E’ davvero stupefacente l’atteggiamento di tanti esponenti della maggioranza sui ritardi nell’attuazione del Pnrr. E’ un caleidoscopio di opinioni, di giustificazioni, ma anche di alzate di spalle. Abbiamo ascoltato voci onestamente preoccupate, quelle di chi nega e, come al solito, le altre di coloro che, con grande propagandistica leggerezza, scelgono la via della rassicurazione di maniera.

Purtroppo, tra questi ultimi, non mancano quelli che danno per sicuro l’arrivo della proroga da parte dell’Unione europea. I certi, insomma, dell’illuminazione provvidenziale nel cielo dello “stellone d’Italia”. Ovviamente, sorvolano sul fatto che nella vita niente si ottiene gratis. E che, magari, dovranno pagare, o meglio far pagare agli italiani, il prezzo richiesto. Che poi questo riguardi la questione della redistribuzione degli immigrati o altro, come ad esempio, il rientro del Debito pubblico, è cosa del tutto trascurata. Faranno sempre in tempo a rifugiarsi sulla vulgata della solita Europa “matrigna”.

Il tutto è condito da alcuni “non detto”. In particolare quelli che, stando ai bene informati, spiegano il pasticcio in cui è finita Giorgia Meloni. Per responsabilità proprie e per quelle di alcuni suoi alleati i quali, come già fatto ai tempi di Draghi, vogano contro. I dati sono incontrovertibili in ogni caso: siamo maledettamente in ritardo perché si sono persi mesi preziosi in vario modo.

Già ai tempi del Governo di Mario Draghi non mancarono le sollecitazioni dell’allora Presidente del Consiglio, così come quelle del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Oggi, negli ambienti governativi, i fedeli di Giorgia Meloni, puntano il dito verso Matteo Salvini e con un certo candore dicono: “fa quello che faceva con Mario Draghi”. Allora, perché non era in condizione di condizionare e, oggi, perché troppo può farlo, visto l’eccessivo potere ricevuto nel nuovo esecutivo. Tirato in ballo esplicitamente nei giorni scorsi come il principale responsabile dei ritardi, Salvini ha pensato di rispondere con una confezionata intervista del Tg2 nel corso della quale ha negato l’evidenza: ha rassicurato tutti con le sue oramai famose frasi rituali sul “fare, fare e fare” ed ha concluso prendendosela con i ritardi del passato sulle grandi opere infrastrutturali. Peccato che nel corso della precedente legislatura anche lui sia stato a lungo al Governo, prima nel Conte I e poi con Mario Draghi.

A voler guardare con vero spirito nazionale la vicenda del Pnrr, c’è da riconoscere che la madre di tutto quello che potrebbe rivelarsi un suo parziale fallimento è da trovare nella decisione di sciogliere le Camere. Si sono persi mesi e mesi vitali. Cui si sono aggiunti quelli dei tempi necessario alla nascita e al primissimo rodaggio di Giorgia Meloni e dei ministri che si è scelta. E non si è trattato di una scelta sempre felice.

Non è più un mistero il pressoché clima di confusione creato dal cambio delle teste messe da Draghi a gestire le cose e in necessario contatto con la struttura statale , da un lato, e con gli uffici della Commissione europea, dall’altro. Tutta questa catena ce la dicono letteralmente saltata. E chi ha la fortuna di trasmigrare ad altro incarico non vede l’ora di poterlo fare. In molti casi, siamo davvero all’inizio, o meglio: nelle stesse condizioni di quando il 21 luglio dello scorso anno Mario Draghi salì al Colle per rassegnare le dimissioni. “Italia first” … ma sempre in ritardo e dalle idee confuse.

Così, il richiamo della competenza generale d’indirizzo a Palazzo Chigi sembra non avere avuto alcuno effetto positivo e qualcuno comincia già a calcolare quanti saranno i miliardi persi mentre si continua a fare retorica sulla Nazione. Ma questa non si difende a parole, bensì assumendo contenuto e stile di quei veri statisti che pensano prevalentemente e davvero al bene comune e non solo alle loro “botteghe”.

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