Concludiamo la presentazione dell’intervento di Delfino Tinelli sulla Enciclica Fratelli di Tutti di Papa Francesco, dopo la pubblicazione della parte prima ( CLICCA QUI ), della parte seconda ( CLICCA QUI ) e della terza ( CLICCA QUI ).

 

Capitolo settimo : PERCORSI DI UN NUOVO INCONTRO

Nuovi percorsi di pace per i territori in conflitto.

Ricominciare dalla verità

Solo dalla verità storica può nascere lo sforzo per comprendersi a vicenda e tentare nuove sintesi per il bene di tutti.

Il processo di pace è una paziente ricerca della verità che dura nel tempo. L’accordo di pace sulla carta non basta, occorre includere la ricerca della verità sulle origini della crisi.

Verità, giustizia e misericordia sono essenziali per costruire la pace.

La verità deve far sapere che cosa è successo alle persone scomparse, ai minori reclutati per la violenza, alle donne vittime di violenza.

La verità non deve condurre alla vendetta, ma al perdono, spezzando la catena della violenza che genera violenza, dell’odio che genera odio.

L’architettura e l’artigianato di pace

Il cammino verso la convivenza richiede che tutte la parti in causa si uniscano per cercare un obiettivo condiviso, riconoscendo anche all’altro la possibilità di apportare qualche cosa che si possa condividere; l’altro non va rinchiuso in ciò che ha potuto fare, ma considerato per la promessa che porta in sé.

La vera pace si raggiunge formando una società basata sul bene di tutti, non sul predominio, sulla condivisione di ciò che si possiede, non sulla maggior ricchezza possibile, sul bene dell’unione più che sul dominio di un’etnia o di una cultura.

Il Papa confronta l’impegno dell’unione di una società con l’unione che si stabilisce in una buona famiglia dove tutti lavorano per il bene comune senza annullare il singolo individuo, dove si litiga, ma il legame familiare porta alla conciliazione.

Molte volte bisogna negoziare a lungo per sviluppare veri percorsi di pace, nei processi di pace ognuno ha la propria parte da svolgere. Nell’architettura della pace intervengono le varie istituzioni della società, ma c’è anche un artigianato di pace che coinvolge tutti, la gente, i vari settori, le comunità.

La costruzione della pace è un processo che non dà tregua, la cultura dell’incontro esige di porre la persona umana e la sua dignità al centro di tutto.

Soprattutto con gli ultimi

La pace non è soltanto mancanza di guerra, ma è l’impegno di riconoscere e garantire la dignità di tutti perché possano diventare protagonisti del destino della propria nazione.

Gli ultimi della società speso si mostrano antisociali a causa della loro mancata inclusione sociale.

Dobbiamo porre in azione l’amicizia per i poveri.

Senza uguaglianza di opportunità da parte di una società, locale, nazionale o mondiale, non si può garantire la tranquillità interna, bisogna sempre incominciare la ricerca di pace in una società a partire dagli ultimi.

Il valore e il significato del perdono

Alcuni preferiscono una pace apparente perché pensano che il conflitto faccia parte del funzionamento normale di una società, altri pensano che perdonare porti a perdere il proprio spazio di dominio, altri credono che la riconciliazione sia cosa da deboli.

Il conflitto inevitabile

Perdono e riconciliazione sono temi di rilievo nel cristianesimo e in altre religioni.

Le prime comunità cristiane immerse nel mondo pagano vivevano un senso di pazienza, tolleranza comprensione.

C’è un’espressione di Gesù che ci sorprende: “Io non sono venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada. Sono venuto a separare l’uomo da suo padre, la figlia da sua madre, e nemici anche dell’uomo saranno quelli della sua casa.” (Mt 10, 34-36) Nel contesto il tema di cui tratta è quello della fedeltà alla propria scelta, anche se le persone care sono contrarie. Tali parole invitano perciò a sopportare il conflitto inevitabile, perché non si deve venir meno ai propri principi. Anche San Giovanni Paolo II diceva che i conflitti sociali sono talvolta inevitabili e che di fronte a essi il cristiano deve spesso prendere posizione con coerenza.

Le lotte legittime e il perdono

Noi siamo chiamati ad amare tutti, però non possiamo consentire a un oppressore di continuare ad essere tale, non possiamo permettere che continuino a calpestare la dignità altrui o che un delinquente continui a delinquere. Bisogna difendere i diritti propri dall’ingiustizia. Il perdono non annulla questa dignità, anzi la chiede.

