«Conoscere il passato serve a capire il presente e costruire il futuro», ha ricordato Corrado Augias al Festival delle Idee, organizzato a Bologna da “Repubblica”. Una verità oggi più attuale che mai, mentre il mondo sprofonda in un presente inquieto, segnato da conflitti regionali sempre più numerosi e da una crisi profonda della leadership globale.

La recente guerra tra Israele e Iran, esplosa in una regione già attraversata da fratture insanabili, è solo l’ultima scintilla in un panorama pronto a esplodere. Se l’Iran, come minacciato, dovesse colpire basi occidentali nel Golfo Persico o nel Canale di Ormuz, anche l’Europa, pur riluttante, potrebbe ritrovarsi coinvolta. Le guerre avanzano, si moltiplicano, ma le superpotenze si ritirano, si contraddicono o si muovono senza una visione. Gli Stati Uniti, oscillanti tra interventismo selettivo e disimpegno, appaiono più concentrati sulle proprie tensioni interne che sulla stabilità globale. La Russia, nel suo ruolo revisionista, ha abbandonato qualsiasi funzione diplomatica per farsi aggressore.

La Cina osserva, misura, ma non interviene. L’Europa, infine, resta prigioniera di se stessa: forte economicamente, ma debole politicamente.

Le lezioni ignorate della storia

Questo scenario globale nasce anche da un’inquietante rimozione del passato. Le grandi civiltà del Mediterraneo e dell’Europa — Roma, Bisanzio, l’Impero Carolingio, quello Austro-Ungarico — avevano ben chiaro che potere e responsabilità sono inscindibili. La Pax Romana si fondava su forza militare e integrazione culturale. Federico II, con la sua corte multiculturale, cercò un equilibrio tra Oriente e Occidente. Napoleone, pur tra contraddizioni e ambizioni personali, impose un’idea politica all’Europa. L’Impero asburgico tentò, per quanto imperfettamente, una convivenza tra popoli diversi. Oggi, invece, la diplomazia è ridotta a gesti formali o incontri senza esiti.

Dove sono finiti l’intelligenza e la lungimiranza di Henry Kissinger, che con la diplomazia del “ping-pong” aprì un dialogo tra America e Cina in piena guerra fredda? Quella manovra non fu solo un colpo tattico, ma un capolavoro strategico fondato sulla visione di un ordine multipolare e negoziato.

Un mondo frammentato e senza guida

Nel XXI secolo non esplodono più guerre mondiali, ma una moltitudine di conflitti regionali: Ucraina, Siria, Yemen, Sudan, Caucaso, Gaza. Ognuno ha cause specifiche, ma tutti generano effetti globali. Il commercio, i flussi migratori, la sicurezza energetica e informatica dipendono sempre più da eventi lontani che ci toccano da vicino.

Le superpotenze, tuttavia, sembrano incapaci di gestire questa complessità: si proteggono, si ritraggono, inseguono il consenso interno invece di proporre soluzioni globali. Intanto, nazionalismo e populismo riaffiorano ovunque, riproponendo le retoriche del primo Novecento: il “noi contro loro”, il mito della sovranità assoluta, la demonizzazione dell’altro. Il risultato è una regressione morale e culturale, che riporta le relazioni internazionali a una logica di potenza senza mediazione.

Ora tocca all’Europa riprendersi il suo ruolo. 

Se vogliamo davvero costruire un futuro di pace, l’Europa deve smettere di essere solo un mercato e diventare finalmente un soggetto politico. Serve una difesa comune, una politica estera unitaria, una strategia geopolitica autonoma ma leale nei confronti degli alleati.

Serve soprattutto una classe dirigente che conosca la storia e sappia trarne insegnamenti. La pace si costruisce prima con la memoria e con la cultura, poi con le istituzioni e con la forza, se necessaria. Il passato non è nostalgia: è uno specchio critico per giudicare il presente e progettare un domani diverso.

E senza questo sguardo lungo, continueremo a ripetere errori che la storia aveva già raccontato — e spesso pagato — a caro prezzo.

Michele Rutigliano

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