Nel nostro Paese esistono non pochi problemi cronici/endemici, connessi alla “forma mentis”, al grado (spesso scarso) di civiltà ed il senso di responsabilità di ciascuno di noi, nella distinta veste di lavoratori e di datori di lavoro. Gli ultimi, tragici episodi segnati da indicibili vittime sul posto di lavoro, di cui mi piace ricordare particolarmente la 22.nne Luana D’Orazio, mamma di una bimba di anni cinque, colpiscono in modo impressionante e ci turbano perché chiunque di buon senso e rispettoso della vita non riesce ad accettare l’idea che una giovanissima donna non possa avere adeguata tutela nell’ambiente in cui lavora quotidianamente, tanto più perché “eccezionalmente” mamma: evento tanto raro, oggidì, nella nazione seconda al mondo per denatalità.

Analogamente, comprendo il turbamento di un uomo di chiesa, saggio e sensibile, qual è mons. Matteo M. Zuppi, arcivescovo di Bologna, il quale invoca – nel corso di un’intervista recente su La stampa – la riforma del lavoro “come priorità del sistema produttivo.. per uscire definitivamente da queste sciagure, senza l’inconsapevolezza, l’indifferenza, l’egoismo … oltre la ciclica lamentela”.

Su quest’ultimo punto intendo soffermarmi, dato che ormai è intollerabile, non che inutile la protesta “ex post” dei sindacati generali o di categoria, i quali hanno proprio tra le loro incombenze di maggio rilievo la garanzia della sicurezza sul lavoro, per effetto di quanto disposto dal decreto legislativo n. 81/2008: in esso viene enucleata con sufficiente chiarezza la responsabilità specifica a capo del datore di lavoro, attraverso la nomina del “rappresentante servizio prevenzione e protezione” (RSPP); quindi con il “rappresentante dei lavoratori” e ancora con il “medico competente”. Orbene, non si scappa o almeno così dovrebbe essere, salvo guarentigie o “escamotage” fatti valere dai legali in sede giudiziaria e con tutte le lungaggini che il sistema giudiziario italiano ci ha abituati a subire …

E correttamente l’ex ministro, Elsa Fornero ha invitato i soggetti corresponsabili ad un maggior rigore, sia nella fase di prevenzione, che in quella dei controlli e infine delle sanzioni. Comunque, va detto pure che la presente, pessima situazione è in fondo un’eredità dei precedenti governi.

La riflessione che mi sovviene, allora, come ex burocrate e tecnico legislativo è la seguente:  l’apparato del mondo produttivo attuale è, in effetti, molto complesso e articolato in una serie eterogenea di ambienti di lavoro e distinti metodi organizzativi che devono aggiornarsi  continuamente ed evolversi sotto il profilo tecnologico e logistico. Quindi, da un lato mi chiedo se è utile sottolineare, da parte del legislatore, che il RSPP deve possedere “almeno il diploma di studio della scuola superiore”; dall’altro, invece, se non sia necessario e urgente riorganizzare gli uffici dell’Ispettorato del lavoro, conferendo ai loro funzionari in primo luogo una dignità che, non di rado, manca alla figura del funzionario pubblico (negli ultimi tempi anche al magistrato), con attribuzione di poteri, responsabilità e perciò compensi “speciali a progetto” cioè con incentivi-premio per effetto dell’individuazione di manchevolezze e irregolarità tecnico-amministrative dell’azienda o del sindacato presente nell’unità produttiva.

Una nazione civile, all’altezza della posizione nel “G7” tra le potenze del pianeta, non può attendere con calma l’adozione di un “Piano nazionale sicurezza sul lavoro” come atto politico, formale di un dicastero che va perdendo onorabilità e riconoscibilità da parte dell’opinione pubblica, piuttosto preoccupandosi del reale impatto attuativo delle norme di legge dal momento che i morti, vittime sul lavoro sono in aumento del 12% rispetto all’anno scorso!

E l’indignazione parte dallo sfruttamento, anche minorile, e dalla precarietà che sono, generalmente, ben più critici nel Mezzogiorno e nelle isole; per non dire dei ghetti ove sopravvivono, in condizioni pietose e disumane, migliaia di c.d. extracomunitari, alias persone come noi, che producono frutta e verdura per la “società civile”. E lasciamo stare – “gratia dei” – il caso ex Ilva di Taranto, assolutamente un “cocktail” ingovernabile e inqualificabile.

Oltre alla rabbia che può toccare, più o meno a secondo della sensibilità di ciascuno, ma certamente non esclude parenti e amici dei “caduti sul campo”, innumerevoli vittime “bianche”, non sottovaluterei affatto la vergogna nazionale – dopo quella più famosa di Matera, negli anni ’50, con cittadini che abitavano i “sassi” senza alcuna igiene – che dovremmo avvertire tutti noi che abbiamo una coscienza, un’etica di qualsiasi tipo, laica o religiosa; ma, indubbiamente, tutto ciò demoralizza e fa tornare alla mente la denuncia di un grande artista come Giorgio Gaber che cantava, sornione: “io non mi sento italiano, ma per fortuna e purtroppo lo sono…”.

Michele Marino

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