Nessuna famiglia, nessuna etnia, nessun Paese ha futuro se sono uniti dall’odio o dalla vendetta.

Non possiamo opporci all’odio con l’odio: così non si guadagna nulla e alla fine si perde tutto.

Si può realizzare la giustizia superando il male con il bene, coltivando la riconciliazione, la solidarietà e la pace. La bontà non è debolezza, ma vera forza.

Il vero superamento

Il conflitto si supera attraverso il dialogo e la trattativa trasparente sincera e paziente. La lotta si deve trasformare in onesta discussione, fondata nella ricerca della giustizia.

Un principio è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto.

Non vuol dire puntare all’assorbimento di uno nell’altro, ma puntare alla risoluzione su un piano più alto che conservi le potenzialità delle parti in contrasto.

Quando si punta più in alto degli interessi particolari la comprensione e l’impegno reciproco si trasformano, i conflitti possono raggiungere unità e generare nuova vita.

La memoria

La riconciliazione è un fatto personale, non si può esigere il “perdono sociale” di fronte a tragedie immense provocate dall’uomo.

Bisogna ricordare sempre la Shoah, simbolo della malvagità dell’uomo, alimentata da false ideologie, non si possono dimenticare i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, le persecuzioni, il traffico degli schiavi, i massacri etnici e tanti fatti storici che ci fanno vergognare di essere umani. Vanno ricordati sempre per non anestetizzarci, per testimoniare alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde affinché la coscienza umana diventi più forte di fronte a ogni volontà di dominio e distruzione.

Perdono senza dimenticanze

Il perdono non implica dimenticanze perché non possiamo essere dominati dalla stessa forza che ha fatto tanto male, bisogna spezzare il circolo vizioso e frenare l’avanzata delle forze di distruzione.

Il perdono deve permettere di cercare giustizia senza cadere nella vendetta né nell’ingiustizia del dimenticare. Se le ingiustizie sono state da ambo le parti, tuttavia possono non avere la stessa gravità o non essere comparabili: la violenza dei gruppi di potere non ha lo stesso livello della violenza dei gruppi particolari, ma bisogna ricordare le sofferenze di tutte le parti in causa.

Il Papa chiede a Dio di unire i fratelli al di là delle differenze di idee, di lingua, di religione e la grazia di inviarci con umiltà e mitezza nei sentieri impegnativi, ma fecondi, della ricerca della pace.

La guerra e la pena di morte

 L’ingiustizia della guerra

La guerra non è un fantasma del passato, ma una minaccia costante. Occorre proseguire sempre nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli.

A tal fine il Papa richiama la Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale, punto di riferimento obbligatorio e veicolo di pace.

Negli ultimi anni tutte le guerre hanno preteso di avere una giustificazione, anche il catechismo cattolico presuppone che vi siano rigorose condizioni di legittimità morale per l’uso della forza militare, ma la questione è che a partire dallo sviluppo delle armi atomiche, biologiche e chimiche la guerra ha un potere distruttivo incontrollabile, dunque non possiamo più pensare alla guerra come una soluzione perché i rischi sono troppo grandi, superiori alla possibile utilità che si cerca. Non è più possibile parlare di guerra giusta, come nei secoli scorsi. Con la globalizzazione ciò che può apparire conflitto locale può coprire l’intero pianeta.

San Giovanni XIII diceva che la guerra, nell’epoca atomica, non può essere usata come strumento di giustizia, nella convinzione che le ragioni della pace sono più forti di ogni calcolo o fiducia nell’uso delle armi. Con la fine della guerra fredda avanzò la ricerca di interessi particolari, senza farsi carico del bene comune universale e s’è fatto nuovamente strada il fantasma della guerra.

La guerra è il fallimento della politica e dell’umanità, ma la realtà di tutti gli immensi danni della guerra ci fa riconoscere che è l’abisso del male e ci fa scegliere la pace.

La deterrenza nucleare, pur considerando le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano dall’uso degli ordigni, è essa pure inadeguata per scongiurare le minacce alla pace.

Chiediamoci anche se sia sostenibile un equilibrio basato sulla paura, la pace stessa non può fondarsi sulla minaccia della distruzione reciproca.

Quindi l’imperativo morale e umanitario di oggi è l’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari. Questa ricerca deve essere collettiva e concertata, basata sulla fiducia reciproca, a sua volta costruita attraverso un dialogo sinceramente orientato verso il bene comune.

