Il “Corriere” pubblicava ieri l’altro, in prima pagina, un articolo di Henry Kissinger, ricco di intuizioni e di spunti da approfondire, in ordine alle enormi trasformazioni che l’Intelligenza Artificiale può determinare in ogni profilo della nostra esistenza. Non escluso il modo di conoscere, la struttura dei nostri processi cognitivi: quindi oltre la frontiera che immette ai versanti più strettamente personali di ognuno.

L’IA occupa da tempo, e in misura via via più assillante, i giornali e i nostri pensieri. Il fatto che, nella sua tarda età, vi presti tanta attenzione un personaggio come Kissinger, che ha interpretato, per un importante tratto del secolo scorso, un ruolo preminente sul piano delle relazioni internazionali, è già di per sé significativo. Quando un argomento diventa così pervasivo, per un verso, è bene perché lo si esamina da tutti i punti di vista possibili, per altro verso, si rischia di “bruciarlo”, di cuocerlo e consumarlo in una ridda di giudizi più o meno esperti che rischiano di smarrire il vero merito della questione.

Succede, per l’IA, quel che si verifica a fronte di ogni altra tecnica, soprattutto “bio”, talmente avanzata da essere avvertita, almeno da taluni, come una latente minaccia ai nostri consolidati equilibri somato-psichici ed alla stessa identità del’ “umano”. Assistiamo ad un fenomeno – lo abbiamo osservato, in termini macroscopici, in merito ai vaccini anti-Covid – tale per cui, nei confronti della tecnica, in senso lato, si formano almeno due fronti di pubblica opinione, a loro volta increspati da onde che ne danno una lettura piuttosto articolata in quanto alle motivazioni prevalenti nell’uno o nell’altro campo.

Da un lato, consenso, anzi ammirazione e spesso entusiasmo, accompagnato da un sentimento di protezione, di rassicurazione e, perfino, di potenza, di giusta gratitudine e di fiducia nei confronti della scienza. Dall’altro, diffidenza, sospetto ed anche paura, timore di complotti, impressione di essere assoggettati a poteri indecifrabili, inaffidabili, oscuri ed esoterici.

Si dovrebbe esaminare a fondo questa radicale divaricazione di giudizi, cercare di comprenderne le vere dinamiche.
Perché dopo qualche secolo di “illuminismo” e di esaltazione della Ragione e di un progresso “necessario”, progressivo, continuo, ineludibile, a suo modo capace di farsi da sé, si sono così ampiamente diffusi atteggiamenti talmente circospetti nei confronti della scienza? Si tratta di uno scenario di cui dovrebbero preoccuparsi, più di quanto non facciano, la scienza per un verso, per altro verso la politica.

La scienza rischia di inciampare seriamente in una interpretazione impropria del suo ruolo, tale da poter rappresentare, ad un certo punto, un serio ostacolo sul suo cammino. Insomma, deve uscire da una certa autoreferenzialità e spiegarsi meglio.  Deve rinunciare ad una presunzione di onnipotenza, accettare, con la dovuta umiltà, che tutto ciò che e’ opera dell’ uomo ed ha carattere storico deve necessariamente riconoscere dei limiti da osservare. Deve prendere atto di non essere, come molti oggi presumono o pretendono, l’unico linguaggio che sia in grado di accedere alla realtà del mondo e di non essere capace, ne’ le compete, di dare risposta a tutte le domande di senso che sorgono nel cuore dell’ uomo.

Peraltro, la scienza non è democratica e risponde solo al suo codice epistemologico. E’ eminentemente libera e tale libertà le va riconosciuta. E’, per sua intrinseca natura, globale da sempre. Da ben prima che la “globalizzazione” si imponesse come cornice o orizzonte generale del nostro tempo. Non compete ad alcuna autorità, men che meno allo Stato, ma neppure ad interessi che si configurano in vari forme, imporre agli scienziati quali orientamenti debbano privilegiare ed assumere nella progettazione delle loro ricerche. Tutt’al più, in senso lato, si possono indicare campi di indagine che fanno riferimento ad obiettivi che la collettività avverte come prioritari. Ad esempio, privilegiare gli investimenti nella ricerca bio-medica piuttosto che in altri settori ed in questa orientarli in funzione di patologie prevalenti in funzione dei piani sanitari di un certo del paese, a loro volta guidati da valutazioni epidemiologiche.
Peraltro, sapendo che la scienza e’ “una” e sostanzialmente, nel suo ambito complessivo, tutto si tiene. Cosicché, al di là del proliferare di differenti indirizzi e, entro ciascuno di essi, di specializzazioni sempre più particolareggiate, l’ “interdiplinarieta’” ne rappresenta un tratto costitutivo essenziale.

Per quanto concerne la politica, essa deve imparare ad affrontare temi che sono in larga misura nuovi ed esigono di essere compresi a fondo. Non ascrivibili a questa o quella maggioranza di governo, ma piuttosto affidati al libero confronto parlamentare. Punto di approdo e sintesi, se possibile, di un concorso di riflessione che attraversi la stessa società civile.

“L’ Intelligenza Artificiale – afferma Kissinger – non è umana. Non spera, non prega, non ha sensazioni. Non ha consapevolezza o capacità riflessive”. E aggiunge: “……..limitare l’ intelligenza artificiale, collaborare con essa o rimettersi completamente ad essa”. Evoca in tal modo, la responsabilità cui la politica è chiamata dalla necessità di riconoscere, porre o meno limiti e governarli, in nome di un’etica comune e condivisa tutta da costruire.
Per noi, partendo dalla cultura del personalismo cristiano, ontologicamente fondato.

Domenico Galbiati

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