Enzo Carra scrive sull’HuffingtonPost che la fondazione del Pd cominciò “malino” ( CLICCA QUI ).  C’è da credergli visto l’osservatorio privilegiato da cui ha seguito in diretta tutte le vicende che portarono, nel 2006, alla nascita del Partito democratico sulla base dell’idea che fosse possibile “fondere” assieme l’anima post comunista e quella degli ex democristiani e dei rappresentanti di altri partiti un tempo parte di quello che si era chiamato a lungo centrosinistra.

Non è riuscita bene la fusione a freddo. Lo stesso accadde a quella di Martin Fleishmann e di Stanley alla fine degli anni ’80, smentita da tutti gli scienziati che contavano nonostante il clamore della stampa. Carra sostiene che fu frutto della “fretta”. Si era in prossimità del secondo grande scontro del centrosinistra con Silvio Berlusconi e, così, è sempre lui a ricordarlo, invece di “fondere” si amputò. La gamba della sinistra e quella della Margherita sparirono senza che questo significasse un’integrazione “di valori e tradizioni”. La raffigurazione di un “corpaccione” senza grandi capacità di movimento potrebbe apparire valida ancora oggi agli occhi dei più critici nei confronti del partito di Nicola Zingaretti.

Il governo Prodi durò solamente un paio d’anni. Rivinse Silvio Berlusconi proprio mentre a via dell’Umiltà, dove aveva la sede Forza Italia, qualcuno dei suoi pensava, invece, che fosse già definitivamente finita male la stagione della “discesa in campo”. I casi della vita! Naufragò, invece, il partito dalla “vocazione maggioritaria” vagheggiato da Veltroni, più guardando alle tradizioni degli Stati Uniti che alla variopinta e molto meno lineare realtà italiana. Da quel momento, fu il Pd a entrare in un lungo cono d’ombra da cui riuscì miracolosamente a uscire, non per meriti propri, grazie al provvidenziale arrivo del governo Monti, nel novembre del 2011.

Ci si trovò di fronte alla contemporanea crisi del berlusconismo e del centrosinistra. Cominciò ad andare a pezzi, Carra lo ricorda bene, anche lo schema bipolare che aveva fino ad allora condizionato, e forzato, lo scontro politico in Italia. In quel contesto arrivò l’esecutivo guidato da Enrico Letta, seguito dallo “stai sereno” di  Matteo Renzi destinato, però, ad essere solo una parentesi nella parentesi rimasta aperta perché neppure lui fu in grado di risolvere l’enigma del Pd. Ha finito, infatti, per abbandonarlo.

Nel resoconto di Enzo Carra questa parte non è raccontata. Probabilmente, ne parlerà in un’altra occasione. Lungo il filo logico da lui seguito, infatti, sarebbe stato un di più giacché sembrerebbe che molte cose, anche se cambiate, ci stiano riportando, ne più ne meno, a quel prima del 2006. Anche se le gambe cui ci si riferisce sembrano diverse: il Pd e i cosiddetti ” moderati” formati dal trio Renzi, Calenda, Bonino.

C’è una grande consonanza tra quello che scrive Carra e le considerazioni di Domenico Galbiati ( CLICCA QUI ) su un Pd che appare, più che mai, solamente un “aggregato elettorale” e che, pertanto, senza una strategia, il partito del centrosinistra provi ad appoggiarsi a quella nuova “gamba” che si chiama 5 Stelle. Giustificato il “sospetto” che il Partito democratico sia solo ridotto a pensare alla ricostituzione di una specie di Ulivo con i pentastellati?

Conclusione di Carra: “Nel patrimonio genetico del Pd c’è la disinvoltura di mettere molte cose insieme ed è invidiabile la levità con la quale sa realizzare atti apparentemente contro natura. Il sì al taglio dei parlamentari, dopo tre no, è un esempio di quanto sia rimasto nel Pd di quel patrimonio genetico. Lasciare gli eretici per abbordare i neofiti: la politica non è più riflessione ma sovrapposizione. La politica è copula”.

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