All’indomani dell’uccisione di Aldo Moro, l’on. Franco Salvi, che era stato per anni capo della sua segreteria politica e suo stretto collaboratore, osservava: “Un po’ retoricamente è stato scritto che dopo il 9 maggio non potevamo più essere gli stessi, che quel cadavere sotto una coperta rannicchiato nel bagagliaio di una macchina, ci avrebbe portato ad essere migliori, che questo sacrificio sarebbe stato per tutti una grande lezione morale”. E concludeva amaramente: “vorrei che tutti facessimo un esame di coscienza per veder se realmente siamo migliori oggi o non invece siamo ritornati ad essere gli stessi con i medesimi interessi, con pari ambizioni, con uguali difetti; e per di più senza chi poteva mediare ed essere elemento di unione e di moderazione”.
A 43 anni dalla sua morte, riscoprire la figura di Aldo Moro anche solo ripercorrendo le reazioni che attraversarono tutto il Paese nelle settimane cruciali del suo rapimento e nei mesi successivi alla morte, soffermandosi in particolare sulle realtà “periferiche”, è un’occasione per scoprirne ancora una volta la traccia di Aldo Moro nella storia italiana.
In un mio recente saggio (I giorni della violenza e dell’attesa, GAM Edizioni) ho voluto ricostruire per la prima volta in maniera organica le reazioni nella realtà bresciana, in modo particolare degli esponenti del variegato mondo cattolico (dalla DC alle Acli, dall’Azione Cattolica al sindacato), nel corso di quei drammatici giorni. Quasi in un diario quotidiano, con gli interventi degli esponenti dell’associazionismo, della politica, della chiesa, della cultura.
Come sappiamo il rapimento Moro giungeva nel pieno di una serie di episodi di violenza politica, un periodo passato alla storia con il nome di “anni di piombo”.
Anche il mondo cattolico bresciano, che aveva vissuto pochi anni prima la ferita della strage di Piazza della Loggia, si chiedeva come si era potuti giungere a tanta violenza.
Una tragedia che toccò tutto il Paese e arrivò a coinvolgere anche il bresciano Giovanni Battista Montini, amico personale di Moro fin dai tempi della Fuci, e che in quegli anni sedeva sul soglio di Pietro con il nome di Paolo VI.
Ed ecco allora le posizioni dell’Azione Cattolica, delle Acli, dei sindacati, dei dirigenti politici della Dc, da Franco Salvi al sindaco Cesare Trebeschi, importanti esponenti del clero come don Enzo Giammancheri o don Mario Pasini, dal segretario DC Ciso Gitti al presidente della provincia Bruno Boni, dai parlamentari Mario Pedini e Pietro Padula, fino a Mino Martinazzoli.
Articoli di giornale, prese di posizione, interventi pubblici, ma anche le lettere di semplici cittadini, o pensieri e disegni riportati nei diari scolastici dei bambini. Per un’angoscia ed una attesa che fu veramente di popolo.
Il segretario DC Ciso Gitti osservava lucidamente: “si è colpito Moro ma credo che si sia colpito in profondo e insieme in alto l’intera democrazia italiana. Moro è, con De Gasperi, per il ruolo storico che ha ricoperto, l’uomo del dialogo civile e rispettoso, l’uomo che forse più di ogni altro ha operato – geloso nella difesa dell’identità del nostro partito e del nostro ruolo – per intessere quelle indispensabili solidarietà che gli anni passati, quelli presenti e futuri del nostro paese richiedono”.
Il Vescovo Luigi Morstabilini in un momento così drammatico convocò un consiglio pastorale sul tema dell’impegno dei cattolici in politica, costringendo molti cattolici a svegliarsi dalla colpevole tentazione del disinteresse o del rifugio nel privato.
Il legame con la terra bresciana è sempre rimasto forte anche dopo la morte, nel tentativo di interrogarsi sull’insegnamento e sull’eredità politica di Aldo Moro.
Per oltre dieci anni vennero dedicati ad Aldo Moro i “convegni di Iseo” promossi dagli “Amici di Aldo Moro”, con Franco Salvi in primis, in cui parteciparono i principali leader politici italiani, e in cui non mancava mai la presenza – oltre che di Franco Salvi – anche di Mino Martinazzoli.
Quest’ultimo, richiamava spesso il celebre intervento di Moro all’assemblea dei gruppi parlamentari DC: “Se voi mi chiedete tra qualche anno cosa potrà accadere, io dico: può esservi qualcosa di nuovo. Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma non è possibile”.
E concludeva: “Dunque, oggi dobbiamo vivere, sapendo che proprio il modo in cui vivremo questo tempo sarà determinante per la qualità di quel nuovo che lui sembrava intravedere. Toccherà al nostro sguardo di farsi acuto; dovremo noi scrutare l’alba di questo domani, toccherà a noi passare il guado, attraversare una cruna molto stretta. Anche per questo, anche perché la memoria di Aldo Moro viva e cresca”.
Michele Busi