Mancando Silvio Berlusconi, nessuno è in grado di certificare che Tajani abbia o meno il quid. La formula magica che il fondatore di Forza Italia assegnava o toglieva ai suoi principali collaboratori.

Di sicuro, è Matteo Salvini a non riconoscere a Tajani questo quid e sembra sviluppare una propria politica estera. Fino a giungere alla conversazione con il Vicepresidente americano Vance proprio nel pieno della più accesa polemica tra USA ed Europa. Una plateale invasione di campo cui è stata volutamente data una grande risonanza.

Sorvoliamo sulla precedente simile attitudine di Salvini che non ha mai nascosto la sua vicinanza a Putin. Ma in quel caso, come con Orban, aveva avuto almeno il garbo di mettere tutto sotto il cappello delle relazioni internazionali allacciate tra partiti.

Nel caso del colloquio con Vance, per i modi e i tempi, si è trattato di un vero e proprio controcanto a quella politica estera di cui Tajani reclama il pieno controllo assieme alla Presidente del consiglio. E non è certo un caso se gli impegni internazionali che riguardano il posizionamento italiano in Europa, oltre al confronto di prammatica in Parlamento, sono continuamente preceduti da vertici del trio Meloni, Tajani e Salvini. Dovranno rimandare a memoria ciò che sembra deciso e verificare una volta di più il pattinaggio sulle uova che la politica estera costringe a fare all’attuale maggioranza? In ogni caso, vertice o non vertice, la Lega che non si perita di ricordare ufficialmente i limiti del mandato concesso alla Meloni e a Tajani.

C’è da prendere atto che, sarà per ignoranza delle più elementari forme di rispetto degli altri governi, o per un preciso intento divisorio, che anche Vance non c’ha fatto una bella figura. I rapporti personali diretti tra governanti non sono mai mancati, ma nel passato si cercava sempre di mantenere il rispetto di un minimo di forma. Ed eventuali incontri venivano organizzati prendendo a pretesto occasioni informali che non rischiavano di intorbidire le relazioni ufficiali e far venire meno la considerazione dei ruoli e delle responsabilità istituzionali.

Il leghista Durigon a questi sgarbi ha aggiunto un sarcastico dileggio: che Tajani si faccia aiutare nella difficoltà. Giorgia Meloni tace. Sicuramente, se si decidesse a sottoporsi ad una seria intervista invece che a meno impegnativi monologhi, spiegherebbe che la politica estera del Governo è quella che lei presenta in Parlamento, sorvolando sul fatto che, in ogni caso, quale che essa sia non appare sempre chiaro come sarebbe necessario. E così le domande degli italiani aumentano trovandosi di fronte alla biga alata di Fedro. Con la differenza che non siamo certi della mani ferma dell’auriga in grado di governare due cavalli intenzionati ad andare in opposte direzioni mentre, al galoppo, se ne dicono di tutti i colori.

Giancarlo Infante

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