E’ ovviamente tautologico affermare che la storia ha a che vedere con il tempo, dato che è nel decorrere di quest’ultimo che si sviluppa la trama degli eventi che la costituiscono. Eppure è importante ricordarlo per sottolineare come il tempo non sia un “divenire” indifferenziato, indistinto, scandito secondo un ritmo scontato, prevedibile, sempre uguale a sé stesso, ma piuttosto, come mostri, nella sua declinazione storica, soprattutto in ordine a fatti di importanza capitale, un incedere diseguale, a tratti addirittura sussultorio, nel quale possono comparire le cosiddette “finestre temporali” – squarci di opportunità da cogliere nell’ immediato – prima delle quali determinati esiti possono essere soltanto attesi e dopo, una volta chiusa la breccia di quell’ istante cruciale, sono, al contrario, irrimediabilmente perduti per sempre.

Questo vale per la vita di ognuno – spesso anche nell’ evoluzione clinica di determinate patologie – e vale per le collettività, per le stesse istituzioni e per gli Stati. Vi sono, in altri termini, momenti topici, passaggi in cui è tassativo saper cogliere l’ attimo, se si vuole che un determinato processo abbia seguito. Il percorso di costruzione dell’unità politica dell’ Europa, ad esempio, ha smarrito il suo istante dirimente quando, nell’ agosto ‘54, l’ Assemblea Nazionale francese bocciò la Comunità Europea di Difesa. Una pietra di inciampo che per poter essere aggirata, cosicché il cammino non fosse per sempre compromesso, ha imposto l’adozione di una via collaterale che, attraversando il terreno di un’ integrazione economica, piuttosto che una strada immediatamente coinvolgente sul piano strategico generale, si è fatto talmente lungo e dispersivo, da risultare quasi esasperante. Non per nulla, tuttora ci avviamo alla consultazione europea del prossimo mese di giugno, almanaccando attorno alle possibili alleanze parlamentari finalizzate alla guida ed alla composizione della prossima Commissione, ma tacitamente e concordemente rassegnati a doverci ancora adattare ad un cammino lento e contrastato, vissuto da taluni con una sottile diffidenza, da altri con malcelata ostilità, cosicché anche i Paesi più schiettamente europeisti, a maggior ragione, guardano con un occhio di eccessiva prudenza ai loro interessi nazionali e non si azzardano a puntare tutte le loro fiches sulla roulette della effettiva integrazione politica del vecchio continente.

Insomma, l’impressione è che non si esca dallo stallo e tutt’al più’ si accenni a qualche passo appena un po’ più audace per saggiare la possibilità, se mai, di poter forzare un giorno l’ avanzare millimetrico verso quella piena e legittima “sovranità europea” che pur sta nell’ordine necessario delle cose. Non c’è un credibile accenno alla necessaria riforma dei trattati, tanto meno ad una “tempistica” che, al riguardo, cerchi di stabilire tappe e scadenze di un percorso che sia, insieme, ragionevole e coraggioso. Si ha l’ impressione che l’Europa, almeno in questa fase, si senta, piuttosto che esaltata, quasi appesantita dalla sua plurimillenaria storia. Come se, anziché rappresentare una forza che la sospinge, sia divenuta una palla di piombo al suo piede.

Evidentemente, non basta la “vis a tergo” di una storia, una cultura, una evoluzione del pensiero e dei costumi, uno sviluppo della facoltà spirituali straordinario e fantastico se non agisce, contestualmente, un “attrattore” che evochi l’ Europa al suo “destino” e, se così si può dire, l’ assorba nell’ orizzonte storico della finalità che originariamente la giustifica. In altri termini, l’Europa sembra non essere più in grado di pensare sé stessa e rischia, dunque, di perdere l’appuntamento con una nuova e possibile “finestra temporale” che, per molti aspetti, sembra essere riproposta dalla contestualità di trasformazioni ed eventi che non è retorico definire, fin d’ora, di portata effettivamente storica.

Varrebbe, dunque, la pena di prepararci al voto di giugno ripercorrendo le intuizioni, la passione civile, l’emozione intellettuale e creativa, se così si può dire, di “maestri” che hanno “pensato” l’ Europa. Cominciando, ad esempio – anche se molti potrebbero considerarlo un inutile esercizio retorico a fronte dell’ urgenza del “fare” – da una attenta meditazione condotta sugli scritti, che all’Europa ha dedicato Romano Guardini, definendola un’ “entelechia”, cioè una realtà in sé definita dal compito storico che intrinsecamente, costitutivamente le appartiene.

Domenico Galbiati

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