Il mito del posto di lavoro pubblico è tramontato? Dalla scarsa partecipazione ai concorsi per le assunzioni nella Pubblica amministrazione che hanno registrato un numero di partecipanti mediamente al di sotto dei potenziali candidati e persino una buona dose di rinunce da parte di quelli prescelti, parrebbe di sì. Anche se uno sguardo più attento alle cause del fenomeno suggerisce di evitare conclusioni affrettate.
La qualità dei profili oggetto delle selezioni risulta particolarmente elevata e prioritariamente orientata a potenziare, in particolare, le amministrazioni pubbliche con persone laureate nelle materie tecniche e scientifiche e assumere ingegneri, matematici, statistici, informatici, architetti, funzionali per potenziare in particolare gli apparati della progettazione, gestione e controllo della mole degli investimenti previsti dal Pnrr. Gli stessi profili che risultano di difficile reperimento per le imprese private che si contendono i potenziali candidati offrendo condizioni salariali e di lavoro migliori. Buona parte delle rinunce, circa il 60%, riguarda i candidati che hanno partecipato con successo a diversi concorsi pubblici potendo in tal modo selezionare l’offerta di lavoro migliore. Stimolati dalla scarsa appetibilità delle offerte di lavoro a termine, anche se di lungo periodo, e dei percorsi incerti di carriera che ne derivano.
Entrambi i fenomeni confermano la carenza nel mercato di un’offerta di lavoro corrispondente a fronte di una crescita della domanda di professioni qualificate sospinta dalle innovazioni tecnologiche nell’ambito di organizzazioni del lavoro più evolute.
Pesano in questo senso due fattori negativi. Il primo legato ai mancati investimenti sulle risorse umane da parte delle pubbliche amministrazioni. Nel corso degli anni 2000 il blocco del turnover è stato utilizzato come la misura lineare più efficace per ridimensionare la spesa pubblica trascurando l’impatto negativo legato all’invecchiamento medio della popolazione occupata. L’età media risulta superiore ai 50 anni, con il 55% superiore ai 55 anni, rispetto al 37% sul totale degli occupati. I giovani under 30 anni sono solo il 4,2%. Il mancato turnover ha generato anche squilibri interni alle singole amministrazioni in relazione alla specifica intensità degli esodi pensionistici. In grave sofferenza risulta in particolare il settore sanitario che sconta un deficit di programmazione delle politiche per il personale medico e infermieristico.
I numeri contenuti in una recente analisi della Commissione europea sono impietosi. La spesa per il personale della Pubblica amministrazione rapportata al Pil (9,5%) risulta di 3 punti inferiore a quella media dei Paesi Ue con una decrescita del valore reale della stessa pari a -15% negli anni 2000. Frutto delle politiche liberiste protese a ridurre il ruolo dello Stato nell’economia o dell’austerità imposta ai bilanci pubblici da parte delle Istituzioni dell’Ue? Sembrerebbe proprio di no, dato che nel frattempo la quota della spesa pubblica italiana sul Pil, che risultava in linea con la media europea (47,2%) nel 2000 è aumentata di oltre 5 punti rispetto ai 2 punti registrati sulla media dei Paesi aderenti, per via del maggiore tiraggio della spesa previdenziale e assistenziale.
Con l’ingresso di queste persone si punta a raggiungere due obiettivi primari: aumentare la capacità di spesa delle Pa, attesa l’esigenza di veicolare verso il sistema produttivo e le famiglie circa 250 miliardi di risorse europee e nazionali per investimenti e servizi entro il 2026; migliorare la qualità delle prestazioni erogate con un maggiore utilizzo delle innovazioni digitali.
Tutto ciò fa comprendere che quanto sta accadendo nella Pa sul versante della produzione dei servizi e nel mercato del mercato del lavoro non riguarda un aspetto marginale delle politiche economiche da affidare agli esperti del funzionamento della macchina pubblica, ma una condizione indispensabile per assicurare la crescita strutturale degli investimenti e dell’occupazione.
Sul versante dei servizi è del tutto evidente che in molti ambiti delle Pa (la progettazione e il controllo dei risultati, l’informatizzazione dei processi, l’erogazione di servizi per la collettività, per il lavoro e per il welfare) le prestazioni non possono essere assicurate da un approccio autoreferenziale delle pubbliche amministrazioni. In questa direzione bisogna ripensare il rapporto tra Pa e organizzazioni private e sociali (imprese, ordini professionali, terzo settore, enti di emanazione delle parti sociali del mondo del lavoro) per co-progettare gli interventi con regole trasparenti e coinvolgendo gli utenti nella valutazione della qualità dei servizi erogati.
Sul versante del mercato del lavoro il mancato turnover negli ultimi 15 anni ha pesato in negativo per un equivalente di almeno due punti del tasso di occupazione, in particolare per quelli relativi ai giovani, alle donne, per la quota dei laureati e delle qualifiche più elevate. L’incremento delle nuove assunzioni, anche se numericamente dimensionato sul ripristino del turnover, è in grado di offrire un contributo positivo nella direzione opposta, ma solo nella condizione di una disponibilità di profili professionali coerenti con i fabbisogni. Obiettivo raggiungibile se si costruisce in via preliminare un dialogo permanente con le Università per orientare i percorsi formativi e di inserimento lavorativo.
Le nuove dinamiche del mercato del lavoro impongono di accantonare il mito del posto garantito nella Pubblica amministrazione come fonte di attrazione delle risorse umane, e di attrezzare le politiche di reperimento del personale tenendo conto di una visione unitaria del mercato del lavoro.
Natale Forlani
Pubblicato su Il Sussidiario.net