di Insieme, mi sono sempre astenuto dall’intervenire su questioni di politica interna perché normalmente sono concentrato sulla politica internazionale. Sento però il dovere, come ex democristiano (moroteo a quel tempo) di abiettare a quanto lei ha scritto sull’incontro Meloni Orban.
Innanzi tutto non trovo accettabile che ogni posizione conservatrice espressa nel dibattito politico venga definita di estrema destra, ignorando il fatto che esiste una destra tout court, le cui posizioni andrebbero discusse e non rifiutate a priori.
In secondo luogo non mi pare che una politica intesa al “rispetto  delle sovranità nazionali, della famiglia naturale e dell’identità cristiana, dell’economia sociale di mercato evochi  “un guazzabuglio non indifferente di concetti mal assemblati fra di loro”, mi pare piuttosto che essi siano stati i pilastri della proposta politica avanzata dell’unione europea dei partiti democratici cristiani, poi scioltasi nel partito popolare europeo. PPE che come lei stesso ha scritto ha poi incominciato a seguire politiche ultra-liberiste (che io in altri saggi ho definito turboliberalismo) e intolleranti di ogni dissenso. Mi permetto di far presente che chi scrive è stato assiduamente partecipe, in rappresentanza della democrazia cristiana, dei lavori dell’Unione Europea dei Partiti Democristiani e di essere anche stato uno dei membri individuali del PPE al momento della sua creazione: una figura poi eliminata dallo statuto per l’eccessivo numero ( creatosi successivamente) di richiedenti tale qualità, cui era difficile rispondere negativamente.
L’Europa, come lei scrive correttamente, è nata in primo logo per superare i nazionalismi si, ma non per annullare le nazionalità, ora definire sovranisti o razzisti  tout court coloro che si levano a rivendicare e difendere la specificità appunto delle nazionalità, assai spesso largamente coincidenti con etnie specifiche, non mi sembra corrisponda all’eredità ideale dell’Unione Europea dei partiti democristiani.

La mia risposta

Le cronache dei giornali sono piene zeppe di informazioni sui comportamenti e le dichiarazioni di iscritti e dirigenti di Fratelli d’Italia senza che poi seguano provvedimenti adeguati da parte dei vertici dell’organizzazione guidata da Giorgia Meloni. Atteggiamenti da neofascisti, razzisti, xenofobi di cui non dovremmo tenere conto? Lo stesso vale per la linea complessiva che segue il partito di Viktor Orban in Ungheria. Che poi egli interpreti un’idea cristiana, come ho già scritto ( CLICCA QUI ), d’impronta conservatrice protestante, ma solleticando una tradizione tutta di estrema destra mi convince veramente poco.

Non è assolutamente il caso del prof. de Robertis, ma esiste il vezzo di presentare la politica italiana come se tutti i gatti che vi miagolano dentro fossero “bigi” e di accontentarsi di poche paroline di circostanza per sorvolare su tante cose. Ma le cose non stanno così. E’ necessario essere fermi attorno ad alcuni valori, ad esempio quelli dell’antifascismo, senza tanti tentennamenti e compiacenze, proprio mentre assistiamo a cose che non sono da nuovo millennio. Con i gruppi di esagitati che infiltrano i no vax e soffiano sul fuoco del “negazionismo” della pandemia. Finalmente, sembra che anche la ministra Lamorgese si sia svegliata, dopo la sonnolenza in cui è sprofondata durante il “rave party” di Viterbo.

Si tende ad accontentarsi di dichiarazioni d’ordine generale senza preoccuparci della coerenza con la storia che ognuno si porta dietro, oppure con quella storia chiudere con chiarezza. Ciò è frutto di alcuni mali emersi con preoccupante continuità da quando è nata la cosiddetta Seconda Repubblica: il pensare che la politica coincida con il vuoto, e spesso retorico, “dichiarazionismo”, con l’allegata consapevolezza che, tanto, nessuno si ricorda il giorno dopo che cosa si è espresso il giorno prima; ridurre il tutto a giochi di posizionamento, e per fare questo si assumono delle posture, degli atteggiamenti che sanno più di schermo televisivo, piuttosto che l’impegno a dimostrare, carte alla mano, la fondatezza dei propri assunti e delle proprie prese di posizioni. Per non parlare poi della mancanza di comportamenti coerenti in sede anche legislativa. Infine, il presentarsi per quello che non si è.

L’importante è partecipare al grande circo della politica italiana: molte chiacchiere, poco pensiero, libero sfogo al camaleontisno. Ora, preciso subito di ritenere che  Giorgia Meloni in qualche modo sfugga a questo modo di fare. Dice chiaro e tondo di essere di destra e di credere nella destra. Noi ne prendiamo atto e … le distanze. Il suo sovranismo è da destra estrema, così come il suo nazionalismo che, a mio avviso, non corrisponde a quel sano sentimento nazionale che anima anche me stesso  e, credo, la stragrande maggioranza degli italiani.

