Il titolo che Gianni Verga ha premesso al documento che ha curato in ordine a Milano, in vista della prossima consultazione amministrativa, vale da solo un programma ( CLICCA QUI e QUI ).

“Urbs perfecti decoris gaudium universae terrae”: lo afferma Geremia, rivolto a Gerusalemme e torna a dirlo Giorgio La Pira, guardando alla sua Firenze, da candidato sindaco.

“Decoro” sta per armonia, dignità, proporzione, ornamento, misura appropriata e simmetria e, dunque, bellezza della città, intanto come struttura ed impianto urbano e, nel contempo, modello esemplare di relazioni umane, di gesti, di reciprocità e di convivenza, paradigma di una vita civile equilibrata, vissuta secondo giustizia ed in libertà.

Una cornice ideale, che confligge con la sordità inquieta, turbata ed insicura, talvolta finanche minacciosa,  l’ afasia fredda ed anonima con cui molti sperimentano il loro vissuto in molte città, sospinti verso una omologazione acritica degli stili di vita, imitativi, ripetitivi fino al tedio e ad una noia che via via ottunde e spegne il sapore della vita.

Le elezioni amministrative, in molte città di primissimo piano, cominciando da Roma, Milano, Napoli, Torino ed una miriade di altre minori, hanno  dovuto essere rinviate per combattere la diffusione del virus e contenere il contagio.

Siamo stati costretti a pazientare ed ora abbiamo l’occasione di ricomprendere, da subito, senza inutili dilazioni, nei progetti e nei programmi della consultazione autunnale, argomenti ed indirizzi operativi che, fin d’ora, almeno abbozzino una prima risposta alla provocazione della pandemia.

Cominciando dal consentire che ci interroghi, senza che noi si fugga via per la tangente, cercando di dimenticare, senza capire, prima di aver compreso quel che è successo e perché.

Un “perché ” che concerne sì ciò che è’ stato ieri, l’origine remota, l’incuria aggressiva che ha depredato l’ambiente  e le cause seconde di una tale desolazione.

Ma, ancor più, riguarda il domani verso cui siamo incamminati, assecondando la percezione che noi siamo, ben più di quanto ci sembri ovvio pensare, abitati dal nostro futuro e, se consideriamo gli eventi dell’ accadere quotidiano secondo tale prospettiva, spesso succede che siano più chiari ed illuminanti di quanto sospettiamo.

“Sussidiarietà” e “sostenibilità” suggerisce Gianni Verga, per la città “ambrosiana”, storicamente intrisa dei valori di un cattolicesimo a forte impronta sociale e, ad un tempo, città laica e socialista.

Milano, internazionale e multietnica, città che “produce” – questa la “cifra” che forse meglio la identifica –  in ogni campo, non solo sul piano dei beni materiali e di consumo. E, quindi, continui a produrre.

Produca – qui sta il punto, il nodo essenziale del progetto che INSIEME suggerisce alla città – in questo particolare frangente, soprattutto “valore umano”.

In chiave “multipartisan”, a tutti i candidati che concorreranno alla guida di Palazzo Marino – al di là delle diverse carature politiche e, quindi, delle possibili e fisiologiche difformi sottolineature ed interpretazioni del compito – vorremmo  proporre che assumano questa comune linea progettuale.

“Milano produce” competenze  e professionalità  consolidate e nuove, mestieri inediti; produce conoscenza e ricerca avanzata in campo scientifico ed in ambito umanistico; garantisce percorsi formativi di eccellenza, grazie ad un importante sistema accademico; crea cultura di alto profilo, arte ed innovazione; genera comunicazione; promuove solidarietà, cultura del lavoro, rispetto della fatica e dedizione al dovere; tiene assieme tradizione e novità, prassi consolidate e sperimentazioni inedite.

Ma c’è anche un’altra Milano, si potrebbe dire l’ “altra” Milano che non sa rispondere alla precarietà, al disagio, alla domanda di vita buona, alla ricerca esistenziale di tanti giovani che faticano a “progettarsi”  senza un orizzonte se non di certezze, almeno di credibili attese.

La Milano che soffre le diseguaglianze sociali  – e culturali, forse quelle che penalizzano di più – tipiche del nostro tempo globalizzato e, quindi, alle luci della moda, alla creatività del design oppone la povertà severa, frustrante che segna la vita di tanti bambini e forse la compromette fin d’ ora; la piaga dolente dell’abbandono scolastico, la  povertà  educativa dei minori, che appare perfino più cruda qui a Milano, piuttosto che altrove.

E così la Milano della Scala e del Piccolo Teatro, delle grandi mostre e delle manifestazioni culturali di alto profilo, dell’ editoria: insomma la città che offre cultura, prodotta e confezionata ad alto livello, non deve forse porsi il problema sì del consumo, ma anche delle opportunità, dei luoghi diffusi in cui i giovani, anzitutto, da sé “producano” cultura, si misurino, immersi nel mondo delle tecnologie avanzate, ad esempio, con il linguaggio delle arti, ricerchino, ciascuno, la via più adatta per esprimere la propria inclinazione, il timbro che libera quella creatività che abita il cuore e la mente di ognuno?

Non a caso Verga parla della città degli 88 borghi – e non delle “ banlieues” – e guarda ai luoghi diffusi di aggregazione sociale che diano anima ai quartieri: i plessi scolastici, i centri periferici di assistenza sanitaria.

Insomma, riscoprire gli spazi in cui le famiglie vivono le istanze primarie, la cura della vita – l’educazione dei figli, la salute – come ambiti che, al di là della frequentazione immediatamente connessa alla loro funzione, siano aperti ad una fruizione più ampia, come occasione di incontro e di amicizia sociale.

Anche tra le diverse etnie che – se pur volessero misconoscere quel che, per contro, ineluttabilmente le assimila nell’ appartenenza alla nostra comune umanità – condividono quell’universale “esperanto” fatto di amore e di cura dei figli, di ansie per la loro salute, di attenzione alla loro crescita, di preoccupazione per la loro educazione.

Può una città del nostro tempo di transizione concepire sé stessa senza prendersi cura dell’ evoluzione multietnica che, pur già conosce, ma soprattutto rappresenta l’approdo verso cui viene ineluttabilmente sospinta, cosicché convenga governarlo piuttosto che subirlo?

La Milano dei grandi eventi, che si è lasciata alle spalle l’Expo’ e si incammina verso le Olimpiadi Invernali del ‘26, guidata dal Sindaco che si darà nel prossimo autunno, intesa come città eminentemente “europea”, capace di incardinare quel che ancora può apparire sfrangiato ed aleatorio, frammentato e “liquido” nella dimensione “globale”, nel forte radicamento storico “locale”, così da conferirgli quella saldezza di cui ha bisogno.

Domenico Galbiati

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