Nel novembre 1994, Isaiah Berlin, all’ Università di Toronto, insignito della laurea “honoris causa” in Giurisprudenza, si espresse in questi termini: “Gli uomini si ammazzano da millenni, ma le imprese di Attila, di Gengis Khan, di Napoleone ( che introdusse nella guerra gli omicidi di massa ), perfino i massacri degli armeni impallidiscono di fronte alla Rivoluzione russa e ai suoi postumi: l’oppressione, le torture, gli assassini di cui si resero responsabili Lenin, Stalin, Hitler, Mao, Pol Pot e la sistematica falsificazione dell’informazione mediante la quale si occultarono per anni quegli orrori – queste cose non hanno precedenti”.

Dobbiamo sorprenderci che nel ventaglio dei leader più sanguinari del comunismo sovietico e non solo, venga inserito anche Hitler? Come va interpretato tutto questo se non per affermare come sia possibile che una bestialità feroce travolga uomini diversi, perfino antitetici sul piano della loro visione politica, ma così affini nelle radici più profonde di ideologie che, in comune, hanno in odio l’umanità?

Sono parole che suonano, ad un tempo, profetiche e sinistre nel momento in cui si scatena su Mariupol e sull’intera terra ucraina l’ira funesta di una potenza disumana e crudele. Forse non possiamo considerare altrettanto profetiche le parole con cui Isaiah Berlin chiuse quel discorso: “Le grandi tirannie sono cadute o presto cadranno – anche in Cina il giorno non è troppo lontano. Sono felice che voi, qui nel pubblico, possiate vedere il Ventunesimo secolo: sono certo che potrà solo essere un tempo migliore per l’umanità di quanto sia stato il mio terribile secolo. Mi congratulo con voi per la vostra buona sorte ; ho il rimpianto di non poter vedere questo futuro più luminoso che sono convinto stia per arrivare”.

Isaiah Berlin scomparve, quasi novantenne, solo tre anni dopo, nel 1997. Cosa direbbe del conflitto che oggi devasta il cuore dell’Europa? Cosa direbbe della malvagità con cui viene condotta una guerra di distruzione indiscriminata, di attacco deliberato alla stessa popolazione civile? Confermerebbe le sue attese, la fiducia nell’umanità, in fondo l’ottimismo che la ispira?

Dobbiamo cedere alla rassegnazione ed allo sconforto? Oppure pensiamo che si possa ancora sperare che, dopo un avvio talmente drammatico su più fronti, il Ventunesimo secolo possa ancora rientrare nella visione che, dopo aver vissuto le tragedie del cosiddetto “secolo breve”, ne aveva elaborato, Isaiah Berlin?

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