La storia d’Europa è stata sempre caratterizzata non solo da guerre e conflitti, ma anche da grandi tentativi di pacificazione. Tuttavia, vi è una netta distinzione tra il pacifismo ideologico e la pacificazione cui si ispira, oggi, il mondo cattolico. Il primo, tipico del Novecento, è spesso stato un movimento velleitario, condizionato da posizioni antiamericane, anticoloniali e antiimperialiste. Il secondo, invece, affonda le sue radici nel messaggio evangelico, proponendo una riconciliazione tra i popoli senza rinunciare alla difesa della giustizia e della libertà.

La Chiesa cattolica non è sempre stata contraria all’uso delle armi. La Bibbia parla di un “Dio degli Eserciti”, e l’Antico Testamento è ricco di episodi di guerre combattute per la liberazione del popolo ebraico. Anche il cristianesimo medievale ha giustificato la guerra in determinati contesti: le Crociate, pur con i loro eccessi, furono viste come una risposta alla conquista islamica di Gerusalemme.

Tuttavia, con l’ingresso nell’era moderna, la Chiesa ha progressivamente assunto un ruolo di mediatrice, opponendosi sempre più all’uso della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Un punto di svolta fu la Prima guerra mondiale, quando Papa Benedetto XV condannò il conflitto definendolo una “inutile strage”. Nel Novecento, la Santa Sede ha intensificato il suo profilo pacificatore, promuovendo il dialogo e il rispetto tra le nazioni, come dimostrano le iniziative diplomatiche di Pio XII, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Parallelamente, in Occidente si è diffuso un pacifismo di matrice ideologica, che ha spesso assunto connotati radicali. Durante la Guerra Fredda, molti movimenti pacifisti si sono schierati contro l’Occidente e gli Stati Uniti, mentre rimanevano spesso indulgenti verso l’Unione Sovietica. Il pacifismo ideologico, più politico che morale, si è ripresentato anche in epoche più recenti, spesso con posizioni ambigue di fronte a regimi autoritari come quelli di Mosca o Pechino.

Oggi l’Europa si trova di fronte a un bivio. L’espansionismo russo, con l’aggressione all’Ucraina, e il crescente protagonismo della Cina impongono una riflessione sulla sicurezza e sulla difesa comune. L’Unione Europea non può permettersi di cadere nella trappola di un pacifismo sterile e disarmante. Se il pacifismo ideologico rischia di trasformarsi in una resa incondizionata, l’atteggiamento pacificatore della Chiesa ha il merito di agire sulle coscienze individuali, ma difficilmente può influenzare la “ragion di Stato” delle grandi potenze. Se c’è un insegnamento che la storia d’Europa ci consegna, è che la pace non si costruisce mai su un’illusione. La deterrenza ha sempre giocato un ruolo fondamentale nell’equilibrio tra le nazioni. L’Europa, per secoli, ha saputo difendere i propri confini con la diplomazia, ma anche con la forza quando necessario. Dal Sacro Romano Impero all’Impero Asburgico, dalla Santa Alleanza alla Guerra Fredda, l’equilibrio geopolitico si è sempre retto su una combinazione di strategia e capacità militare.

Oggi questo principio vale più che mai. Se l’Europa vuole davvero essere uno spazio di pace, deve avere i mezzi per difenderla. Una politica di difesa comune, una capacità di deterrenza credibile e un rafforzamento delle proprie istituzioni politiche e militari non significano abbandonare i valori della pace, ma garantirne la sopravvivenza in un mondo sempre più instabile. In questo contesto, il riarmo europeo non deve essere visto come una minaccia, ma come una necessità. Non si tratta di adottare una politica bellicista, bensì di dotarsi degli strumenti necessari per non essere ostaggi di potenze straniere. L’eventuale disimpegno degli Stati Uniti dalla NATO, annunciato da Donald Trump, è un segnale che l’Europa non può ignorare: è tempo di assumersi la responsabilità della propria sicurezza.

Il problema di fondo è che l’Europa, dopo la Seconda guerra mondiale, ha costruito la propria identità su un ideale di pace che, se da un lato rappresenta un valore positivo, dall’altro ha alimentato un’illusione: quella di poter esistere come potenza senza una reale capacità di autodifesa. Ma la pace non è garantita solo dalla diplomazia e dal diritto internazionale. Senza un esercito comune, senza un’industria della difesa all’altezza delle sfide globali, senza una strategia di sicurezza unitaria, l’Europa rischia di rimanere un gigante economico ma un nano politico e militare.

Nel corso della storia, grandi leader europei – da Carlo Martello a Carlo V, da Metternich a De Gaulle – hanno saputo coniugare la difesa dell’Europa con la diplomazia. Oggi, la sfida è costruire un’Unione Europea non solo economica e culturale, ma anche militare e strategica. Solo così il vecchio continente potrà tornare a essere uno spazio di pace, accoglienza e prosperità, senza rinunciare alla sua capacità di difendersi. L’Europa è chiamata a un nuovo inizio. Deve ritrovare il coraggio di essere protagonista del proprio destino, con la consapevolezza che la pace si costruisce con il dialogo, ma si garantisce, contrariamente a quello che sostengono i pacifisti, anche con la forza.

Michele Rutigliano

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