Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, interviene su Vita Pastorale attorno al tema della presenza dei cattolici italiani in politica ( CLICCA QUI )

La delimitazione della questione all’Italia è necessaria. In altri paesi europei è rimasta, infatti, la partecipazione alla vita politico – istituzionale da parte di partiti d’ispirazione cristiana. Nel solco di un consolidato  pensiero che ha oramai un secolo e mezzo di vita, da quando nel 1870 prese corpo il “Zentrum”, il partito di Centro Tedesco.

Anche la forma partito può divenire lo sbocco programmatico e di operatività politica di quell’ispirazione cristiana che pure san Paolo Giovanni Paolo II riteneva necessaria. Non solo per il contrasto ad ogni forma di totalitarismo, ma “per esprimere sul piano sociale e politico la tradizione e la cultura cristiana della società italiana” ( CLICCA QUI  ).

La sostanza è che  i cittadini di formazione cattolica possono, anzi, devono coinvolgersi in tutto ciò che riguarda la cosa pubblica. Oggi non lo sono.

Enzo Bianchi nel suo articolo parla di Politica Insieme e del Manifesto recentemente lanciato per dare vita ad un “nuovo” soggetto politico d’ispirazione cristiana e popolare ( CLICCA QUI ). Egli ravvisa nella nostra proposta ”alcune ingenuità nella concreta possibilità di realizzazione”. Crede, infatti, che “non sia sufficiente convocare, radunare ma, se si vuole compiere un’operazione politica efficace e duratura, occorre dedicare molto tempo alla formazione, a un cammino ecclesiale e nella polis di ascolto attento e continuo di ciò che emerge dalla convivenza sociale”.

Mi permetto di chiosare: non vedo un’alternatività o una  contraddizione tra le due cose. Neppure un’asimmetria temporale tra la formazione, che secondo alcuni dovrebbe precedere, e un impegno che dovrebbe seguire. In realtà, per la visione che noi abbiamo della politica, tra formazione e coinvolgimento concreto c’è un nesso inscindibile.

La politica, infatti, soprattutto quella con la “P” maiuscola è conoscenza, studio, applicazione. Non è astrattezza. E’ in particolare capacità di affrontare cose tangibili, scegliere, operare sui problemi dimostrando capacità progettuale, applicando il metodo del realismo e puntando allo sostenibilità degli interventi. Chi si dedica alla politica, pertanto, dovrebbe essere preparato o, almeno, disponibile a impadronirsi degli elementi di base delle materie di cui intende  occuparsi. Si pone, insomma, il problema della competenza che spesso cozza con la “tuttologia” e con la politologia.

I formatori dovrebbero porsi questa questione perché la Politica non è solo conoscenza teorica della storia dei processi d’aggregazione, dell’applicazione delle leggi, dell’influenza dell’economia e degli equilibri internazionali. Richiede intervento fattivo nelle dinamiche dell’amministrazione,  nella gestione della cosa pubblica e nelle relazioni con altri stati ed altri popoli.

Sull’altro piatto della bilancia, Enzo Bianchi ricorda la proposta di avviare un Sinodo per l’Italia, tutto ancora da precisare. Egli aggiunge la propria personale proposta di “dare vita nelle nostre chiese locali, diocesane o regionali, a uno spazio al quale tutti i cattolici possano essere convocati” e quindi partecipare con l’obiettivo di rispondere a quella che Bianchi definisce, in un’altra parte del suo intervento, “un’incapacità dei cattolici di stare nella polis, un’afonia dovuta a un’astenia della loro fede, ma anche a un allontanamento, ormai consumatosi, dall’impegno politico cristianamente ispirato”.

Lo scritto di Bianchi s’inserisce nel lungo anno di riflessione, in realtà da noi avviato prima e subito dopo i risultati elettorali del 4 marzo 2018, innescato dalla constatazione che i cattolici italiani sono finiti per essere indifferenti ed irrilevanti.

Una irrilevanza da non ricondurre solamente al sempre più numero striminzito di parlamentari che esplicitamente si dicono ispirati cristinamente. Bensì al fatto che il nostro mondo ha progressivamente perso le capacità  d’indicare soluzioni organiche ai problemi concreti che interessano le vicende economiche, sociali e civili del Paese. Taciamo anche su importanti vicende internazionali da cui dipende persino la Pace.

Le Settimane sociali hanno sempre rappresentato una grande occasione di riflessione sulle luci e le ombre del nostro Paese. Pagine importanti sono state scritte, proposte sono state avanzate nel corso di numerosi convegni e discussioni. Sulle questioni eticamente sensibili non si è riusciti a rendere concreta una presenza, nonostante ci  fossero le condizioni per raggiungere soluzioni parlamentari più equilibrate e aderenti con il comune sentire popolare. Molti amici, spesso in grande solitudine, si sono impegnati a sviluppare riflessioni fondamentali sul’economia civile e circolare, sulla ricomposizione delle fratture sociali, sulla generatività da far riscoprire a un Paese sempre più stanco e ai margini di molto di ciò che d’innovativo viene introdotto nel resto del mondo.

