Malgrado i più rosei auspici e le speranze sollevate dall’ effetto Draghi, la politica economica del Governo è  fortemente condizionata dall’attuale congiuntura sfavorevole. L’aumento dei costi, in particolare nel settore delle “commodities”, è sufficientemente consistente  da ritenere di essere in presenza di un processo d’inflazione da costi.

Ciò complica la manovra governativa, che dovrebbe avere come priorità assoluta la piena realizzazione del Pnrr, a partire dall’intelligenza digitale per realizzare  una incisiva transizione ad una società verde, senza disperdere risorse strada facendo.

Questo traguardo ambizioso è difficile, se non impossibile, da conseguire per il conflitto  che viene a crearsi, da un lato, tra la distribuzione a pioggia di sussidi monetari ad una vasta platea di cittadini, allo scopo di contenere gli effetti negativi dell’inflazione, e, dall’altro, la realizzazione dei progetti contenuti nel Pnrr che sono prioritariamente indirizzati al rafforzamento della struttura della produzione, carente in materia di competitività.

La congiuntura è resa più problematica dalle carenze ancora presenti nella domanda, non ancora a pieno regime a causa di un Covid non debellato. Un esempio per tutti: il turismo in piena crisi.

La risposta dei partiti politici, e dei sindacati, a questa situazione è di chiedere interventi distributivi di aiuti monetari immediati per sostenere indistintamente i consumi a breve termine. Ciò è in linea con l’eccessiva  sensibilità dei partiti alla facile acquisizione di rapidi ritorni elettorali,  svuotando di efficacia la manovra governativa di attuazione del Pnrr.

Nel frattempo, a livello internazionale, specie nel Nord Europa, ci sono centri di potere, soprattutto finanziario,  che chiedono aumenti nei tassi di interesse per il ritorno a politiche di austerità. Queste produrrebbero in Italia una contrazione della attuale crescita della produzione così da bloccare la riduzione dell’attuale disoccupazione.

È da condividere la posizione di chi vede con spirito critico il ritorno della domanda di “austerità” ai governi europei. A questo proposito, su “Politica Insieme “, lo scorso 8 febbraio, Daniele Ciravegna scrive che si deve scegliere “ la via che porta all’eliminazione dell’inoccupazione, anche lasciando vivere l’inflazione” (CLICCA QUI). Questa via non è certo l’adozione di misure di contenimento della domanda, come vorrebbero ambienti conservatori europei. È da perseguire, invece, uno sviluppo con al centro la crescita del lavoro e la tutela della dignità della persona.

È , quindi,  auspicabile una visione di moderato ottimismo, avvalorato dalla capacità avuta di mettere sul mercato i vaccini contro il Covid – 19 in 9/10 mesi. Questa capacità di reazione ad una avversità, come è l’attuale pandemia, può dare fiducia e coraggio per una politica di trasformazione  dell’apparato produttivo.

La sfida che la politica e l’Amministrazione hanno di fronte è quella di saper utilizzare l’elevata massa monetaria erogabile a breve termine, con impieghi  strutturali, coerenti col Pnrr.

Il primo passaggio, a questo scopo, è quello di formulare un piano quinquennale dell’innovazione, idoneo a dare competitività al sistema produttivo grazie ad una simbiosi tra centri di ricerca e imprese. Va, cioè, rapidamente sviluppata una “domanda-offerta” di R&S strutturata che sostituisca il tradizionale sussidio monetario con  progetti  e investimenti in innovazione tecnologica e gestionale, che dia  all’impresa un radicamento di lungo periodo nel territorio realizzando una  rete di R&S. Diversamente, si ottengono risultati effimeri. Anche un aiuto monetario massiccio, come quello dato all’industria dell’auto, ha dimostrato la sua volatilità: la delocalizzazione è dietro l’angolo, non essendoci radici tecnologiche che   rendano sconveniente inseguire la prospettiva dei centri di ricerca esteri, ad esempio per i motori elettrici.

È vero, altresì, che è indispensabile una regia governativa che affronti la complessità della congiuntura fatta, da un lato, da un mix di  domanda ancora senza regole che individuino le priorità degli investimenti, e  di un aumento di costi assorbibile  solo da una piena occupazione dei fattori produttivi, (che, finora, non c’è); dall’altro lato, è in atto una ridefinizione, a livello globale, delle strategie delle potenze mondiali, a cui non è estranea la crisi ucraina. C’è da chiedersi  quale sia la nostra visione del futuro e quale spazio intendiamo occupare all’interno di un Occidente che ha messo in discussione le sue priorità?

Lo scenario di questi mesi mostra, infatti, una competizione internazionale esasperata, senza regole. Al tempo stesso, i partiti, ancorati ai loro programmi  di clientelismo elettorale, operano ritenendo passeggera l’attuale complessità socio-economica, senza avere consapevolezza dell’urgenza di azioni strutturali di ricupero di competitività internazionale, e di una efficace collocazione dell’Italia nella nuova divisione internazionale del lavoro.

Non si può non pensare alle vicende politiche del nostro Paese e agli antichi vizi italici per trarre un insegnamento utile per l’oggi. Nel 1962, durante una crisi  di Governo, Piero Meucci scrive in “ Ettore Bernabei, il primato della politica” che la classe politica italiana non si preoccupava degli interessi reali del Paese, mentre nel contempo le centrali capitalistiche e i gruppi dell’alta finanza miravano a togliere slancio all’apparato produttivo italiano.

Come allora, anche adesso, ci si chiede se siamo di fronte ad un’offensiva avversa al cambiamento, a tutto danno dell’Italia, e se è in atto un’offensiva del capitalismo reazionario per impedire la ripresa economica. A nostro modesto avviso, la risposta è proseguire nel cammino delle riforme, non sprecando le risorse del Pnrr. Per iniziare il cambiamento, riusciamo ad avere un’amministrazione pubblica di risultato? Perché, come sosteneva Ermanno Gorrieri, non cominciamo dalla unificazione dei due mercati del lavoro, quello pubblico e quello privato? Quale senso ha, oggi, una legislazione distinta tra lavoro privato e pubblico? A mio parere, nessuna.

Roberto Pertile

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