La discussione parlamentare in ordine al DDL Zan – per quanto sia evidentemente degenerata in una contesa di schieramenti avversi che poco o nulla ha ormai a che vedere con il merito del provvedimento – sta riportando l’attenzione sul ruolo dei cattolici nella politica italiana. L’ argomento è apparentemente complesso ed indaginoso.

In effetti, è più semplice di quanto non si pensi, purché si cerchi di coglierlo nelle sue linee essenziali. Cioè non declinandolo in ragione di presunti interessi o aspirazioni dei cattolici in quanto tali, bensì traguardandolo in funzione dell’interesse generale della collettività nazionale. Chiedendosi, ad esempio, nel caso in oggetto,  se ed in qual modo i cattolici possano fornire a quest’ultima un concorso di discernimento, di chiarificazione dei nodi più controversi e di fattivo contributo ad una conclusiva determinazione che sia pienamente rispettosa dei valori intangibili della nostra comune umanità.

Questo – doverosa premessa – è, peraltro, un principio di ordine generale che di per sé dovrebbe considerarsi implicito e scontato, ma forse vale la pena richiamare e porre in chiara evidenza una volta per tutte, se mai qualcuno l’avesse scordato. Intendo dire che non avrebbe alcun senso affaticarsi attorno alla cosiddetta “questione cattolica”, se questa fosse una tematica che appassiona i cattolici per una loro pur legittima istanza di presenza e di visibilità o perfino di rivendicazione di una eredità storica o di un qualche potere.

E non – al contrario – come dev’essere, l’assunzione di un impegno e di una fatica che si giustifica solo in ragione del concorso che possono e devono offrire, laicamente, al Paese nella sua generalità, arricchendo il confronto politico, in questa particolarissima fase storica, con un contributo di indirizzi, di proposte e di idee di importanza fondamentale e tali per cui nessun altro, che si rifaccia ad altre fonti, sarebbe in grado di avanzarle se non lo facessero loro, in virtù della  specificità culturale e, dunque, della particolare sensibilità sociale e politica che li connota.

In altri termini, o i cattolici ritengono di avere qualcosa di originale da dire, qualcosa di essenziale e di utile alla comunità nazionale oppure attendano tempi migliori e, nel frattempo, si rimettano a studiare. Dispongono di un patrimonio dottrinale vastissimo, dotato di una esemplare coerenza interna ed anche di una formidabile tradizione storica per cui possono esplorare campi sterminati nei quali rintracciare l’architrave  di una proposta politica all’altezza del tempo che oggi ci è dato.

Senonché una seconda premessa si impone: bisogna evitare che anche il tema del ruolo dei cattolici  venga sacrificato nel tritacarne di un sistema politico che ha smarrito ogni senso della misura e la consapevolezza della sua responsabilità nei confronti del Paese. Per questo è necessario – ed in tal senso rivendichiamo la scelta di autonomia su cui si fonda INSIEME – che i cattolici riscattino la loro quasi trentennale dipendenza dai due opposti schieramenti di un bipolarismo che li ha arruolati, dall’una e dall’altra parte, come ascari di una contesa che non li riguarda.

Va, altresì, considerato che siamo in presenza di un pluralismo di indirizzo politico e, conseguentemente, di espressione del consenso elettorale da parte dei cattolici di cui va preso atto.

Si tratta di una articolazione interna alla nostra area di appartenenza, almeno ad oggi, sostanzialmente incontrovertibile, anche perché frutto di una pluralità di concause, talune delle quali niente affatto spregevoli ed, anzi, espressione di quella autonomia di giudizio sulle cose del mondo che testimonia – piaccia o non piaccia a chi sogna di tornare a ritroso nel tempo che fu – una maturità critica dell’ area cattolica che altri ambiti culturali, tuttora sostanzialmente rattrappiti in una vecchia o nuova postura ideologica, non conoscono affatto.

Possiamo addirittura considerare questa pluralità di posizioni che non toccano il comune patrimonio della fede, non intaccano l’ unità ecclesiale, ma testimoniano la nostra libertà di spirito in ordine all’ordinamento della “città terrena”, una ricchezza provvidenziale. Non si tratta, in buona sostanza, di riassorbire la cosiddetta  “diaspora”, se come tale intendiamo quel processo di scomposizione che è intervenuto con il superamento della fase storica in cui la presenza della cultura politica cattolico-democratica e popolare nel nostro Paese è stata rappresentata dalla straordinaria esperienza della Democrazia Cristiana.

Non si possono forzare e rovesciare all’indietro nel tempo passaggi che hanno una loro intrinseca e fisiologica necessità storica. Si tratta, semmai, di ripercorre criticamente il ben più remoto cammino che, dagli anni immediatamente post-conciliari, hanno condotto alla crisi ed al progressivo superamento del cosiddetto “collateralismo”. Insomma, possiamo assumere la nostra area socio-culturale  come una sorta di ideale palestra dialettica, nella quale – se possiamo mutuare questo termine dal linguaggio ecclesiale –  dare vita ad  una sorta di “sinodo politico” dei cattolici.

Laddove, per “sinodo” si intende ovviamente un “camminare insieme” che, però, ha senso, anzi nella società secolarizzata e globale in cui viviamo,  è possibile solo ad una condizione: che i cattolici non si parlino addosso l’un l’altro, ma piuttosto, insieme , se e fin dove ne siano capaci, cerchino di elaborare un linguaggio nuovo, studino le parole necessarie a documentare, presso chi non ha ricevuto oppure ha smarrito il dono della fede, la ricchezza in termini di valori umani e civili intrinsecamente intessuta dentro quei criteri di orientamento e di giudizio, che, gratuitamente, abbiamo ricevuto in dono in uno con la fede. Così da renderli comprensibili, accessibili e, se possibile, addirittura accattivanti anche per chi non crede, in modo che sia possibile e fruttuoso un lavoro politico condiviso.

E’ la logica e la funzione che giustifica la nascita, in questa stagione controversa,  di un partito nuovo di “ispirazione cristiana”, quale intende essere INSIEME. In tal senso geneticamente diverso dallo stesso PPI di Sturzo e dalla DC di De Gasperi, che, nelle condizioni storiche allora date, necessariamente, per quanto laici ed aconfessionali, si rivolgevano anzitutto ai cattolici ed al loro mondo. Oggi le cose stanno diversamente ed anche la politica, se vuole essere fedele alla concezione dell’uomo, della vita e della storia che è propria di una visione e di una antropologia cristiana, è autenticamente tale se sa camminare, a sua volta, “in uscita” verso quelle ”periferie” del senso della vita, della giustizia e della libertà che ci indica Papa Francesco e rappresentano un percorso su cui alla politica compete il ruolo del battistrada.

E’ attorno a questo compito di verità, prima che per una mera ragione di potere che i cattolici possono ritrovare, anche sul piano politico, le ragioni di un impegno comune, che può maturare, sia pure  lentamente, per fasi successive, per molti, per chi ci sta e non necessariamente per tutti, come, del resto, non è mai stato. La nostra identità oggi  ci impegna, in modo del tutto peculiare, anzitutto su due fronti apparentemente distinti, in effetti sovrapposti fino a coincidere perfettamente: la puntuale difesa del valore intangibile della vita e la promozione, verrebbe da dire, la reinvenzione della libertà, nel complesso frangente temporale che stiamo attraversando.

Una identità che si attesta e si arricchisce non in una sorta di auto-contemplazione, più o meno soddisfatta ed orgogliosa di ciò che crediamo, ma nella logica evangelica dei talenti, anche sul piano della elaborazione e della proposta politica.

Domenico Galbiati

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