Tutto questo deve essere, però, traslato in campo politico e parlamentare. Se non vogliamo che un grande patrimonio di pensiero e di proposte resti confinato al piano del teorico e senza il necessario concretarsi attraverso interventi legislativi e amministrativi.

E’ la carenza più grave mostrata da quella che chiamiamo la diaspora degli ultimi 25. L’assoluta inconsistenza programmatica e l’inanità sul piano parlamentare.

A tutto ciò fa da contraltare l’interesse di tutti gli altri partiti per il cosiddetto elettorato cattolico. Evidentemente c’è. Altrimenti, Salvini bacerebbe inutilmente il rosario e Zingaretti non ci terrebbe ad esibire la sua foto con Papa Francesco.

Così, alla fine, mi ritrovo nel ragionamento di Enzo Bianchi quando egli ribadisce quel che sosteniamo anche noi da tempo e cioè che l’assenza di un impegno politico da parte dei cattolici è segno di “incertezza”, di “non sapere”, “non saper dire né decidere, fare delle scelte”. In una parola manca la dimensione politica. Di affrontarla realmente, a volte, c’è persino timore.

E’ come se progressivamente l’ampia ed articolata realtà che definiamo mondo cattolico italiano avesse dimenticato il senso del “pensare politico” che pure tanto aveva sostanziato la Chiesa d’impronta montiniana.  Quella profondamente incardinata in un lungo percorso che, partendo da Rosmini, attraversa il pensiero di Toniolo  e la successiva elaborazione e l’azione politico parlamentare di don Sturzo, De Gasperi, Dossetti, Moro.

Una Chiesa che invita al discernimento sulla realtà politica dell’Italia e del resto del mondo perché consapevole d’essere esperta di umanità ( Populorum Progressio – Capitolo 1/ 2, paragrafo 13 CLICCA QUI ) e perché la Politica è parte essenziale e determinante per  il raggiungimento del “bene comune” .

Fu anche grazie all’allor monsignor Montini se fu possibile preparare una classe dirigente per un intero Paese. Se venne coltivato il metodo della mediazione, dell’inclusione, della concretezza.

Quanto accaduto, dunque, negli ultimi 25 anni richiama un qualcosa che dovrebbe rimandare una buona parte dei fedeli, ma anche alcuni uomini di Chiesa, sia al Confiteor, allorquando si è chiamati a confessare pubblicamente anche i peccati fatti in “opere e omissioni”, sia al primo sotto titolo della già ricordata Populorum Progressio,con il quale Paolo VI ci dice che” La questione sociale è questione morale”.

Papa Montini,  già solo con questa frase, ricorda il dovere dell’impegno pubblico per il cristiano e dice la sua sulla dicotomia tra i cattolici della morale e quelli del sociale.

Non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere molto altro. Il tema, però,  ha continuato a riproporsi per decenni perché il germe del bipolarismo ha fatto breccia, anzi è dilagato anche tra i cattolici e i loro esponenti  politici sopravvissuti alla Democrazia cristiana. L’eccesso di realismo ha prevalso. E’ stata data preminenza alla scelta di schieramento, con tutto ciò che essa comportava. Forse inconsciamente, quella dicotomia è stata volutamente tenuta desta. Se non altro, per giustificare, ciascuno, lo schierarsi da una parte o dall’altra.

Tornando all’interessante intervento di Enzo Bianchi, è necessario però intenderci sulla prospettiva da cui si guarda al problema dei rapporti dei cattolici italiani con la Politica.

Un’attenta lettura del nostro Manifesto evidenzia immediatamente la nostra prospettiva. Appare chiaro che non guardiamo autoreferenzialmente solamente ai cristiani. Non certamente ai  problemi propri del mondo cattolico, da affrontare e da risolvere in altra sede.

Noi siamo attenti alle condizioni complessive del Paese. Talmente gravi da portarci, ecco la novità, a indicare la necessità di partecipare all’avvio di un processo di trasformazione in cui debbono essere coinvolti credenti e non credenti.

Le condizioni italiane ed europee richiedono un radicale superamento della lunga ed infruttuosa stagione di un riformismo di maniera da raggiungere sulla base del richiamo alla partecipazione di sempre più ampi settori della società civile, dell’economia, della pubblica amministrazione, delle forze sociali, e degli enti intermedi di rappresentanza.

Non ci vogliamo occupare di politica perché esiste una questione cattolica o perché puntiamo all’idea di riorganizzare l’elettorato cattolico in quanto tale. Queste cose interessano a Matteo Salvini e a coloro che  guardano in maniera superficiale e strumentale a ciò che la presenza di tanti cittadini ispirati cristianamente significa nella vita concreta, nel volontariato, nella scuola, nell’apparato pubblico e nel mondo produttivo privato.

