La storia della filosofia e del pensiero politico sono state attraversate, forse anche attratte, da un’appassionante riflessione sull’uomo inteso, usando un concetto aristotelico, come animale sociale, politico.

Anche la città, a volte in senso utopistico, è stata rappresentata non soltanto come un ideale schema di governo o come immaginazione di un luogo dove sarebbe bello vivere, ma come massima espressione della socialità dell’essere umano.

Dalla “Repubblica di Platone” fino alla “Città di Dio” di Sant’Agostino, tutti hanno intravisto nella “città” il termine ultimo dell’uomo.

Purtroppo però spesso, pensando alla “città” la si pensa come qualcosa di esterno, una specie di “patria” esterna all’uomo, altro rispetto a sé, privata anche del significato di comunità.

La “città” invece non può essere considerata scissa dall’uomo, DUAS RES PUBLICAE, scriveva Seneca, la maggiore e la minore, analogamente Sant’Agostino che vedeva l’uomo lacerato da contrasti della città terrena e quella celeste, una dedicata ai piaceri della carne l’altra alla ricerca delle cose di Lassù.

Nel concetto di “città” coesistono due nature che lacerano la coscienza dell’uomo ma al contempo la arricchiscono di una nuova pienezza dove si dovrebbero intravedere i cultori della res publica, coloro che dovrebbero tendere a un equilibrio tra ragione e fede che non significa tra politica e religione; i due termini sono antitetici, la politica è divisione, parte, la religione è universalità, unione, condivisione.

È però compito del politico illuminato scegliere di perseguire il bene come atto supremo del compimento del suo essere uomo, di quell’uomo che ha permesso alla filosofia non solo di ampliare le sue conoscenza ma di averla fatta entrare nella sua vita modificandone il pensare, l’operare, gli orizzonti ma soprattutto dando altro significato alla parola utilità.

È sempre del politico possedere una visione complessiva della città, avere cioè la stressa e medesima considerazione della città-persona, della città-stato e anche della città-continente ricercando sempre un equilibrio tra il bene dell’una e il bene dell’altra non dimenticando che i destini di una parte sono inestricabilmente legati a quelli dell’altra.

Credo che forte dovrebbe essere la volontà dei cattolici di costruire un equilibrio fattivo e proficuo tra fede e ragione non sull’estromissione dell’una e/o dell’altra.

Ritrovare il coraggio di credere nella “radicalità delle scelte”, radicalità che al contrario di radicalismo non configura un estremismo ma la giusta necessità di intransigenza, l’ancora che ognuno di noi dovrebbe gettare nel mare della superficialità, incertezza, paura che ogni giorno di più sembra sballottare l’occidente tra odio e perdita di sé.

Forse tutto ciò può sembrare utopia, credo invece trattasi di lucida considerazione che l’uomo è stato creato dalla concomitanza di carne e spirito.

Pensando all’Europa sentiamo parlare di solo due vie per l’Europa: investire nella cultura e rilanciare l’economia, è vero questa è una sfida ma ad oggi la cultura è in caduta libera e l’economia ha peso di vista la “felicità” dell’uomo.

Una terza via potrebbe essere rappresentata dal proporre un apolitica basata su valori solidi, una politica che sappia e voglia parlare alle periferie, una politica non infarcita solo di promesse e belle parole ma che sappia combattere il linguaggio della paura, che sappia dare speranza agli ultimi in sintesi che si riappropri della comunità.

Di recente dalla lettura di un libro mi ha colpito l’affermazione che “oggi la vera terra di missione non è l’Africa ma l’Europa.

L’Europa di cui basi vennero gettare e la sua identità tutelata, conservata in tempi bui da San Benedetto con la sua “regola” che nella semplicità dell’osservanza della stessa gettò le basi dell’Europa nei secoli successivi creando il primo net-work ante litteram semplicemente con l’ora et labora nello spirito dell’accoglienza.

Maria Letizia Milani

About Author