Un’intervista rilasciata dal cardinale Gualtiero Bassetti a La Stampa di Torino ( CLICCA QUI ), porta a delle libere riflessioni che, ovviamente, non impegnano il Presidente della Cei. Possono, però, costituire una possibile prosecuzione di analisi e una traslocazione sul piano più proprio della pratica politica.
E’ chiaro che noi parliamo da popolari d’ispirazione cristiana. Nella nostra laica autonomia, decliniamo una specifica visione dell’impegno pubblico, del ruolo dello Stato e dei suoi rapporti con il cittadino, della gestione della cosa pubblica e dell’economia, del ruolo dei gruppi intermedi e delle autonomie locali. Ci riferiamo ai concetti di Persona e di famiglia non considerandoli nella sola dimensione economicistica, ma in diretta connessione, invece, con dei valori fondanti i quali, partendo da quello della Vita, hanno fatto diventare il messaggio evangelico il più forte anelito di liberazione, solidarietà e partecipazione.
Il recente riferimento alla Lettera a Diogneto ( CLICCA QUI ) spiega tutto molto bene senza la necessità di aggiunger altro per ciò che riguarda antefatti storici, un organico sistema di pensiero e una visione e una particolare lettura delle cose del mondo che si spiegano da sole. Anche alla luce di un’evoluzione d’impegno politico legislativo e di gestione messo in pratica da Alcide De Gasperi e dai suoi successori della Democrazia cristiana dei decenni migliori.
L’intervento del cardinale Presidente della Cei parte da una constatazione che, per lui, non è certamente nuova, visto che più volte ha dovuto occuparsi delle critiche condizioni del Paese guardate con gli occhi del pastore, non certamente con quelli del leader politico: “C’è un’Italia da rammendare e da rilanciare con coraggio, carità e responsabilità”.
Ancora una volta da un autorevole “non politico” viene un messaggio che la politica non raccoglie. Pochi i deputati e i senatori che scelgono la pratica del rammendo invece che quella della rottura per partito preso. Neppure il Coronavius è riuscito a far identificare un’area di collaborazione, pur possibile da costruire, a conferma che non si tratta di guardare solo alla responsabilità delle persone, ma al sistema che non funziona più.
Mancando lo spirito del rammendo, che poi significa ascolto, mediazione, effettiva ricerca del cosiddetto bene comune, è inevitabile non aspettarsi un rilancio basato sul coraggio, sulla carità e sulla responsabilità.
“I cattolici in politica devono dimostrare maturità, coscienza formata e autonomia di giudizio per essere veramente il sale della terra”. Questo aggiunge il cardinale. Cosa che fa scattare in noi una di quelle libere riflessioni che preannunciavo in precedenza.
Un’autonomia di giudizio, dunque, s’impone. Solo essa dà un senso alla maturità e alla coscienza formata che contribuiscono a consolidare i cristallini di quel composto chimico che chiamiamo sale. Conferisce sapore alle pietanze che consumiamo e definisce il discernimento da portare su questa nostra terra.
Il problema è allora quello delle caratteristiche grazie alle quali l’autonomia di giudizio attesa dai cattolici appassionati di politica diventa concretezza e presenza pubblica davvero incisiva. Dopo 25 anni di ciò che chiamiamo diaspora, siamo costretti a ribadire che non basta più la dispersione in tanti partiti, fermo restando che politicamente i cattolici non la pensano allo stesso modo.
In una società pluralista questo, per alcuni versi, potrebbe essere persino un bene se si pensa alle conseguenze che un finto unanimismo, la confusione del piano religioso con quello secolare, e anche un possibile opportunismo politico possono provocare. Lo si vide anche alla fine dell’esperienza del popolarismo tradita da quei clerico moderati di cui, con grande lungimiranza, non si era mai fidato don Luigi Sturzo, ripagato della sua chiarezza, intelligenza politica e schiettezza con l’esilio mentre i cattolici che si scoprirono filo fascisti correvano ad osannare uno dei regimi basati su una visione antropologica e politica tra le più anticristiane dell’era moderna.
L’accettazione del pluralismo politico, però, non significa che non sia possibile trovare tante aree comuni d’impegno su cui portare nel Parlamento e nell’azione legislativa il convergere su tanti provvedimenti utili ai cittadini, non solo ai cristiani, e all’intero Paese. Invece, 25 anni di diaspora ci dicono che, alla fine, si preferisce accettare la logica del bipolarismo e, così, in essa si perde il senso di un’ispirazione comune.
La seconda libera riflessione ispirata dall’intervista del cardinal Bassetti viene di conseguenza. E’ quella sollecitata dal suo ritornare, come se seguisse un lungo e tenace filo rosso, sul superamento della divisione tra i cattolici cosiddetti del sociale e quelli della morale.
Cosa significa questo? Intanto l’abbandono della pratica seguita nel recente passato, ma che ancora permane. L’andare oltre l’accettazione della logica dello scontro tra due blocchi contrapposti in cui anche i cattolici si sono buttati limitandosi solamente ad accettare il fatto che lo spartiacque delle loro scelte non dipendesse dal solidarismo e dalla cultura della Vita, bensì dal collocarsi con Berlusconi o con Prodi, prima, e adesso contro o a favore di Matteo Salvini. Un modo di fare che giustifica nel Confiteor l’aggiunta del peccato di omissione oltre quelli fatti con pensieri, parole e opere.
Purtroppo, con il cardinale Bassetti, saremo costretti ad aspettare ancora un po’ prima che alcuni cattolici cosiddetti del sociale si decidano a capire che là dove si sono andati a collocare finiscono per trovarsi in una condizione da “dimezzati” come il Visconte di Italo Calvino. Perché la sinistra con cui sono schierati è del tutto indifferente rispetto alla difesa dei valori naturalmente fondativi della Persona e delle relazioni umane basate su una natura che dà vita a donne e a uomini, fa venire al mondo i figli solo in un modo e che la Vita è un dono da non buttare via come se fosse un oggetto usato di cui non si trovano più i pezzi di ricambio.
Lo stesso, però, vale specularmente per quelli della morale. Questi ultimi, in molti casi, non hanno capito che anche l’economia, la vita delle istituzioni, le relazioni internazionali sono piombate in una crisi etica e che, quindi, non basta seguire il primo di turno che si mette ad agitare un rosario per risolvere problemi complessi, interconnessi destinati a moltiplicare in maniera esponenziale le criticità.
Non voglio essere superficiale e riduttivo, ma anche le prossime elezioni regionali confermano che tanti amici preferiscono valutare la lista dentro cui, o vicino la quale, collocarsi solo per motivi di opportunità che meglio sarebbe chiamare opportunismo. Avere un afflato sociale diventa una giustificazione per stare con il Pd anche se se ne riconoscono oramai apertamente i limiti che riguardano persino la capacità di rappresentare i vecchi gruppi sociali storicamente vicini alla sinistra. Preoccuparsi delle questioni morali o dei cosiddetti “valori non negoziabili”, dall’altro verso, diventa un motivo per restarsene con chi, in realtà persegue politiche conservatrici, se non addirittura reazionarie e, in ogni caso, basate su di un nazionalismo e un anti europeismo destinati solo a farci male .
Giancarlo Infante