Se un qualunque partito, o più partiti, fossero in grado di sviluppare una politica di rigenerazione sociale, di introdurre più solidarismo nella società e nella vita delle istituzioni, più equità e reale giustizia nei tribunali, assicurare un futuro certo ai nostri giovani, più educazione per loro, più formazione nel sistema scolastico, se ci fosse un serio impegno verso l’equità generazionale e tra i gruppi sociali, quale bisogno avremmo di pensare a dare vita ad un “nuovo” soggetto politico?

Se il nostro Manifesto fosse almeno scorso attraverso queste lenti di lettura, e si andasse oltre la questione del partito si, partito no, emergerebbe con grande chiarezza, dunque, la parte sostanziale del nostro ragionamento. La stessa che sta al fondo di quello di Enzo Bianchi ed anche di chi ha lanciato l’idea dell’iniziativa sinodale. Che i cattolici devono in quanti cittadini assumere una nuova responsabilità, individuale e collettiva.

Se come parte viva della Chiesa devono essere” in uscita” sotto il profilo evangelico, con un altrettanto forte spirito “in uscita” dovrebbero muoversi verso la cura della cosa pubblica.

Non dobbiamo avere pura di lanciare un’iniziativa politica di rigenerazione cui partecipino credenti e non credenti. Ad essa può essere aggiunto un patrimonio di idealità e di pensiero altrimenti non disponibile, o incompleto, nel panorama politico italiano.

Evidentemente, c’è bisogno di pensare ad una nuova classe dirigente. Questa è stata per lungo tempo la principale questione dell’Italia post risorgimentale e di quella obnubilata nel corso del periodo monarchico -fascista. Essa è tornata ad essere tema centrale ancora oggi. A partire dalle aree del mezzogiorno carenti anche di un’imprenditorialità adeguata ai bisogni.

E’ dunque impossibile non condividere la necessità della formazione delle nuove, ma anche delle vecchie generazioni.

Una tale formazione, però, dev’essere creata nell’impegno politico concreto. Mosso dai e dedicato ai bisogni della gente e alle questioni che ci riguardano tutti i giorni da cittadini, consumatori, soggetti fiscali, madri e padri di famiglia, pensionati, studenti, casalinghe.

La proposta “sinodale” potrebbe costituire uno dei molti passaggi necessari a far riassumere ai cristiani italiani una propria responsabilità pubblica.

Deve certamente essere studiata bene per non farla tradurre in un qualcosa di autoreferenziale. Una specie d’integralismo intellettuale, per quanto generoso ed elevato, destinato a segnare una separatezza tra il mondo dei credenti e gli altri che, invece, debbono compenetrarsi e scoprire l’interesse comune al raggiungimento di nuovi processi istituzionali, parlamentari e politici di portata generale e fecondi per la rinascita dell’intero Paese.

Altro rischio è  che si riproponga sotto vesti nuove, magari ammantato da un’aurea di “sinistra”, quello stesso processo per cui, come ricorda Enzo Bianchi, “i laici cattolici sono stati delegittimati e di fatto sostituiti da soggetti ecclesiastici che, negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi anni del nostro, hanno avocato solo a sé il discernimento sulla situazione sociale, culturale e politica italiana, fino a intervenire direttamente in materie la cui competenza sarebbe appartenuta di diritto ai laici stessi”.

Resta dunque da risolvere un problema di fondo: qual è lo sbocco concreto che si vorrà proporre a quelle comunità locali che ispirate cristianamente vorranno occuparsi in modo nuovo della cosa pubblica?

E’ richiesta un’immersione nella realtà. Se necessario, anche la partecipazione ad un confronto deciso con chi avanza proposte che non puntano al bene comune. E’ indispensabile che si studino i problemi, le vicende, i fatti che concorrono a decidere come si coprono le buche di una città, come sia possibile modificare la viabilità, assicurata l’adeguata cura degli anziani, favorita l’erogazione del mutuo alle giovani coppie, reso certo l’intervento per affrontare le tante situazioni di disagio che affliggono la società contemporanea. Ma l’elenco delle cose attorno cui sarebbero richieste concretezza e abnegazione è pressoché inesauribile.

Queste cose si fanno nei consigli comunali, nelle assemblee provinciali e regionali. Si fanno in Parlamento. Si fanno anche senza essere partecipi o eletti in quelle assisi. Un movimento politico capace di sollecitare attenzione, raccogliere consenso, esibire progetti concreti e sostenibili può chiamare al confronto i cittadini anche fuori da quelle aule. E’ certo però che con quelle aule si deve interloquire, anche in maniera organizzata. Altrimenti significa credere in una politica confinata in quell’astrattezza di cui ci raccontano i giornali o nei “talk show” che sono tanto “show” e poca sostanza.

Quindi, ben venga una pluralità di proposte. Anche la polifonia di cui ha parlato Papa Francesco,  che giustamente Enzo Bianchi ricorda.

Alla fine, tutto può far parte di un’assunzione di responsabilità collettiva e ben delineata, ma riconoscendo che la Politica è un campo in cui si entra con la necessaria attrezzatura mentale e , se necessario, organizzativa.

Giancarlo Infante

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