“ Io, ma non più io”. Il riferimento ad un intervento di Papa Benedetto XVI ( CLICCA QUI ) può essere utile per ragionare sul tema del cattolicesimo e dell’individualismo dopo essere rimasti interdetti nell’ascoltare Umberto Galimberti che, l’altra sera nel corso della trasmissione della 7, “Otto e mezzo”,  ha riproposta la solita sua tesi che  sarebbe da imputare al cristianesimo, anzi più specificatamente al cattolicesimo, la nascita dell’individualismo.

Galimberti continua a ripeterlo nonostante sia già stato numerose ed ampiamente volte corretto per la sua insistenza nel ritenere che la visione della salvezza del cristiano sia di natura meramente individuale. Una su tutte: si può citare la risposta di Francesco Botturi ( CLICCA QUI ) che del Galimberti ha smontato punto per punto tutte le distorte tesi. Che però egli continua a sostenere, a dispetto di tutto quello che in materia si può rinvenire contro l’individualismo nel Vangelo, negli Atti degli apostoli, in San Paolo e via via salendo lungo tutto il pensiero dei Padri della Chiesa e dei principali teologi che si sono espressi nell’arco di due millenni. Anche il continuo riferirsi del Galimberti a sant’Agostino è del tutto improprio, laddove l’Ipponense sottolinea con chiarezza il carattere comunitario della speranza cristiana.

Evidentemente, fa più comodo sostenere un pensiero sbagliato, grazie al quale si ottiene ospitalità sui giornali e in televisione, piuttosto che applicare a se stessi l’invito all’ascolto profuso a larghe mani  verso gli altri.

Ma il punto non merita di rimanere ridotto solo a facile polemica. Anche se non sarebbe male ricordare a tanti eminenti giornalisti ed editori che, forse, prima di imbarcarsi in certe operazioni comunicazionali, sarebbe il caso che studiassero un poco di più: collegare il microfono al cervello, oltre che all’amplificatore, serve a non fare scena muta o ad apparire compiacenti, il male peggiore del giornalismo nostrano, e a guadagnarne, quindi, in termini di credibilità e prestigio.

Il punto ha un’importantissima valenza culturale, sociale e persino politica. Specialmente per noi che ci siamo imbarcati in un’operazione di presenza pubblica caratterizzata dalla volontà di portare nella società e nelle istituzioni più solidarismo, più sostegno alla dignità umana e alla Giustizia sociale. Questo è proprio l’esatto contrario di quell’individualismo che ha snaturato il consesso umano in gran parte del mondo e che, purtroppo, non ha terminato la propria perniciosa azione di decomposizione sociale e mutazione antropologica.

Siamo di fronte a quello che  Alain Touraine definiva, già nel 2008, la “ rottura” della dimensione sociale nel senso che scompaiono le società intese “come sistemi integrati e portatori di un senso generale” per essere sostituite dal trionfo dell’individualismo “disgregatore” di cui, già allora, l’accademico francese individuava nel mondo virtuale la sua “espressione estrema”.

Noi ci rifacciamo  a Jacques Maritain quando nel suo Cristianesimo e democrazia sostiene che quest’ultima “è sorta nella storia quale manifestazione temporale dell’ispirazione cristiana”.

Non ci facciamo fuorviare dalla rappresentazione di comodo di concetti, cui è necessario riferirsi nel momento in cui si vuole dispiegare un’iniziativa collettiva, che apparentemente prendono le mosse da una posizione, diciamo così, di sinistra, ma finiscono per portare acqua a chi non vuole la riscoperta dello spirito insopprimibile del senso della comunità. Così, torniamo a al Maritain che scriveva da New York nel marzo 1943, in uno dei momenti più drammatici dell’umanità: “ Sperare fermamente, non vacillare alla vista delle nubi che si formano e si dissolvono all’orizzonte, è un dovere storico, un dovere verso i nostri fratelli e le generazioni future. La speranza oscura di milioni di uomini è all’opera nel sottosuolo della storia”.

Giancarlo Infante

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