Non vedo come le posizioni della Meloni siano assimilabili ad un conservatorismo di stampo liberale che tanto ha permeato la cultura politica e gli equilibri politici europei. Poi che sia stata eletta Presidente dei conservatori e dei “riformisti” ( ???? ) europei, distinti in ogni caso da altri raggruppamenti di centrodestra, sta solo a confermare l’opportunismo intellettuale che, oramai, domina sovrano un po’ dappertutto. A sommesso mio avviso, a poco serve disquisire sull’uso del termine “estrema”.  Mi interessa constatare come tantissime posizioni di Giorgia Meloni vengano da lontano. Da troppo lontano. A partire da quelle antieuropeiste proprie di quella cultura della destra europea ben consapevole che l’Europa è nata in alternativa anche ad essa.

Ma lasciamo gli aspetti generali. Noi crediamo in una politica non ideologica. Siamo interessati a confrontarci con tutti, ma sulle proposte concrete. La nostra, infatti, è una cultura politica popolare, alternativa sia al conservatorismo, sia al socialismo, come insegnarono don Luigi Sturzo, De Gasperi e Aldo Moro. Nel riferirci all’ispirazione cristiana, cioè a sollecitudine e all’attenzione verso le cose del mondo attingendo all’Insegnamento sociale della Chiesa, ci poniamo il problema del rapporto con il pensiero e l’azione delle altre realtà politiche. Della destra come della sinistra. Ma consapevoli del fatto che quel rapporto debba essere misurato sulle proposte programmatiche da portare all’attenzione del Paese. Finora, anche su questo, poco c’è da confrontarsi con Fratelli d’Italia su temi come quella solidarietà e quella Giustizia sociale che a noi stanno preminentemente a cuore.

Con la onorevole Meloni si presenta subito un disaccordo, per motivi storici, culturali, ma anche concreti che si riferiscono al contesto internazionale, che è quello dell’ostilità al processo d’integrazione europeo.

Mi sembra eccessivo il trovare una coincidenza delle enunciazioni della Meloni su ““rispetto  delle sovranità nazionali, della famiglia naturale e dell’identità cristiana, dell’economia sociale di mercato”, con quella dei partiti democratici cristiani che, non a caso, hanno addirittura sospeso Orban dal Partito popolare europeo. A conferma che in politica non basta fermarsi alle enunciazioni generali per valutare la bontà o meno di una posizione o di un atteggiamento.

E’ evidente che sia sempre necessario chiarirsi sulla terminologia utilizzata. Il parlare di “ordoliberalismo”, come fa giustamente spesso il prof de Robertis, significa cominciare ad indicare meglio la distinzione tra libertà,  liberalismo e quel tipo di liberismo economico che ha finito per mettere in allarme persino i sostenitori del capitalismo fondato sulla cosiddetta economia reale.

Non mi risulta che il mondo della destra da cui proviene Giorgia Meloni abbia mai creduto nell’economia sociale di mercato, la quale sul piano teorico si distingue dalle concezioni economiche della destra politica e degli interessi economici di cui essa è espressione. Non è un caso che in tutti i paesi in cui è stata, almeno in parte, applicata è sempre stata osteggiata dagli ambienti più conservatori.

In ogni caso, tutti siamo costretti a prendere atto di quanto sia necessario che il nostro pensare si evolva in relazione all’imponente trasformazione in atto nel mondo. Il che significa tenere conto dei mutamenti geopolitici di cui il prof. de Robertis è profondo conoscitore, quelli economici, l’evoluzione del mercato del lavoro, degli equilibri energetici e dei nuovi modelli energetici, e dell’importante incedere e influire dell’innovazione, e così via. Al punto che sempre più spesso parliamo, magari in maniera vaga, ma riferendoci a cose concrete cui assistiamo, della necessità di cambiare i paradigmi di riferimento in tutti gli ambiti che riguardano l’umanità.

Per quanto concerne l’economia sociale di mercato, nello specifico, vi è da considerare inoltre che dei passaggi più avanzati bisognerebbe pure cominciar a concepire in relazione allo svilupparsi dell’economia civile, grazie alla quale si supera le storiche paralizzanti polemiche e dicotomia tra statalismo e mercato.

Ecco perché mi sono permesso di definire le enunciazioni assemblate ad uso declaratorio e giornalistico da parte di Giorgia Meloni e da Viktor Orban “un guazzabuglio non indifferente di concetti mal assemblati fra di loro”. Non è un esercizio polemico, che sicuramente lascia il tempo che trova, ma solo la constatazione che ancora una volta i politici parlano d’altro a quattr’occhi e, poi, ci offrono “un piatto” retorico e demagogico. Cosa che, almeno io, non valuto adeguato alle sfide che abbiamo dinanzi come italiani e come europei.

Giancarlo Infante

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