Dopo lo psicodramma andato in onda a favore di telecamere prima di Pasqua che ha avuto come protagonisti assoluti il premier Giuseppe Conte e il leader dell’opposizione, il leghista Matteo Salvini, spalleggiato da Giorgia Meloni (capo indiscusso dei Fratelli d’Italia), c’è una domanda che si impone: cosa farà l’Italia se non otterrà gli eurobond dall’Unione Europea?

La domanda è oltremodo cruciale perché non sfugge il grande paradosso: i tre politici (già alleati nel governo giallo-verde a guida Conte) si sono apertamente scontrati, ma tutti loro sono contrari al Mes e favorevoli solo agli eurobond. Dunque, il vero problema politico per il governo italiano si porrà dopo gli esiti del Consiglio europeo del 23 aprile. I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell’Unione, infatti, dovranno pronunciare una parola definitiva sulle proposte formulate dall’Eurogruppo dei ministri finanziari per fronteggiare la crisi economica che incombe sul continente e fa vacillare milioni di posti di lavoro, produce incertezza sui mercati e minaccia tensioni sociali via via montanti.

La domanda riguarda innanzitutto il destino del governo. La scelta fatta da Conte di legare il buon esito del Consiglio europeo all’unica prospettiva di adozione degli eurobond, ha il sapore di un ultimatum. Lanciato sì agli alleati europei, ma soprattutto utilizzato come una forma di rassicurazione verso quell’area della maggioranza (il Movimento 5Stelle) che lo ha scelto come capo del governo, imponendolo prima agli alleati di destra e poi a quelli di sinistra. E’ una sorta di riflesso delle origini del Movimento che del fondatore, Beppe Grillo, conserva nel Dna quella intransigenza che solo in tempi recenti è stata stemperata, in occasione della nascita del governo giallo-rosso e attraverso l’alleanza con l’odiato nemico di ieri, il Partito democratico.

Ma è giusto chiedersi cosa potrebbe comportare questa risorgente intransigenza. E’ difficile dare credito alle voci, frequenti nei Palazzi, tanto di una stanchezza psicologica di Conte quanto di un suo desiderio di mettersi in proprio. Cioè di fondare l’ennesimo partito personale in cui dovrebbero confluire non solo importanti pezzi di mondo grillino, ma anche tanti settori sociali (pure cattolici) e degli apparati dello Stato. Ovviamente molti liquidano questa prospettiva come fantapolitica, ma resta l’azzardo politico. In qualche misura questo passaggio ricorda i passi già compiuti da altri presidenti del Consiglio prima di lui. Giusto per ricordarne due: il Massimo D’Alema che legò il destino del proprio secondo governo al buon esito delle elezioni regionali e fu costretto alle dimissioni (19 aprile 2000) o il Matteo Renzi che scommise sul successo del referendum costituzionale e dovette poi arrendersi alla gravissima sconfitta politica (7 dicembre 2016).

Di sicuro, nella mossa del Premier non vi è nulla di moderato. Infatti, non preoccupa tanto il guanto di sfida lanciato all’opposizione di destra, quanto il vicolo cieco in cui si è infilato. Una via senza uscita che potrebbe spingerlo persino a minacciare il veto in Consiglio europeo, mettendo in crisi il meccanismo del consenso all’unanimità che contraddistingue il lavoro di quella sede politica. C’è poi un’altra considerazione insidiosa: Conte sembra essersi sbilanciato sugli eurobond senza garantirsi l’appoggio preventivo e convinto del Pd, e neppure quello del Quirinale. Se dunque da Bruxelles dovesse tornare senza aver ottenuto il via libera agli eurobond, come potrà presentarsi all’opinione pubblica? Quale marchingegno dialettico potrà mettere in campo per giustificare e addolcire la sconfitta? E con quale autorità politica e morale potrà rilanciare la sua azione di governo, in un momento terribile come questo per il Paese?

Di sicuro, l’impaccio di Conte è stato colto da tanti suoi sostenitori e avversari. Il segnale sta proprio negli attacchi rivolti a Mario Draghi dalla stampa amica del premier che descrive caricaturalmente l’ex governatore della Banca centrale europea come l’uomo della “perfida” normalizzazione del Paese dopo la “mirabolante” stagione del grillismo al potere.

Ora, nessuno si augura, in piena pandemia, una crisi di governo. E nessuno ragionevolmente dovrebbe perseguirla, salvo qualche avventuriero. Ma la politica è una dannata trappola, nella quale si può cadere da un momento all’altro. Soprattutto quando si affida il risultato auspicato alla volontà degli altri, come è nel caso di Conte. E quindi non si è più arbitri del proprio destino. Se a Bruxelles non scatterà la solidarietà europea nella forma degli eurobond, comunque il futuro del premier sarà duramente segnato. Ma se dovesse spuntarla, allora nessun ostacolo potrebbe fermare la sua marcia trionfale da salvatore della Patria.

Domenico Delle Foglie

 

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