Un interessante articolo di Romano Prodi di ieri su Il Messaggero porta ad una riflessione già possibile da impostare subito dopo l’annuncio da parte di Ursula von del Leyen del piano da 800 miliardi di euro per la difesa dell’Europa. E cioè che la decisione di Bruxelles risponde più all’esigenza politica generale di esprimere una reazione a caldo alle nuove posizioni definite dall’amministrazione Trump.
Romano Prodi delinea quali sono le reali condizioni della Russia che ha potuto sostenere il proprio sforzo militare in Ucraina solo grazie agli imponenti aiuti ricevuti della Cina. E ciò non può certo sfuggire nel momento in cui ci preoccupiamo, giustamente, di individuare i veri pericoli attuali per l’Europa e di dotarla, pertanto, di un adeguato ed efficace sistema di difesa indispensabile per un’entità che, dopo quella economica, vuole raggiungere anche una dimensione realmente politica nei mutati scenari globali. E, possibilmente, svolgendo un’azione moderatrice, equilibrata e diretta alla coesistenza pacifica tra popoli, nazioni e culture.
È chiaro che Bruxelles, presa dalla necessità di dare una risposta a Trump, formalmente unitaria, ha puntato su interventi a pioggia che potessero accontentare tutti i singoli stati. Non avendo mai voluto, infatti, risolvere problemi provocati da singoli paesi, oggi dall’Ungheria, ma ieri da altri, che hanno ritenuto a lungo di far valere il diritto di veto, nonostante l’esiguità della propria forza politica, economica e di popolazione.
Progetti faraonici, talvolta apparsi persino confusi, cosa stati sono se non il prezzo da pagare alla mancata riscrittura dei Trattati ed al rischio che qualcuno formalizzasse il proprio dissenso e mandasse all’area un progetto per quanto indispensabile ed importante esso fosse.?
800 miliardi sono comunque tanti, anche in considerazione del fatto che, sommando le attuali spese militari dei 27, cui si dovrebbero aggiungere, nel contesto odierno, pure quelle del Regno Unito, ci si trova di fronte all’investimento più alto al mondo dopo quello degli Stati Uniti in sistemi di difesa. La logica, quindi, avrebbe voluto che più che pensare ad un tale impegnativo sforzo finanziario si affrontasse quello della razionalizzazione dell’esistente. Sarebbe già stato sufficiente almeno nel caso di un futuristico confronto militare con Mosca.
Un costoso compromesso, dunque, destinato a produrre quello che Carlo Parenti ha giustamente definito “cattivo debito” (CLICCA QUI) e che porterà ad inevitabili conseguenze sull’inflazione, come recentemente accaduto per la gran mole finanziaria impegnata, e giustamente, per contrastare l’epidemia da Covid e le sue ripercussioni sociali ed economiche.
Un compromesso che, a seconda di come lo si gestirà, potrebbe presentare anche taluni aspetti sbagliati se si segue il ragionamento di Prodi sulla consistenza e il reale pericolo rappresentato dall’eventuale nemico da contrastare oggi rappresentato dalla Russia. Ma che, al tempo stesso, è servito a dare un segnale di risveglio cui forse si è giunti anche grazie all’iniziativa di alcuni paesi che non si sono fatti frenare dall’idea di giungere ad una Europa “a più velocità”. Un’alternativa secondo la quale alcuni dei suoi più importanti fondatori diventano il motore in grado di rimettere in movimento un convoglio troppo spesso attardato da vecchi Trattati e da una mentalità burocratica che, negli ultimi decenni, ha obnubilato spesso le capacità di fornire una pronta risposta al mutare delle cose del mondo.
E questo sembra avvenire in queste ore anche in relazione all’altro corno del dilemma che arrovella e preoccupa il mondo: il conflitto palestinese israeliano. In qualche modo legato alla vicenda ucraina e al confronto tra le diverse entità che puntano, ciascuna dal proprio punto di vista, a delineare un nuovo Ordine mondiale. Al punto che più di una volta ci si è dovuti porre il quesito se una certa soluzione ricercata all’Est europeo non fosse legata all’idea di delineare un nuovo scenario per Gaza e la Cisgiordania lasciando al loro destino i palestinesi con il placet di Putin, lasciato unico vincitore in Ucraina. La logica del “do ut des”, insomma, che sembra costituire l’unica stella polare per Putin e Trump.
Ieri, infatti, Germania, Francia, Italia e Regno Unito hanno espresso il proprio sostegno al Piano dei Paesi arabi ed Egitto su Gaza che si pone in oggettiva alternativa a quello che si è capito è prefigurato da Donald Trump e Benjamin Netanyahu.
Giancarlo Infante