Basta chiedere all’Intelligenza artificiale qual è lo stato delle spese mitari nel mondo per trovare risposta alla domanda su che senso abbia, da parte dei paesi Nato, portare al 5% del Pil le spese militari.
La Ai chiarisce, infatti, che “le spese militari in Europa hanno raggiunto livelli record negli ultimi anni, con un aumento significativo rispetto al passato. Secondo i dati disponibili, le spese militari complessive dei paesi dell’Unione Europea hanno toccato i 279 miliardi di euro nel 2023, aumentate del 17% nel 2024, e raggiungendo, così, i 326 miliardi di euro.
Secondo i dati disponibili, i 32 membri della NATO – nel mondo i paesi sono circa 200- coprono il 55% della spesa militare totale, con 1.506 miliardi di dollari spesi nel 2024, anno in cui gli investinenti degli USA sono stati di 997,309 miliardi di dollari, con un aumento del 5,7% rispetto all’anno precedente, pari al 37% del totale globale delle spese militari.
La Cina ha speso 314 miliardi di dollari, la Russia 149 miliardi di dollari. Poi vanno aggiunti i consistenti finanziamenti nel settore di paesi come l’India e quelli arabi.
Il problema che ci riguarda, salvo affrontare il tema della più equa distribuzione delle spese, non è, quindi, della quantità, bensì della “qualità” e dell’efficienza. Per di più, in un contesto di stagnazione economica e di gravi squilibri sociali che permangono dopo il Covid e le conseguenti ricadute sull’inflazione e il calo della produzione.
In ogni caso, resta ancora confuso lo sbocco di un tale “riarmo”. Un termine che per primi i suoi convinti sostenitori non vogliono sentire pronunciare perché ben sanno come la stragrande maggioranza degli europei vogliono, semmai, più sanità e più scuola.
Riarmo nazionale, europeo o della Nato? Magari un mix confuso e ancora del tutto vago. Al punto che si spiegano le oggettive difficoltà in cui si trovano molti governi. Incluso il nostro che nei mesi scorsi ha assunto posizioni diverse fino a sposare la tesi imposta da Trump e dai paesi del centro nord europeo che vivono le relazioni con Mosca in termini oggettivamente più spasmodici. Ciò spiega perché il “riarmo” è diventato pietra d’inciampo anche per molti partiti transnazionali, come il gruppo dei social democratici, che non mostra una uniformità di pensiero al riguardo. Sull’altro versante, spicca la posizione spagnola che ha rifiutato di partecipare al progetto sostenendo che riesce, comunque, ad ottemperare alle richieste limitando al 2,1 lo sforzo economico oggettivamente necessario.
Si agita lo spettro di un potenziale scontro con la Russia che secondo alcuni costituirebbe una minaccia concreta. Una Russia che, come dimostrano gli sviluppi della guerra in Ucraina, puntando tutta la propria Dottrina militare sui sistemi d’arma nucleari e missilistici, non può andare oltre il sostanziale fallimento dimostrato a ridosso dell’estremo confine orientale d’Europa.
Sottolineare una tale considerazione non significa ignorare rischi e pericoli, bensì che anche le spese della Difesa debbono entrare in una visione equilibrata e ragionevole. Senza perdere di vista la consapevolezza che la pace non si previene solo preparandosi alla guerra, ma perseguendo adeguate strategie diplomatiche. Certamente mancate dopo che si era cercato – Berlusconi lo aveva fatto- di sintonizzarsi su altre lunghezze d’onda. Al punto che si dette vita al G8, con la partecipazione di Mosca, cosa destinata a durare solo dal 1997 al 2014 quando la Russia decise di annettere la Crimea.
Ed è quanto sostanzialmente sostiene oggi Donald Trump quando dice agli altri del G7 che Putin avrebbe dovuto sedere tra di loro. Cosa che fa emergere la diversità di prospettiva esistente tra USA ed europei. Con Washington impegnata sul versante del Pacifico e noialtri preoccupati da Putin.
Ma questo aggiunge interrogativi al tema del 5%. E si è autorizzati a chiedersi se il vero obiettivo di Trump non sia solo di natura commerciale, nel senso che una buona parte delle spese europee in materia d’armamenti finirebbero oltre Oceano.
Nel contesto attuale, è indubbiamente necessario riequilibrare il contributo di ciascuno e risolvere i problemi persistenti di efficienza e di riorganizzazione. Questo si. Così come non possono essere ignorate le tensioni dei giorni nostri, l’evoluzione della tecnologia militare e tenere conto delle tante forme di guerra oggi possibili: dall’ambito cybernetico a quello spaziale e a quello terroristico.
L’Europa non può non chiedersi, però, quanto tutto ciò giustifichi un tanto enorme ampliamento della sua spesa militare che, guardando all’insieme dei paesi europei, resta seconda solo a quella USA e sempre prima della Cina e molto, ma molto più rilevante di quella russa.
L’Italia, inoltre, è vincolata dall’Art 11 della Costituzione da cui è discesa, e discende, la nostra politica militare: tutta concepita attorno al concetto esclusivo della sola difesa.
La conclusione non può che essere affidata alle seguenti parole di un importante personaggio della storia politica e militare statunitense che non può certo essere bollato come un pacifista sognatore, Dwight Eisenhower. Il quale cosi si espresse al momento del suo discorso di commiato dalla Casa Bianca nel 1961: “nei consigli di governo, dobbiamo guardarci dall’acquisizione di un’influenza ingiustificata, cercata o meno, dal complesso militare-industriale. Il potenziale per il disastroso aumento del potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i processi democratici. Non dovremmo dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza attenta e ben informata può obbligare a unire adeguatamente l’enorme apparato di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme …”.
Giancarlo Infante