Coi soldi risparmiati sulle spese militari possiamo costruire un Fondo mondiale per eliminare la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non siano costretti a emigrare per cercare una vita più dignitosa.

La pena di morte

Oggi affermiamo che la pena di morte è inammissibile e che la Chiesa si impegna affinché sia abolita in tutto il mondo. Una comunità organizzata esige regole di convivenza la cui violazione richiede una pena proporzionale alla gravità dei delitti.

Si citano Autori che sin dai primi secoli della Chiesa furono contrari alla pena di morte, Lattanzio, Papa Nicola e soprattutto Sant’Agostino.

Chi intende le pene in modo vendicativo tende a formare immagini e meccanismi che a suo tempo permisero l’espansione delle idee razziste. Sono pericolose, quindi, il ricorso a carcerazioni preventive, a reclusioni senza giudizio di condanna e specialmente la pena di morte, senza contare che in certi Paesi si ricorre addirittura a esecuzioni extragiudiziarie o extra legali; queste sono omicidi deliberati da alcuni Stati e fatti passare come scontri tra delinquenti o come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole della forza per l’applicazione della legge.

I cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche al miglioramento delle condizioni carcerarie, come l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta. Gesù ha detto: tutti quelli che prendono la spada di spada moriranno. Questo richiamo di Gesù supera la distanza dei secoli e giunge a noi, fino a oggi.

Capitolo Ottavo: LE RELIGIONI AL SERVIZIO DELLA FRATERNITA’ NEL MONDO

Tutte le religioni che riconoscono il valore di ogni persona umana offrono un aiuto per la costruzione della fraternità e per la giustizia nella società.

Il fondamento ultimo

Il Papa premette riferimenti alle Encicliche sociali Caritas in Veritate di Benedetto XVI e Centesimus Anno di Giovanni Paolo II per ricordare che la ragione da sola non basta per cogliere l’uguaglianza tra gli uomini, ma bisogna riferirsi alla paternità di Dio.

L’allontanamento dai valori religiosi e il predominio dell’individualismo sono tra le cause della crisi del mondo moderno.

Per queste ragioni la Chiesa, pur rispettando l’autonomia della politica, non relega la propria missione al privato, ma deve risvegliare le forze spirituali che possono fecondare la vita sociale.

E’ una casa con le porte aperte che esce dai suoi templi per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione.

L’identità cristiana

Pur apprezzando che l’azione di Dio si manifesta anche nelle altre religioni, la Chiesa afferma prima di tutto il messaggio (la musica, dice il Papa) del Vangelo che vale nel lavoro, nella politica e nell’economia. Dal Vangelo scaturisce il pensiero cristiano e quindi la comunione universale dell’umanità intera.

Anche Maria sotto la Croce ha ricevuto la maternità universale.

Come cristiani chiediamo la libertà nei Paesi dove siamo in minoranza e la favoriamo ai non cristiani dove siamo maggioranza.

E’ urgente, inoltre, dare testimonianza del cammino d’incontro tra le varie confessioni cristiane.

Religione e violenza

A volte, invece dell’amore, si trova violenza nelle manifestazioni di una religione, ma la violenza non trova base in nessuna convinzione religiosa, ma solo nelle loro deformazioni.

Pertanto il terrorismo è esecrabile, non è dovuto alla religione ma alle interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame, di povertà e di ingiustizia.

Dobbiamo condannare il terrorismo, interromperne il sostegno non solo attraverso il rifornimento di aiuti e di denaro, ma anche della copertura mediatica.

Le religioni riconoscono il senso sacro della vita umana e i valori che ci permettono di dialogare, perdonare, crescere insieme, non le azioni di odio.

Il Papa conclude che talvolta sono gli stessi leader religiosi a scatenare la violenza fondamentalista, mentre il compito del leader religiosi è quello di essere sempre dialoganti come mediatori di pace, per unire e non per dividere.

Appello

La conclusione della Enciclica è l’appello alla pace che il Papa ha scritto insieme al Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, insieme al ricordo di altri artefici della fraternità universale che, oltre a Francesco d’Assisi, furono i non cattolici Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Ghandi e infine il beato Charles de Foucauld che nel deserto africano voleva essere “il fratello universale”.

Preghiere

Il Papa compone due preghiere finali: la Preghiera al Creatore e la Preghiera cristiana ecumenica.

Data dell’enciclica: Assisi, presso la tomba di san Francesco, 3 ottobre 2020, ottavo del suo pontificato

Delfino Tinelli

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