Com’era largamente previsto, anche da noi che abbiamo invitato ad andare comunque ai seggi, il referendum non ha superato il quorum.

Il risultato, in ogni caso, per alcuni versi, vale più di tanti dei sondaggi che quotidianamente ci ammorbano nonostante siano il frutto dell’ascolto di un bacino molto più limitato.

Emerge confermato il quadro di un’Italia “fratturata”. Anche per quanto riguarda la sensibilità e la consapevolezza in materia di lavoro.

Nord e Centro hanno visto la partecipazione al voto più ampia. Sono le aree più industrializzate e, in linea di massima, quelle in cui la precarietà del lavoro e il suo indebolimento sociale sono avvertiti in maniera più immediata.

Lo stesso vale per le città rispetto alla provincia. Là dove gli “ammortizzatori sociali” familiari funzionano sempre peggio e i costi della vita fanno maggiormente avvertire le conseguenze del lavoro povero e dei bassi salari.

Un ‘analisi più dettagliata, zona per zona, potrebbe dirci se abbia contato più l’aspetto socio – economico rispetto a quello politico. O se si sia trattato, invece, di un mix dei due elementi.

Come ha sbagliato chi ha parlato di un referendum inteso come “spallata al Governo”, e che oggi vanta il risultato di 14 milioni di votanti, sbaglia chi pensa di aver vinto politicamente solo perché non è stato raggiunto il quorum, sorvolando sul fatto che i problemi del lavoro restano del tutto irrisolti. Tali rimarranno ed è possibile che finiscano per influenzare il risultato delle prossime politiche. Come, del resto, conferma il contemporaneo voto amministrativo che segna una certa inversione di tendenza avviata con le ultime elezioni regionali e comunali.

In ogni caso, nonostante non si possa fare una comparazione con il voto del settembre 2022,  colpisce però che il 30% della partecipazione al voto, questione su cui ha finito per radicalizzarsi quasi tutta l’attesa dei giorni scorsi, fa ritrovare i suoi avversari, grosso modo, con la stessa percentuale dei consensi che hanno portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.

Un Paese che resta, dunque, “fratturato” sociologicamente e politicamente, e che, se non cambia la legge elettorale, e l’astensionismo resterà elevato, vedrà giocare la prossima partita, ancora una volta, tutto attorno al all’abilità “tecnica” delle due coalizioni di meglio organizzarsi nei singoli collegi.

Adesso, comunque, c’è già chi parla di elevare il numero delle firme necessarie per poter richiedere un referendum. Continuando ad occuparsi delle conseguenze è degli epifenomeni invece che delle cause del cattivo funzionamento di un sistema istituzionale e legislativo che, come noi sosteniamo da anni, ha bisogno di una vera e propria trasformazione. Queste estemporanea uscite, ad uso e consumo soprattutto dei giornali, vengono dagli stessi che, dopo aver invitato a disertare i seggi, raccontano del cosiddetto “premierato” per dare la “voce” direttamente al popolo.

Giancarlo Infante

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