La settimana che ci separa dalla imponente manifestazione di Roma a sostegno dell’idea europea ha presentato il tradizionale caleidoscopio che forma la società italiana, la politica, gli intellettuali e la gente comune. La distanza tra quello che chiamiamo il paese reale e quello legale è apparsa ancora una volta enorme.

Una settimana di commenti e di reazioni riuscite a far passare in secondo piano l’essenza del messaggio spontaneamente levatosi da Piazza del Popolo, o almeno quello che a caldo subito cogliemmo. Non si è trattato di una riunione politica nel senso deteriore di quello che vediamo praticare a chi la politica la fa di professione e, tanto meno, di un assembramento partitico. Bensì di sensibilità che vengono prima della politica e dei partiti, di attese e di aspirazioni che, dunque, non avevano alcuna pretesa di diventare progetto preciso. Ecco perché quella gente in piazza a Roma, ma anche in altre città italiane, ha fatto parlare di “sognatori”(CLICCA QUI). Sognatori del tutto anomali perché non sono come quelli che la Treccani definisce “persona che è portata alla fantasticheria, che non ha spirito pratico”. Li abbiamo visti, infatti, “con i piedi per terra” perché sanno bene quello che non vogliono: la guerra, un paese debole ed emarginato. E, invece, chiedono una solidarietà sociale che, quanto più è condivisa al di là dei troppo angusti spazi nazionali, tanto più è forte, consolidata e, possibilmente, definitiva. A destra, ma anche a sinistra, non cogliere questo significa commettere un grave errore.

La destra, e soprattutto Giorgia Meloni, sbaglia a buttarla in caciara, a lasciare che i suoi ritirino fuori i vecchi armamentari sul comunismo. La sinistra non riflette sul fatto che Piazza del Popolo è stata tale per germinazione spontanea di un sentimento, fatto molto di preoccupazione per il futuro del Paese e, soprattutto, per le sue future generazioni che, dentro l’involucro del nazionalismo cieco ed ideologico, non si ritroveranno da nessuna parte. In fondo, quella manifestazione è nata in qualche modo indipendentemente dalle posizioni delle opposizioni, anzi, anticipandole e sollecitandole.

La reazione della Presidente del consiglio è stata davvero sbagliata, con il suo immotivato riferimento al “Manifesto per un’Europa libera ed unita”, noto come Manifesto di Ventotene, che come abbiamo già scritto dev’essere contestualizzato in quel 1941 in cui nacque. E sono stati due dei suoi autori per primi, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, a riconoscere successivamente le parti superate di quella Carta. Probabilmente, avrebbero ricevuto il plauso anche del terzo, Eugenio Colorni, se non fosse stato trucidato dai fascisti nel maggio 1944.

Giorgia Meloni in questa settimana dopo Piazza del Popolo fa sorgere dei grossi dubbi se davvero sia all’altezza dei problemi che l’Italia deve affrontare. E che sarebbe bene abbordare puntano a creare consensi più ampi e non ad irrigidire ed a rendere insanabili le divisioni. Su questioni su cui non c’è univocità di posizioni. Né a destra né tra le fila dell’opposizione.

Questioni come il riarmo europeo, quella del ruolo e continuità della Nato, dello scontro sui dazi con Trump, ma bene sarebbe aggiungere anche la ricerca di una soluzione ai conflitti d’Ucraina e israelo-palestinese, meriterebbero ben altra postura.  Senza indugiare sulla competizione a destra da tempo avviata da Salvini. Questo a maggior ragione nel momento in cui l’Europa sembra mettersi in cammino a diverse velocità su tutti i temi che la riguardano.

L’Italia rischia di essere, e un po’ su tutto, il vaso di coccio a rimorchio, magari recalcitrando, dei vasi di acciaio che vanno avanti sulla loro strada.

Giancarlo Infante

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