La legge di Bilancio più povera degli ultimi anni. 18 miliardi il suo valore complessivo a fronte dei 28 di quella precedente e dei 35 di quella del ’23. Ma ci fu chi fece notare che quelle cifre andavano comunque adeguate al livello d’inflazione che se ne portava via parecchi di miliardi.

Siamo, insomma, ad una Legge di bilancio “da poveri”, ma che non prevede molto per i poveri il cui numero è balzato ad oltre cinque milioni e mezzo.

Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, insomma, continuano con una linea di austerity smentendo completamente tutte le promesse della campagna elettorale del ’22 giocata all’insegna della richiesta più ampia e variegata. Quelli che gridavano contro i vincoli di spesa imposti da Bruxelles – che si badi bene non li chiedono solo all’Italia e che nella ultima versione del Patto di stabilità sono stati proprio gli “antieuropeisti” Meloni e Giorgetti ad accettare – sono diventati davvero scolari scrupolosi. Anche in occasione dell’aumento delle spese militari decise senza colpo ferire.

Di mezzo, ovviamente, ci andranno la Sanità – i cui stanziamenti continuano a diminuire in rapporto con  il Pil – e tanti altri servizi di pubblica e diffusa utilità. Soprattutto, ci vanno di mezzo quegli investimenti strategici che dovrebbero riguardare lo sviluppo e l’innovazione di lunga portata. Università, ricerca scientifica, sostegno alle aziende innovative, ma persino i Comuni, cioè la punta dello Stato più prossima ai cittadini, devono attendere. E intanto il calo della produzione industriale sta per giungere al trentesimo mese di fila. Anche ad agosto  è stato registrato un calo del 2,4% rispetto a luglio. Su base annua è stato perso un ulteriore 2,7%, in aggiunta al 3,5% del 2024. Sembra che sia un problema che riguardi altri.

La querelle tra Salvini e Tajani – e, come al solito, dietro le quinte con la Meloni – sulla possibile tassazione degli extraprofitti delle banche – tema di cui restano ancora ambigui i punti sostanziali, e che però sembra comunque finita sostanzialmente in farsa né più né meno come l’anno scorso, quando gli istituti bancari scelsero la ricapitalizzazione invece del pagamento volontario delle tasse – ha ancora una volta nascosto il vero problema del nostro Paese. Quello che riguarda il sistema fiscale che non è né equo né progressivo. Si continua a salvaguardare la rendita finanziaria ed immobiliare non produttiva mentre pagano i soliti noti, cioè redditi fissi e pensionati.

Se la vogliamo buttare nella caciara politica potremmo dire che questo Governo, dunque, fa bene il proprio mestiere di destra. Cosa che viene a far notare ancora di più una sinistra incapace a concepire pienamente il proprio mestiere pensando, invece spesso, a cavalcare prevalentemente altri temi e ad infognarsi in una serie di polemiche utilizzate da Giorgia Meloni e dai suoi solo come strumenti di “disinformazione di massa”.

Ci sarebbe, invece, da approfondire, e prepararsi al momento in cui il Pnrr finirà e non porterà più alcun effetto benefico ai conti pubblici e si cristallizzeranno i progetti di crescita e di sviluppo. Quel che sarà fatto, sarà fatto. Così come sarebbe bene andare, già oggi, più a fondo sulla portata e le conseguenze delle modifiche introdotte ad un Piano che continua a restare sostanzialmente misterioso. E di cui nessuno, al momento, è in grado di valutare gli effettivi benefici portati al Paese se messi a confronto con l’indebitamento conseguente che esso, comunque, comporta. Anche se il debito è spalmato negli anni a basso interesse, niente può farci dimenticare che gli obiettivi erano quelli di introdurre finanze e progetti per portare l’Italia a livelli più alti di attività economica e progettuale all’insegna dell’innovazione. All’insegna, cioè, di un progetto in grado di assicurare una maggiore omogeneizzazione tra i 27 paesi europei per quanto riguarda il livello della qualità della digitalizzazione, dell’innovazione e competitività culturale; della rivoluzione verde e transizione ecologica e turismo; delle infrastrutture per la mobilità sostenibile; dell’istruzione e ricerca; della inclusione e della coesione; della salute. E a proposito di quest’ultima vediamo bene come è ridotta la sanità italiana dopo quattro anni dalla nascita del Pnrr. Ma più in generale nessuno fa i conti e nessuno ne chiede conto.

Tutti d’accordo nel lasciare un fardello ancora più gravoso alle prossime generazioni. Ecco, forse questo dovrebbe costituire un tema forte per le opposizioni in vista delle prossime elezioni. A partire da quelle che a novembre concluderanno il ciclo del voto in regioni di tutto rispetto come sono il Veneto, la Campania e la Puglia.

Infine, le opposizioni farebbero pene a porsi una domanda. Ma non sarà che tutta questa austerity il prossimo anno scomparirà di colpo e si tornerà ad una spesa più allegra, se non sfrenata, perché saremo entrati nella vigilia elettorale?

Giancarlo Infante

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