Chissà quanta gente sta per morire e ancora non lo sa. Eppure, i “grandi della Terra” si preoccupano delle loro foto di prammatica in occasione del G7. “Fiera della vanità” in cui trascina il mondo dalla comunicazione spasmodica dei giorni nostri. Con le tante doppie o ancora più numerose verità.

Nel pieno dell’incontro canadese, Donald che lo ha abbandonato anticipatamente lasciando in asso Zelensky, è sembrato più interessato a presentare il sistema di telefonia “Trump Mobile” lanciato con il figlio piuttosto che intervenire in modo non equivoco sui punti cruciali che stanno infiammano il mondo.

C’e da interrogarsi sulla perdita d’immagine degli Stati Uniti. Quasi giunta al livello di una rinuncia a svolgere una funzione stabizzatrice da grande potenza mondiale. E l’intetrogativo successivo, ancora più preoccupante, è sul come il Mondo è l’America possano andare avanti così per i prossimi tre anni e mezzo della sua Presidenza.

In qualche modo, è il giudizio più diffuso, egli non ha risolto e chiuso alcuno dei dossier trovati il giorno in cui ha sostituito Joe Biden. Interni agli USA e d’ordine internazionale.

Ucraina, scontro nel Medio Oriente, dazi. Il tutto servito a dimostrare limiti e carenze della sua visione d’insieme; la forza dei condizionamenti della sua leadership; la incolmabile divisione tra gli americani, che sembra andare oltre la divaricazione politica tra repubblicani e democratici; le spaccature poi  introdotte con gli eterni alleati. Un coacervo di dilemmi che contribuiscono ad espandere le nubi nere  addensante su quell’idea di Occidente che ha costituito, comunque, dal ’45 in poi, un grande punto di riferimento e di sostanziale stabilità.

Eppure, freddamente esaminando quanto ci si para dinanzi, solo gli Stati Uniti possono costringere ad evitare l’irreparabile. E Trump resta, pur tuttavia, il più potente al mondo.

Egli finora non ha sciolto il rebus israeliano – palestinese – iraniano. Anche perché il suo fronte interno è diviso. Le frange più estreme del suo Maga (Make America great again) si aspettano la  pace e John Bannon lo ha invitato a non farsi trascinare da Netanyahu. E così il punto cruciale riporta alle debolezze di Trump che potrebbe pensare di uscirne con una soluzione all’irachena o all’afghana dei primi anni 2000. La soluzione Bush junior della “esportazione della Democrazia” avviata con la contrarietà persino di Bush padre. La conferma di una difformità di opinioni che permane, storicamente, anche dentro il mondo della destra repubblicana.

In ogni caso, i risultati di quella scelta non hanno risolto né i problemi di Israele né quelli dei paesi islamici e, tanto meno, dell’Occidente e del Mondo intero.

Nessuno oggi può essere certo che un cambiamento di regime in Iran, ottenuto a suon di bombe sui civili, raggiunga lo scopo di ritrovarsi con una Persia totalmente supina ed obbediente come cominciano a dire anche le iraniani e gli iraniani contrari al regime che regge quel paese con il pugno di ferro da poco meno di cinquanta anni  (CLICCA QUI).

Giancarlo Infante

 

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