Da qualche anno a questa parte sosteniamo, su queste pagine, l’opportunità che, nella condizione data del nostro sistema politico, anziché inseguire quel supposto “Centro” di cui – non a caso – nessuno riesce a definire né una decente fisionomia progettuale e programmatici né stabilire chi ne siano o ne debbano essere personaggi ed interpreti, ci si concentri su come si possa trarre il Paese fuori dalla camicia di forza del “bipolarismo maggioritario” che lo attanaglia e, via via, ne soffoca la fiducia nei valori della democrazia.
Il bipolarismo invocato, a suo tempo, come compimento, nel senso dell’alternanza, della nostra democrazia difficile, è andato incontro ad un processo di eterogenesi dei fini, tale per cui, anziché il risultato atteso, ha dato luogo ad una condizione di alternatività – o meglio, più chiaramente, di antiteticità, cioè di reciproco rigetto – tra i due poli del sistema. I quali vivono di una reciproca delegittimazione e, dunque, di una radicale incomunicabilità che produce un duplice effetto di estremizzazione. Il primo, spinge l’uno e l’altro dei due poli alle estremità dell’arco parlamentare; il secondo, privilegia le posizioni estreme anche all’interno di ciascuno di essi.
Questo avviene, anzitutto, perché – a dispetto di tanti osservatori o politologi che conoscono la “politica”, quella che pulsa quotidianamente nelle arterie e nelle vene del Paese, solo attraverso il filtro astratto dei loro voluminosi tomi – l’Italia è un Paese talmente plurale, ricco di storia, di culture, di arte, di mille articolazioni locali e funzionali, di tanti dialetti, di corpi intermedi, di tante forme di volontariato solidale, da essere irriducibile ad ogni forma di obbligata “bipartizione”, che può funzionare altrove, ma nulla ha da spartire con la vivacità spontanea, con il genio – e la sregolatezza? – del popolo italiano.
La politica ha, ben più di quanto siamo disposti a credere, una sua geometria intrinseca che non può essere elusa e, qualora venga forzata, presenta, a suo tempo, il conto. È lo stesso motivo per cui nessuno è in grado di portare alla luce il suddetto “Centro”, per il semplice motivo che non c’è, non esiste, non è previsto e non ci sta nell’ordine naturale delle cose, così come si pongono in questo momento.
La reciproca delegittimazione di cui sopra, infatti. se è un cappio al collo del Paese, è custodita concordemente e gelosamente dalle due parti, dato che rappresenta la loro garanzia di sopravvivenza, attraverso
un’azione congiunta di blindatura del sistema. Tale per cui chi vince, vince; chi perde, perde e aspetta il prossimo giro, certo di restare comunque nel gioco.
Anche sul piano programmatico, paradossalmente, si puntellano, nella misura in cui la contrapposizione pregiudiziale delinea il programma di una parte sul ricalco all’incontrario dell’altra e viceversa. Ne consegue che il nostro sistema politico ha bisogno di una duplice alternativa: la prima nel sistema, la seconda di sistema. La prima, per mandare a casa la destra; la seconda, per mandare in soffitta il “bipolarismo maggioritario”.
A questo punto, un “Centro” che si ponga come forza di interposizione tra le due parti – i “caschi blu” della politica – anziché contestare il sistema bipolare nel suo aspetto strutturale, finirebbe per confermarlo, dandogli, perfino, una apparente legittimità.
Nella logica bipolare, che vinca una parte o l’altra, nulla cambierebbe nella ferale fisionomia di un sistema che, di volta in volta, allontana, sempre più, gli italiani dalle urne. Al punto che le stesse differenze programmatiche, per quanto rilevanti, finirebbero in secondo piano.
Per questo, come già detto, da anni consigliamo che la si smetta di parlare di “Centro” e si dia vita, al di fuori – non nel bel mezzo – del perimetro dell’attuale sistema, ad una forza che ne metta in discussione l’intero impianto. Cominciando – ma è solo il primo atto – a restituire l’Italia alla responsabilità degli italiani, attraverso una legge elettorale di carattere proporzionale, che, restituendo loro la facoltà di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento, via via li riconcili con il valore dell’attiva partecipazione alla vita civile e democratica del nostro Paese.
Domenico Galbiati