Non sta scritto da nessuna parte che si possa o si debba fare politica solo dalle aule parlamentari. La politica va oggi intesa come una funzione diffusa, non necessariamente arroccata nel “palazzo”, che compete a chiunque voglia affrontare, anche dalla società civile, la fatica di “pensare politicamente”. E di agire anche valorizzando strumenti costituzionali di partecipazione diretta quale, ad esempio, la “petizione” popolare rivolta al Parlamento. Strumento che mai ha mostrato una qualche significativa incidenza, ma che pure l’articolo 50 della Costituzione ci offre.
Vi sono almeno tre temi che le forze che cercano di ricomporre una presenza autonoma d’ispirazione cristiana nel nostro Paese – a cominciare da Politica Insieme e da chi ne condivide il Manifesto ( CLICCA QUI ) – meriterebbero di essere portati all’attenzione generale e tradotti in una sollecitazione del Parlamento. Non sarebbe fuori luogo che ad occuparsene fosse la stessa Assemblea Costitutiva che vedrà prossimamente riunite le forze che, sulla scorta del Manifesto, stanno elaborando la piattaforma politico-programmatica di un nuovo soggetto politico.
Prevenzione dell’interruzione volontaria della gravidanza
Difesa e promozione della libertà di educazione.
Valorizzazione del Terzo Settore.
Si potrebbe cominciare, dalle recenti linee-guida, emanate dal Ministro della Salute, in ordine all’induzione farmacologica dell’aborto volontario. Esse hanno acceso, forse inaspettatamente, almeno per certi ambienti, – come documentano le dichiarazioni e le prese di posizioni da parte di molte realtà associative – una rinnovata attenzione nei confronti di una tematica che effettivamente merita di essere seriamente ripresa in esame, ad oltre quarant’anni dall’approvazione della legge 194/78, la cui prima parte, cioè gli articoli diretti agli interventi di prevenzione della IVG, e’ stata trascurata e largamente disattesa.
Queste voci – espressioni del mondo cattolico, ma non solo – che hanno lamentato questa estrema “privatizzazione” dell’aborto che banalizzandone la pratica, in definitiva, getta un’ombra di superficialità, quasi d’indifferenza sul concepimento della vita, relegandolo ad una mera occasionalità per nulla impegnativa, non trova nelle forze dell’ intero arco parlamentare, un soggetto che sappia e voglia riordinarle in un qualche disegno di risposta.
Viviamo, oggi, una stagione del tutto particolare. La pandemia, costringendoci a resistere su quel crinale sottile che corre tra la vita e la morte, esposti tutti ad un pericolo incombente, sta forse favorendo una profonda riconsiderazione, a livello collettivo, dei riferimenti irrinunciabili della nostra stessa esistenza e della nostra comune umanità. Ciò dovrebbe bastare per non distogliere lo sguardo da una riflessione che – a prescindere dagli indirizzi di pensiero, dalle motivazioni ideali e dai presupposti culturali di ognuno – ci induca a declinare una nuova stagione di diritti – e, nel contempo, di correlati doveri – che sia ispirata al valore originario della vita, fondativo della libertà personale, a sua volta, piena ed effettiva solo in un contesto di forte e consapevole solidarietà civile, piuttosto che entro una logica di solitudine autoreferenziale e di solipsistica “autodeterminazione”.
Tutto ciò vale anche – ed, anzi, in modo particolare – per i suddetti interventi di prevenzione dell’ IVG, che, per quanto già previsti a livello legislativo, esigono di essere meglio definiti e soprattutto attivamente promossi sul piano amministrativo, attraverso la necessaria implementazione ed il coordinamento gestionale ed organizzativo di appositi servizi. Questo può avvenire – com’è stato autorevolmente sottolineato – cercando ed alimentando “un’idea di civiltà condivisa” ( CLICCA QUI ).
Pur senza alterare l’impianto della legge, si tratta piuttosto – in riferimento all’art. 1, nonché con la corretta applicazione di quanto dispongono l’art. 2 e lo stesso art. 5 – di dar conto di quel riconoscimento del “valore sociale della maternità’”, oltre che dell’impegno a tutelare “la vita umana dal suo inizio” di cui, appunto, al comma introduttivo della 194, che nel suo stesso titolo evoca la “tutela sociale della maternità”. Evidentemente, la stessa legge – che pur prevede i casi in cui viene depenalizzata – non ritiene che la pratica abortiva sia del tutto ed esclusivamente ascrivibile al vissuto privato della donna, bensì implichi profili di interesse sociale e collettivo.
Questo, a sua volta, implicitamente allude ad una, sia pure mal definita, titolarità del diritto a nascere del concepito.
E’ innegabile come vi sia un conflitto in termini di diritti e una contraddizione di principio che l’articolazione del dettato legislativo non può risolvere e cerca, in qualche modo, di compensare a valle, sul piano della pratica applicazione della legge, prevedendo una serie di cautele che, in termini di possibili interventi di ordine preventivo, spetta ai Consultori proporre ed eventualmente disporre. In buona sostanza, si può ritenere che la prima parte della 194 sia sì l’ esito del duro contrasto messo in campo da chi si opponeva all’approvazione della legge, ma anche l’approdo cui è giunta – potremmo dire – la cattiva coscienza del legislatore, almeno per quella parte che, meno ideologicamente ossessionata, non ha mancato di avvertire come, nelle pieghe della legge, sia inevitabilmente occultato ed offeso il diritto alla vita del concepito.
A minor ragione, dunque, si giustificano linee-guida che lascino intendere la pratica dell’aborto come un vissuto privatissimo della donna. Appare, in ogni caso, centrale per un’efficace azione preventiva, il ruolo dei Consultori familiari, autorizzati ad avvalersi della “collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.
A tale proposito, si rivela quanto mai opportuno che il Parlamento intervenga definendo più puntualmente, anche sulla base delle esperienze fin qui acquisite, finalità, criteri e modalità operative, disponibilità di competenze e risorse, necessarie a condurre una più organica ed efficace azione di prevenzione dell’aborto volontario.
Domenico Galbiati